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Sabato, 30 Novembre 2019 14:57

Io sto con Ilaria Cucchi!

 

 

 

Ci sono parole necessarie.

Ci sono parole che se dette restituiscono onore e dignità.

Ci sono parole che sono verità e se scolpite in una sentenza fanno giustizia.

La verità non cancella la perdita ma allevia la sofferenza, la rende più sopportabile.

Stefano Cucchi fu ucciso da chi indossava l’uniforme e il camice bianco del medico: è la verità sancita dalla Corte d’Assise di Roma che arriva dopo dieci anni dalla morte, nell’ottobre del 2009, di un 33enne arrestato per droga e restituito cadavere alla famiglia una settimana dopo. Una vita spenta non per gli esiti imprevedibili di una caduta per le scale, per l’assunzione di stupefacenti visto che era un “drogato di merda”, per un problema cardiaco, per un attacco di epilessia, come qualcuno ha cercato di far credere mistificando i fatti, ma in seguito ad un pestaggio brutale e disumano, opera dei carabinieri che lo avevano arrestato e lo tenevano in custodia, alla cinica negligenza e indifferenza di chi avrebbe potuto e dovuto curarlo e invece lo lasciò morire di fame, di sete e di dolore. È stato trattato come materiale di scarto di una umanità dolente, indegno di considerazione.     

Lo Stato ha la sua legittimazione giuridica e morale nella volontà libera dei cittadini, nel patto democratico con il quale questi si spogliano della prerogativa di tutelare da sé la propria integrità e la conferiscono ad un ordinamento sovraordinato, cui affidano il compito regolativo del vivere sociale mediante norme comuni e condivise, alle quali tutti sono assoggettati comprese le istituzioni e quanti sono chiamati a garantirne l’applicazione. Se lo Stato disattende a tale funzione e addirittura attenta all’integrità delle persone, cessando di essere presidio e garanzia dei diritti e delle libertà, della tutela integrale di tutti e di ognuno senza distinzioni, viene meno alla sua stessa ragion d’essere, crolla lo stato di diritto.

La sentenza sulla morte di Stefano Cucchi ha aperto uno squarcio nella cortina di silenzi, menzogne, depistaggi sistematici e continuativi messi in atto da personalità di vertice dei Carabinieri, finalizzate ad occultare le responsabilità, a coprire i soprusi e impedire l’accertamento della verità in ragione della presunta necessità di tutelare il buon nome delle istituzioni, dell’Arma. Tale argomento è assurdo e falso. Invero questi personaggi hanno cercato unicamente di garantire loro stessi e le proprie carriere, di assicurarsi salvacondotti e impunità e con il proprio agire hanno infangato e devastato le istituzioni incrinandone la credibilità. La responsabilità penale è personale e dei reati ne risponde l’autore non una categoria.

Abbattere la vischiosa rete degli apparati non è stato agevole, ha richiesto la fermezza di una sorella, di una famiglia, di un avvocato e il coraggio dei magistrati che non si sono lasciati intimorire dalla prospettiva di dover sfidare poteri consolidati e inviolabili, animati dalla convinzione che solo uno Stato in grado di processare se stesso, di correggere i propri errori e condannare l’infedeltà dei propri servitori è uno Stato forte, capace di dare concreta attuazione al principio di uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini davanti alla legge.

Le considerazioni sulla persona di Stefano Cucchi, sui suoi comportamenti, le sue scelte, le sue fragilità, i suoi trascorsi giudiziari, la sua tossicodipendenza non hanno nulla a che fare con la sentenza. Nessuno, a cominciare dalla famiglia, ha mai contestato la legittimità di quell’arresto, o ha sostenuto che spacciare è legittimo o che la droga fa bene. In questi anni tanti hanno fatto distinzioni inesistenti, si sono improvvisati fini giuristi e hanno dato voce ad un legalitarismo d’accatto, magari hanno anche ammesso che i carabinieri avevano un po’ esagerato con le botte ma lui se l’era cercata, in fondo era colpa sua visto che girava con la droga in tasca e non si sono accorti che quel corpo distrutto, di trentasette chili, era l’emblema dello stupro perpetrato ai danni delle garanzie costituzionali, le quali debbono valere per chiunque compreso chi finisce sotto tutela dello Stato. Quanti commettono reati, anche i più abominevoli, sono persone, un tossico è una persona, per giunta debole che ha bisogno di essere difeso anche da se stesso e lo Stato non può e non deve ammazzarli di botte.

Stefano Cucchi per anni è sembrato essere accusato della sua stessa morte, quando invece è stato vittima di gravissime violazioni dei diritti umani.

La speranza è che questa sentenza accenda una luce nelle coscienze nostre e di quanti, ad ogni livello, assolvono funzioni ed esercitano responsabilità a tutela della legalità, dei diritti e delle libertà delle persone. C’è bisogno di parole di verità per i tanti, troppi casi, uguali a quello di Stefano Cucchi, per le tante vittime che ancora non hanno ottenuto giustizia, per Giuseppe Uva morto nel 2008, per Michele Ferrulli morto nel 2011, per Roberto Mogherini morto nel 2014 e tanti altri ancora.

In uno Stato democratico e di diritto il perseguimento di questi obiettivi dovrebbe essere compito ordinario delle istituzioni per garantire non solo chi ha la stessa forza e determinazione dei familiari di Stefano Cucchi nel portare avanti la battaglia, ma soprattutto chi è più fragile, debole e meno attrezzato.

Pubblicato in Riflessioni