Allarme fenomeno baby gang a Latina
IL fenomeno delle baby gang è in netta ascesa anche nella città di Latina. Credo che bisogna maggiore attenzione per porre un freno alla violenza di ogni genere. C'è troppa indifferenza, sia dell’opinione pubblica che dalle forze dell’ordine e dalle istituzioni, bene ha fatto la procuratrice Lucia Spinelli a porre il problema delle baby gang. Noi come “per Latina 2032” ancora l’anno scorso ponemmo questo problema attraverso una nostra indagine nell’indifferenza più totale e bene ha fatto il nostro capo gruppo comunale Nazzareno Ranaldi a proporre la figura dell’educatore di strada, che potrebbe essere un mediatore tra i ragazzi, il loro quotidiano, il territorio e le opportunità che possono stimolarli nella soddisfazione dei bisogni di crescita e di formazione umana. Il tutto in stretto contatto con le istituzioni e i servizi social in particolare, ci deve essere un intervento attivo in tutta la città, ma con particolare attenzione alle periferie e zone più degradate ritenute maggiormente a rischio e non a una città basata solo sulla repressione per l’ordine pubblico con l’utilizzo delle ronde cittadine che vuole istituire il centro destra.
Ma veramente pensiamo che il disagio giovanile, vuoi per i ragazzi italiani (anche benestanti) o stranieri di seconda generazione si possa affrontare con la repressione, con la istituzione di ronde o sentinelle? Con il rischio di “scatenare guerre tra bande“. Va stimolato invece il coinvolgimento di tutta la comunità, tre punti vanno tenuti fermi: la famiglia, la scuola e politiche sociali inclusive. I fatti di cronaca parlano di violenze ripetute, furti e traffico di stupefacenti messi a segno da bande di minorenni e giovani adulti (ragazzi e ragazze fino a 25 anni). Su una nostra inchiesta, abbiamo potuto verificare, che i nostri giovani si ispirano alle organizzazioni dell’America Latina. Mettono le loro gesta su Instagram; nella banda, spesso, trovano famiglia, fedeltà, casa e lavoro. Si sentono invincibili e si atteggiano come i protagonisti della serie tv “GOMORRA”. Se ci rechiamo la sera a piazza San Marco o piazza della libertà, per non parlare zona pub o i luoghi più degradati (sono luoghi dove si concentrano le baby gang), notiamo che sono tutti ragazzi e ragazze minorenni o appena maggiorenni, con brufoli e volti senza barba. Ma in loro c’è qualcosa di diverso e di invalicabile: si sentono già adulti. L’architettura del branco emula quello delle gang latine: il reclutamento parte dai banchi di scuola o spesso sulla strada, si inizia per gioco per poi farlo diventare un mestiere e la violenza è vista come una forma di riconoscimento. Per baby gang si intende “microcriminalità organizzata” , ossia gruppi strutturati con un proprio modo di operare e un capo al comando, che scorrazzano per lungo e largo nella nostra città. In molti casi, questi gruppi possono essere autonomi mentre altre volte fanno parte di sistemi di macro criminalità strutturati nel sistema della nostra città, che li fagocitano. A Latina mancano spazi di aggregazione giovanile, luoghi dove il giovane oltre ad incontrarsi può contare su iniziative di aggregazione in sicurezza. A Latina la sicurezza langue, dopo le 20,00 c’è il coprifuoco, forze dell’ordine zero. I dati dell’osservatorio Nazionale degli Under 18 ci dicono che il 7 % vive esperienze di criminalità collettiva, il 16% ha commesso atti vandalici e tre ragazzi su dieci hanno partecipato ad una rissa. Sono in maggioranza minori Italiani (12 mila contro 4 mila stranieri), il fenomeno denunciato dalla Spinelli va approfondito e non può restare inascoltato. In gergo si chiama effetto branco, in quanto il limite del gruppo diventa il limite individuale, e la percezione è quella di poter condividere il peso morale di ogni azione, per quanto brutali esse siano. Fino al punto della de responsabilizzazione totale, per cui picchiare un ragazzo a morte o offendere verbalmente altri giovani e riprendersi sui social mentre si fuma uno spinello diventa un atto normale. E poi non dimentichiamo, che oltre al disagio giovanile , tre ragazzi su dieci lasciano il nostro paese per realizzarsi. Ma vogliamo fare qualcosa? Non basta fare leggi sulla sicurezza o ronde e non fare nulla sulle politiche dei giovani italiani e stranieri…si apra finalmente un vero dibattito nella città e si dia un giusto riferimento ai giovani.
Primo premio per "una storia d'amore alla sezzese" di Franca Salino
Si è svolta Sabato 23 agosto, nello stupendo scenario del Castello Baronale di Maenza, la cerimonia di premiazione della 1 Edizione del Premio letterario Nazionale Biennale - anno 2025 dal titolo “Le nostre Radici -I canti della nostra terra” con intermezzi musicali dei Tenori Pontini Antonio de Asmundis e Cristian Pietrosanti, accompagnati al pianoforte dal maestro Nicola Franco.
Precisamente il Premio Letterario, ideato da sodalizi culturali, era suddiviso in due sezioni (Narrativa e Poesia) e due sottosezioni (in lingua italiana e in dialetto). Relatori dell’Evento Paola Cacciotti, scrittrice e delegata alla cultura del Comune di Maenza; Gabriella Nardacci, scrittrice; Raniero Pasquali, appassionato di cultura dialettale; Antonella Perazzetta, operatrice culturale e laureata in scienze dell’educazione; Antonio Scarsella, operatore culturale e scrittore e Quirino Briganti, Presidente della Compagnia dei Lepini.
Si è trattato di un evento che mira a celebrare parole, emozioni e tradizioni che sappiano cantare, raccontare la terra lepina in forme espressive idonee a comunicare emozioni ed a narrare storie con ambientazioni e personaggi che hanno lasciato tracce di vita quotidiana locale utili per ricostruire il passato non molto lontano e che assolutamente rientrano all’interno della Letteratura laziale, alle “radici” degli abitanti e alla valorizzazione della ricchezza culturale nonché della diversità del territorio lepino".
E’ su questo filone che si inserisce il componimento di Franca Salino, dal titolo “Una storia d’amore alla sezzese” che la Giuria ha messo in evidenza con una valutazione del caso in questi termini: “Un racconto dove l'amore e il coraggio superano le barriere delle maldicenze popolari, fatte di invidia e di paura del forastiero per portare speranza e armonia anche nelle antiche tradizioni popolari", e a cui è stato assegnato il 1° premio. A chiusura, la Signora Salino ha dedicato il premio al Paese di Sezze e a tutta la sua famiglia.
Complimenti vivissima alla nostra Franca Salino, donna sempre attiva nel panorama culturale di Sezze e protagonista della valorizzazione della nostra storia.
Di Capua scrive ai Ministri, alla Regione e al Prefetto per la vicenda delle lapidi
Paolo Di Capua non si ferma e in merito allo spostamento delle Lapidi commemorative a Sant'Andrea ha scritto e inviato una lettera al Ministro dell'Intero Matteo Piantedosi, al Ministro della Difesa Guido Crosetto, al Ministro della Cultura GIULI Alessandro, al Presidente della Regione Lazio Francesco Rocca e al Prefetto di Latina Vittoria Ciaramella.
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Signori Ministri, Signor Presidente Regione Lazio, Signor Prefetto di Latina, a Sezze Comune in Provincia di Latina il Sindaco Lucidi, senza nessuna autorizzazione e indirizzo dell’organismo rappresentativo comunale, ha inteso provvedere a far ristrutturare, opera meritoria, delle lapidi commemorative in memoria delle vittime del bombardamento di Sant'Andrea Chiesa sita nella omonima Piazza, luogo di incontro fra cittadini e capolinea del Cotral Trasporti da Sezze verso tutte le località e il Capoluogo. Luogo questo dove in data 21 maggio 1944 persero la vita 71 persone accertate, tra cui il carabiniere Lombardi. L'amministrazione comunale di Sezze, pensando di fare cosa gradita, ha rimosso le lapidi per un rifacimento delle stesse ma non ricollocandole nella stessa edicola, ma, installandole in via San Carlo, su immobile e luogo diverso, in cui vennero sganciate le bombe da parte del B-24 in dotazione all'esercito americano.
1 sottoscritto Giovanni Paolo Di Capua in qualità di erede di padre combattente e reduce della 1' guerra mondiale ho sollecitato il sindaco Lidano Lucidi a ricollocare le lapidi commemorative dei nostri concittadini uccisi, nel luogo originario dove circa 51 anni or sono (11 Maggio 1975) con una solenne manifestazione a cui aderirono più di 5.000 persone oltre alle autorità, parlamentari e rappresentanti della chiesa dell’epoca, vennero poste nella facciata delle mura antiche della chiesa di Sant’Andrea, nel frattempo ricostruita. Questa iniziativa di spostare tali lapidi la ritengo un modo per cambiare la storia, stravolgendo il luogo commemorativo.
Chiedo, alle SS.VV. di intercedere nei confronti del Sindaco affinché le lapidi vengano riposizionate a Porta Sant'Andrea, luogo esatto dove ci fu il bombardamento, perché la storia non può e non deve essere cambiata. Così stanno offendendo la memoria dei caduti e dei familiari molti ancora in vita. Al riguardo, a nome dell’Associazione Combattenti e Reduci Vi preghiamo di adottare ogni utile iniziativa affinché il Sindaco ricollochi dette Lapidi nel luogo che da 51 anni & stato oggetto di ricordi e referenziali commemorazioni a ricordo perenne di tale avvenimento nefasto per il paese e per i familiari.
Giovanni Paolo Di Capua
Figlio di Combattente e Reduce
della 1' Guerra Mondiale
Cavaliere di Vittorio Veneto
