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I diritti umani devono avere un ruolo maggiore nell’assegnazione delle manifestazioni. Non dovrebbe succedere di nuovo in futuro. I diritti umani, le dimensioni del Paese: tutto questo, a quanto pare, non è stato preso in considerazione. E i giocatori non possono far finta di non saperlo”. Philipp Lahm, ex capitano del Bayern Monaco e della Germania campione del mondo nel 2014, ha motivato con queste parole la decisione di non far parte della delegazione tedesca ai Mondiali di Calcio in Qatar. Una scelta forte di un uomo di sport, un campione, che non ha voluto chiudere gli occhi dinanzi ad una realtà gravissima, che non si è fatto irretire dallo scintillio dello spettacolo del calcio, bello e coinvolgente, dagli alberghi all’avanguardia e dagli stadi avveniristici costruiti e rinnovati in questi anni, in grado di ospitare fino a 1,2 milioni tra tifosi, giornalisti, membri delle squadre, con un investimento di quasi sei miliardi di euro e ha voluto evidenziare il pesantissimo costo umano pagato per realizzarli e più in generale la condizione politica e sociale di un paese, il Qatar, nel quale i diritti umani sono sistematicamente violati.
 
Qui si farà la storia” ripetono gli organizzatori, uno degli slogan scelti anche dal governo del Qatar. Certo sono i primi campionati mondiali di calcio organizzati in un paese del Medio Oriente e per la prima volta le partite si giocano in inverno anziché in estate, come da tradizione. Tuttavia non bastano i numeri stellari degli investimenti e non è assolutamente ricevibile l’invito di Gianni Infantino e Fatma Samoura, rispettivamente presidente e segretario generale della Fifa, i quali hanno chiesto ufficialmente alle federazioni delle 32 nazionali che partecipano di non porre in atto iniziative di protesta e di critica nei confronti del Qatar per il mancato rispetto dei diritti umani, in relazione o meno con l’organizzazione del torneo. Tanto è vero che alcune federazioni europee hanno deciso di non tacere e ribadito che seguiteranno a battersi per i diritti umani. Prese di posizioni queste assai importanti alla luce soprattutto delle dichiarazioni dell’ambasciatore dei Mondiali Khalid Salman, il quale ha tenuto a ribadire che in Qatar l’omosessualità è considerata un disagio mentale.
 
I mondiali di calcio possono essere l’occasione per fare luce sulla realtà del Qatar, a partire dalla condizione di oltre due milioni di lavoratori migranti da Asia e Africa, che rappresentano il 90% della forza lavoro dell’emirato, passando per la questione dei diritti umani, negati non solo ai lavoratori ma anche alle minoranze nel Paese, alle donne e alla comunità LGBTQ+.
 
Secondo quanto sostenuto dall’Autorità per la Pianificazione e le Statistiche dal 2010, anno d’assegnazione dei mondiali, al 2019 nel Qatar sono morti 15.021 lavoratori stranieri di ogni età e occupazione, di cui il 63% di origine asiatica e l’87% uomini. Il quotidiano “The Guardian” afferma che le vittime accertate sono circa 6.500, la cui morte è stata causata dalle condizioni di sfruttamento estremo e dai colpi di caldo. Le autorità del Qatar hanno certificato che la gran parte di loro sarebbe deceduta per problemi cardio-circolatori, cioè per cause naturali. Pertanto non è stato eseguito alcun approfondimento e tantomeno sono stati previsti risarcimenti.
 
In Qatar i lavoratori migranti non possono costituire sindacati né aderirvi. È loro consentito far parte dei comitati congiunti, organismi diretti dai datori di lavoro, in cui è prevista una rappresentanza di lavoratori. I comitati congiunti non sono obbligatori per legge e ne fanno parte solo il 2% dei lavoratori. Chiunque tenti di esercitare il diritto di manifestare rischia pesanti conseguenze, tanto che nell’agosto scorso centinaia di lavoratori migranti sono stati arrestati ed espulsi per aver preso parte ad un corteo nella capitale Doha contro l’azienda che non aveva pagato i salari.
 
In Qatar è negata la libertà di espressione e associazione. La libertà di stampa è fortemente limitata da crescenti vincoli imposti agli organi di informazione, come ad esempio il divieto di girare riprese in edifici governativi, ospedali, università, alloggi per lavoratori migranti e abitazioni private.
 
Nell’ultimo decennio quanti hanno criticato le istituzioni sono stati arbitrariamente arrestati. Gran parte degli imputati sono stati interrogati in assenza degli avvocati, sono stati tenuti in isolamento, non hanno potuto avvalersi dell’ausilio di interpreti, sono stati torturati e condannati in base a confessioni estorte con la forza. 
 
Le donne sono discriminate sia per legge sia nella prassi quotidiana. Per sposarsi, studiare all’estero, lavorare nella pubblica amministrazione, viaggiare all’estero se hanno meno di 25 anni e accedere ai servizi di salute riproduttiva devono ottenere il permesso del tutore maschile che sia il marito, il padre, un fratello, un nonno o uno zio. Il diritto di famiglia rende molto complicato il divorzio e, nei rari in cui riescono ad ottenerlo, le donne subiscono ulteriori discriminazioni di natura economica. Inoltre non sono protette adeguatamente in caso di violenza domestica e sessuale.
 
Il codice penale condanna vari atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso e prevede il carcere per chi “guidi, induca o tenti un maschio, in qualsiasi modo, a compiere atti di sodomia o di depravazione” e chiunque “induca o tenti un uomo o una donna, in qualsiasi modo, a compiere atti contrari alla morale o illegali”. Le organizzazioni per i diritti umani hanno segnalato casi in cui le forze di sicurezza hanno arrestato persone Lgbtqia+ in luoghi pubblici solo per la loro espressione di genere e le hanno obbligate a seguire terapie per la conversione come condizione per la scarcerazione.
 
L’amore per il calcio, il piacere di assaporare l’atmosfera vibrante che si respira allo stadio non può costituire un anestetico per le coscienze, farci dimenticare che al primo posto ci deve essere sempre il rispetto dei diritti e delle libertà delle persone e che occorre battersi quotidianamente per la loro integrale e universale affermazione.   
Pubblicato in Riflessioni

 

Al gonfalone della Città di Sezze è stata conferita dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella la medaglia al merito civile per onorare il comportamento nobile e dignitoso tenuto dalla comunità di Sezze nell'affrontare i disastri ed il terrore della seconda guerra. Fu il Sindaco Andrea Campoli nel 2016 a prendere l'iniziativa, il cui iter amministrativo venne seguito dal dirigente Piero Formicuccia il quale curò tutti gli atti relativi alla deliberazione di giunta e l'invio agli organi competenti. La “Relazione illustrativa delle motivazioni legittimanti l'istanza per il conferimento di una medaglia al merito civile in favore del gonfalone del Comune di Sezze” venne redatta invece da Francesco Petrianni, Presidente dell'Associazione “Le decarcie”, con la consulenza storica di Luigi Zaccheo. Gli atti furono trasmessi alla Prefettura di Latina affinché inoltrasse l'istanza di conferimento al Ministero dell'Interno. Infatti le medaglie al merito civile sono conferite con decreto presidenziale su proposta del Ministero dell'interno, sentita la Commissione competente per la concessione delle ricompense al valore civile. Proprio il 17 novembre il Prefetto di Latina ha comunicato al Comune di Sezze l'avvenuto conferimento della Medaglia d'oro al valore civile alla nostra comunità per le tante ferite e vittime della seconda guerra mondiale. 

L'ex Sindaco Andrea Campoli scrive: " Un giusto riconoscimento per i sacrifici umani e materiali che la nostra Comunità subì durante la seconda guerra mondiale. Ricordo che durante le cerimonie ufficiali il nostro gonfalone entrava tra gli ultimi perché nessuno aveva mai riconosciuto il valore e l'eroismo delle nostre genti, nel momento del dolore e della ricerca della libertà dal nazifascismo. il nostro gonfalone di una medaglia d'oro ad imperitura memoria della nostra Storia. Sarò apparentemente lontano dalla vita civile della mia amata Sezze, ma queste cose continuano a farmi scoppiare il cuore di orgoglio".

Attingendo a fonti storiche ed orali di studiosi locali, la relazione allegata alla deliberazione ricostruisce un periodo storico, breve ma carico di lutti, con l'alto tributo pagato alla guerra dalla comunità sezzese in termini di vite umane, di feriti e mutilati nonché l' ampia portata delle distruzioni sul territorio. Ma soprattutto testimonia e rievoca il grande sacrificio sofferto dalla popolazione per sfuggire ai bombardamenti, ai rastrellamenti ed alle persecuzioni.

"In soli cinque mesi, da gennaio a maggio del 44 - ricorda Piero Formicuccia - sono oltre quaranta gli eventi bellici accertati che colpiscono la popolazione e il territorio di Sezze. Non episodi occasionali, ma ripetute e frequenti azioni di guerra fanno di Sezze un teatro in cui la guerra si combatte ovunque. Il campo inferiore, il centro storico e la conca di Suso sono tutti obiettivi perché diffusa nel territorio è la presenza dei tedeschi. Nessun luogo è logicamente sicuro. Si muore dentro le case, nelle chiese, nelle grotte, lungo le strade, nel centro abitato e in aperta campagna e si continua a morire ea ferirsi per l'esplosione di mine disseminate. Le cannonate colpiscono i rifugi di fortuna. Gli ordini di guerra arrivano ovunque. Il volto della guerra è terribile e si rivela nelle forme più diverse e nei modi più sconvolgenti. Enormi uccelli meccanici fanno tremare la terra come un terremoto a comando. Arrivano i bombardamenti e con essi le morti, le distruzioni, gli sfollamenti e gli ordini di evacuazione. La popolazione sezzese, nelle circostanze tragiche, ha saputo assumere orgogliosamente comportamenti solidali e civili, per non dire eroici, a differenza di chi, pur tenuto a prodigarsi per le cariche che ricopriva, ha preferito darsi alla fuga. Il clima di terrore e l'atmosfera di morte spaventano la popolazione, lasciando segni indelebili. Due sono i bombardamenti che mietono il maggior numero di vittime. Quello del 25 gennaio si abbatte nella zona di Santa Maria e una ventina di persone (dicono i testimoni) resta sotto le macerie. In quello del 21 maggio, che colpisce l'area della chiesa di Sant'Andrea, le vittime sono molte di più, una settantina. Il numero stimato dei morti nel periodo supera le 120 unità e non tutte le vittime hanno ancora avuto un nome. Sappiamo che sono stati tanti i bambini a morire perché la loro ingegnosità li ha resi più indifesi e più esposti. La distruzione di edifici pubblici e religiosi, delle abitazioni, delle piazze, delle strade e dei ponti, le razzie e le richieste colpiscono il patrimonio materiale dei cittadini, delle istituzioni e degli istituti. Enormi sono i danni all'agricoltura e agli allevamenti di bestiame. Ma, vivendo sotto i bombardamenti, i sezzesi riescono a proteggere gli ebrei ad aiutare i compaesani dai soprusi, a ribellarsi a rischio della morte ea morire per difendere le donne. Le donne si fanno uccidere per non cedere alla violenza. Si sopravvive e si muore per vivere. Nessuno si sottrae al dovere di solidarietà".   

Diversi sono gli episodi bellici e diverse le persone che suscitano un sentimento di riconoscenza e meritano di essere additate per l'esempio dato. Tra quelli particolarmente significativi ricordiamo:

- Margherita Bondì , morta nelle camere a gas di Auschwitz;

- Elide Rosella , morta per resistere alla violenza dei soldati del CEF;

- Spaziani Oliva , incinta al settimo mese di gravidanza, morta per ferita da armi da fuoco ricevuta da soldati del CEF;

Aldo Bottoni , partigiano fucilato dai nazisti;

- Giuseppe Lombardo , carabiniere, morto per portare soccorso durante il bombardamento;

- Andrea Novelli , morto insieme a Salvatori Crocefissa, donna disabile, nel tentativo di salvarla.

 Ma non possiamo dimenticare quelle decisioni e decisioni di cittadini morte per le azioni belliche, coloro che, senza nome, rischiarono la vita per proteggere e salvare vite umane e quanti affrontarono la fame, lo stremo, gli stenti ei sacrifici, le rappresaglie, le deportazioni e le barbarie, con dignità, fierezza e solidarietà.

 

 

Pubblicato in In Evidenza