A Gaza non c'è una guerra.
Le guerre si combattono tra eserciti, tra forze armate create dagli stati, strutturate e organizzate, con catene di comando riconoscibili e modalità di ingaggio definite.
Le regole della guerra sono il diritto internazionale umanitario, che disciplina la condotta dei conflitti armati, per proteggere persone e beni civili e limitare le sofferenze delle persone. I suoi principi includono la distinzione tra obiettivi militari e civili, la proporzionalità e la precauzione finalizzate ad evitare danni sproporzionati ai civili, il divieto delle sofferenze inutili e la protezione dei combattenti feriti, dei prigionieri, del personale sanitario e degli operatori dell’informazione.
A Gaza c'è un esercito, uno dei meglio organizzati e più potenti al mondo, che combatte una banda armata, un gruppo di tagliagole, di terroristi, di feroci assassini, di stupratori di donne e bambini, di sequestratori e torturatori senza scrupoli, una feccia indefinibile, responsabile dell'orrore del 7 ottobre, che tiene ostaggio la popolazione palestinese e la schiaccia sotto il tallone della violenza.
A Gaza, in nome dell'annientamento di Hamas, si sta però consumando una immane tragedia e le regole del diritto internazionale umanitario sembrano essere completamente disattese, dimenticate e violate e vittima è la popolazione palestinese, sottoposta a brutalità indicibili, a bombardamenti indiscriminati, stuprata con l'arma orribile della fame.
No, non è antisemitismo denunciare tali atrocità, tantomeno significa schierarsi contro Israele, mettere in discussione l'esistenza dello stato ebraico, teorizzarne la cancellazione dalla carta geografica mondiale e tantomeno contestare la liceità della reazione, l'esercizio del diritto alla legittima difesa dopo le atrocità perpetrate dai terroristi di Hamas.
La verità è un'altra e occorre avere il coraggio di gridarla con forza, unendo la nostra voce a quella delle migliaia di cittadini israeliani scesi in piazza contro il proprio governo, composto da estremisti di destra, condizionato da partiti ideologicamente suprematisti e neofascisti, il cui obiettivo dichiarato è l'annientamento dei palestinesi, la loro cacciata definitiva dai territori da sempre da loro abitati, il loro esodo forzato e il loro esilio definitivo nei paesi arabi confinanti, l'annessione di Gaza e Cisgiordania allo stato ebraico, cancellando per sempre la possibilità di creare uno stato di Palestina, secondo la formula due popoli e due stati sancita dalle risoluzioni delle Nazioni Unite.
L'attacco di Hamas è divenuta l'occasione per consentire ai suprematisti e razzisti dell'estrema destra israeliana di portare a compimento il loro folle disegno della Grande Israele e poco importa se questo significa perpetrare orrori, sacrificare migliaia di vite umane, causare sofferenze a persone innocenti e non ultimo violentare le stesse istituzioni israeliane, distorcere il sistema democratico, introdurre principi normativi di matrice palesemente razzista. Il tutto con buona pace di quanti continuano, con piena ragione, a sostenere che Israele è l'unica democrazia del medio oriente, ma che fingono di non vedere che proseguendo su questa strada rischia di trasformarsi in altro, in uno stato autoritario, in una autocrazia estremista e in una teocrazia.
La democrazia è forma, ma anche sostanza. Non è sufficiente avere istituzioni elettive, garantire apparentemente la possibilità ai cittadini di partecipare ai passaggi elettorali ed esprimere il proprio voto. È indispensabile promuovere concretamente l'uguaglianza tra i cittadini a prescindere dall’appartenenza a gruppi etnici, culturali o religiosi. Fatte salve le dovute eccezioni, gli arabo – israeliani sono considerati in Israele figli di un dio minore, discriminati e limitati nell’esercizio dei loro diritti di cittadinanza. A riprova di ciò sta il fatto che se è vero che nel parlamento israeliano siedono deputati eletti nelle liste di partiti della minoranza arabo-musulmana, al contempo esiste nei loro confronti una conventio ad escludendum, per cui nessun partito è disponibile ad accettare di formare un governo con il loro sostegno parlamentare. Insomma sono considerati dei paria, degli appestati, degli intoccabili e inavvicinabili, sebbene stiano all'interno delle istituzioni democratiche e le accettino pienamente.
Israele è una democrazia che tollera, e anzi il governo Netanyahu fomenta, le continue violenze perpetrate dai coloni ebrei, sia dentro il territorio israeliano sia in Cisgiordania, ai danni dei palestinesi, i cui villaggi vengono sistematicamente attaccati e dati alle fiamme e i loro abitanti vengono brutalmente cacciati dalle loro terre e assassinati per consentire l'espandersi in maniera illegittima e illegale di nuovi insediamenti ebraici. Siamo in presenza di una vera e propria pulizia etnica perpetrata attraverso uno stillicidio quotidiano di violenze. È intollerabile, per ogni coscienza autenticamente democratica, assistere impassibili ad un simile scempio e all'impunità garantita a suoi responsabili
Oggi uno dei nemici più esiziali di Israele è il governo estremista di Netanyahu, un corrotto che dovrebbe essere tradotto nelle patrie galere e non certo guidare il paese, il più grande fomentatore dell'antisemitismo che sta trasbordando pericolosamente in vari paesi del mondo, i cui interessi sono paradossalmente convergenti con quelli dei nemici esterni dello stato ebraico, dagli ayatollah iraniani ai terroristi di Hamas. Il primo ministro israeliano sta usando la guerra per mantenersi al potere e garantirsi l'impunità, per evitare di rendere conto dei propri crimini e non gli importa nulla se il costo sarà quello di alimentare un odio che perdurerà per generazioni e renderà impossibile la pacifica convivenza, nella convivialità delle differenze, in quella regione e il dare la stura ad un terrorismo globale che colpirà in ogni parte del mondo
La vera amicizia non è mai accondiscendenza, approvazione acritica di ogni decisione e azione, ma richiede sempre il coraggio della verità, di indicare gli errori, di richiamare al rispetto della giustizia, di spronare al bene e al buono.
Non amano Israele, non sono suoi amici quanti con pavidità e complicità non ne denunciano gli errori, non pretendono con tutti i mezzi leciti e del diritto internazionale che venga arrestata la spirale perversa in cui è precipitato, non prendono posizione in maniera netta e chiara perché inverta la rotta e saranno chiamati a risponderne di fronte alle proprie coscienze e alla Storia.