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Ai tempi del Coronavirus anche la Chiesa, giustamente, non vuole perdere quella necessaria comunione con i fedeli. Le campane della Cattedrale in questi giorni molto particolari non hanno smesso di suonare, ed è stato per tutti un segno di continuità e di vicinanza. Adesso il Parroco della Cattedrale Santa Maria di Sezze, Padre Damiano si è organizzato per promuovere ogni giorno alle ore 18 un momento di preghiera con dirette facebook (profilo Cattedrale di Sezze) e con l’ausilio di altoparlanti. Già questa mattina Padre Damiano e Padre Tommaso hanno pregato in diretta e dato la benedizione nella III domenica di Quaresima su facebook, iniziativa molto gradita dai fedeli di Sezze. Da questa sera, quindi, flash-mob dai balconi del quartiere e diretta su internet, tutti insieme a pregare il Rosario. Ecco le parole del nostro Parroco Padre Damiano: “In questi momenti in cui ci sembra di essere soli, ricordiamoci delle parole del Salmo “Non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d'Israele” (Sal 121,4): chiediamo a Dio per mezzo della sua Immacolata Madre che assista tutti coloro che, malati, medici e infermieri, vittime con i loro familiari, sono impegnati in questa lotta e che salvi la nostra città, il nostro Paese e il mondo intero da questa epidemia. Per questo, da questa sera ci riuniremo tutti insieme per pregare il Rosario, ma non potendoci riunire fisicamente lo faremo con un flash-mob: sui balconi alle 18.00 eleveremo le nostre preghiere al Cielo”.

 

La Cattedrale di Santa Maria di Sezze

 

Pubblicato in Attualità
Domenica, 15 Marzo 2020 06:54

Come ci cambierà il virus

 

 

 

 

 

Viviamo l’esperienza del tempo rallentato, dilatato, che ha smesso di inseguirci in modo forsennato, in una corsa a perdifiato verso un altrove e un ulteriore inafferrabili e in fondo imprecisabili. Siamo immersi in una dimensione del vivere che ci lascia lo spazio e l’opportunità di assaporare lo scorrere di ogni singolo istante, di farlo nostro profondamente e autenticamente, di sperimentarne irripetibilità ed essenzialità, al contempo accorgendoci di quanti istanti unici abbiamo perso per distrazione, per superficialità o perché presi da mille affanni.    

Viviamo l’esperienza degli spazi angusti, delle mura amiche delle nostre case che avvertiamo soffocanti, opprimenti. Confinati in casa, ci aggiriamo da una stanza all’altra all’inseguimento di un soffio di quella desiderata libertà che questa prigionia forzata sembra sottrarci goccia a goccia, in un distillato lento, amaro e duro da trangugiare. Tuttavia se ci fermiamo un istante percepiamo che proprio quelle mura, invalicabili e ostili, raccolgono le nostre storie, raccontano l’ordinarietà delle nostre vite, i piccoli gesti carichi di amore, le presenze di familiari e amici date per scontate al punto da non coglierne più la potenza arricchente, l’asprezza di conflitti, piccoli e grandi, a motivo di inquietudini e nervosismi che il quotidiano ci riserva, la dolcezza di parole scambiate, di carezze date e ricevute a cui spesso non attribuiamo il giusto peso e la necessaria importanza. Abbiamo l’opportunità di ricostruire e recuperare il significato della normalità degli affetti che ci rende pienamente noi stessi, senza la quale saremmo perduti in un indistinto senza emozioni e perciò senza futuro.

Viviamo l’esperienza del guardare lo scorrere degli eventi umani da una prospettiva inedita, distante dalle abitudini consolidate. Troppe volte dimentichiamo che ogni avvenimento, personale o collettivo, è tale nella sua oggettività esterna ed esteriore, ma si riverbera nella nostra interiorità, produce effetti nel nostro io, inducendoci a pronunciare parole e compiere scelte. Aver rallentato il flusso del vivere, ci offre l’opportunità di prendere coscienza di quanto sia importante, anzi vitale, affacciarci nel mondo dalla finestra della nostra interiorità, da un punto d’osservazione e valutazione realmente nostro, liberandoci da suggestioni esterne accattivanti, da condizionamenti spesso subdoli e nascosti, da punti di vista per partito preso, indotti da manipolatori esperti e senza scrupoli che tentano in ogni modo di orientare opinioni e desideri, illudendoci che siano nostri. Fare a meno di riflettere e ragionare e accodarci al flusso delle opinioni prevalenti, è spesso una soluzione comoda ma di certo non è un buon affare, perché è cessione inaccettabile della nostra libertà.          

Viviamo l’esperienza del viaggiare pur restando fermi, dello scoprire luoghi e culture sorprendenti, solo in apparenza estranee e lontane perché tutte innervate di quella umanità che è nostra e di tutti parimenti, sia pur declinata secondo linguaggi e in contesti relazionali differenti ma in fondo uguali. La passione ardente negli occhi degli innamorati, i moti di rabbia e ribellione per una libertà o un diritto negato, l’ostilità e il rancore per un torto subito possono essere espressi con suoni e timbri diversi, nelle mille lingue di Babele, ma tutte raccontano la nostra unica essenza.     

Viviamo l’esperienza della fragilità, della debolezza, della malattia che possiede le sembianze di un virus sconosciuto, che ci ha aggredito e ha sconvolto le nostre vite, rendendo necessario l’isolamento in casa, per tanti il ricovero in una asettica stanza di rianimazione e facendo sperimentare la più terribile delle esperienze umane, la morte, a quanti non ce la fanno, in particolare anziani, senza il conforto di una presenza, di uno sguardo, di una voce familiare che possa renderla più sopportabile. Trovo bellissime le parole di Eugenio Borgna, il quale nel suo saggio “La fragilità che è in noi”, ci ricorda che così come la sofferenza passa ma non passa mai l’avere sofferto, così la fragilità “è un’esperienza umana che, quando nasce, non mai si spegne in vita e che imprime alle cose che vengono fatte, alle parole che vengono dette, il sigillo della delicatezza e dell’accoglienza, della comprensione e dell’ascolto, dell’intuizione dell’indicibile che si nasconde nel dicibile”.

Viviamo l’esperienza del rifiuto, dei porti chiusi, del vederci respinti e indesiderati, del sentirci dire “non ti vogliamo”, di essere considerati moderni untori di un morbo dispensatore di sofferenze e morte. Tutto ciò inciderà la nostra carne viva e potrà essere occasione per ripensare profondamente quello che fin qui siamo stati, i tanti atteggiamenti stupidi e abominevoli di cui ci siamo resi interpreti. La speranza è che le lacrime versate in questi giorni possano essere il farmaco potente che sconfigge un’altra malattia che ha infestato menti e cuori in questi ultimi anni, la cultura dello scarto, della cattiveria, del respingimento degli ultimi del mondo che bussano alle nostre porte in cerca di futuro e di mettere in circolo nelle vene della nostra società gli anticorpi della solidarietà, dell’accoglienza e dell’amore.

Viviamo l’esperienza del sentirci un “noi” e non più esclusivamente un “io”, chiusi nell’autoreferenzialità, indifferenti a quanto ci accade intorno, impegnati a custodire il nostro spazio egoistico. Ci siamo riscoperti comunità e da questa emergenza possiamo ricavare una lezione straordinaria di fratellanza e condivisione: la tua vita è anche la mia, la mia salvezza non dipende solo da me ma anche dagli altri e sono chiamato a collaborare per costruire il bene di tutti, il bene comune, proteggendo i più deboli, i più esposti, gli anziani, i malati, i bambini…. L’isolamento poi è solo apparente perché gli altri sono presenti accanto a noi con la loro lontananza e la loro assenza, è atto sociale di profonda solidarietà ed esercizio massimo della libertà che è realmente tale se non dimentichiamo le conseguenze delle nostre azioni nella vita degli altri, della nostra città e dell’intero Paese. Soprattutto abbiamo scoperto che i veri eroi, gli idoli da ammirare e imitare sono quanti nel silenzio e nel nascondimento, quotidianamente spendono le loro esistenze per gli altri, i medici, gli infermieri in questo frangente particolare e in generale quanti operano in modo disinteressato e senza clamori e fanfare aiutando quanti hanno bisogno.

Pubblicato in Riflessioni