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Qualche giorno fa ho letto su una testata online una notizia di cronaca locale. Ad aver catturato la mia attenzione, però, più che il contenuto, è stato il titolo. “Latina, il crocifisso nell’auto di un 54enne di Sezze rubato dalla chiesa di San Matteo”. A scuola mi sarei divertita moltissimo ad interpretare questo titolo ambiguo e a tracciarne diverse storie con gli studenti.

Traccia n. 1. “Nella chiesa dedicata a San Matteo era stato rubato un crocifisso e questo è stato trovato nell’auto di un 54enne di Sezze.”

Traccia n. 2. “La chiesa dedicata a San Matteo ha rubato un crocifisso che era nell’auto di un 54enne di Sezze.”

Traccia n. 3. “Un 54enne è stato sequestrato mentre si trovava nella chiesa di san Matteo e poi imprigionato nella sua auto con un crocifisso”.

Di un colpo mi sono venuti in mente ricordi della mia esperienza “sul campo” e di tutti i giochi linguistici che mi piaceva fare con gli studenti, spesso per sottolineare l’ambiguità dei significati quando si compiono errori ortografici o si collocano le parole secondo posizioni non proprio ortodosse. Marco, prima media, mi diceva sempre “Prof, non riesco proprio a controllarmi: scrivo sempre cuore con la q!”. Che emozione per me quella sua affermazione! Uno dei libri che ho amato di più è stato il “Libro degli errori” di Gianni Rodari: grandi risate a leggere dei terribili gemelli Marco e Mirco, a girovagare con Giovannino Perdigiorno. E il professor Grammaticus? Mi ero pure meritata in famiglia, quando facevo cose senza senso, il nome di Pier Tonta, per gli amici Tontina… Cosa potevo dire a Marco se non che un cuore malato è davvero con la q? Un cuore che soffre per un amore non corrisposto, per un litigio con l’amico preferito… Ho provato ad immaginare che quando Marco scriveva quore, aveva ragioni da vendere a renderlo così sofferente o così speciale: del resto la c è una consonante graficamente aperta, che lascia scappare il sentimento, la q invece lo racchiude nel suo cerchio perfetto con quel sentiero in basso pronto, forse, ad essere percorso. Dimitri, compagno di banco di Marco, durante una verifica mi chiese “Prof, ma eccezionale si scrive con una zeta o con due?” Caro Dimitri, chissà come ti sei sentito quando la tua prof non ti ha dato una risposta, ma ha a sua volta obiettato “Dipende. Se davvero è un evento o una qualità o un oggetto di notevole e straordinaria portata, io ne metterei anche tre!” Quanti di noi leggono sulle epigrafi funebri “Ne danno il triste annuncio: la famiglia tutta”? Tutti pensiamo che quel povero defunto aveva tanti cari a compiangerlo, una famiglia così numerosa da meritare pure il verbo al plurale! Che bello poi vedere scritto “forsa” con la esse e non con la zeta! Il sogno di un mondo che progressivamente vuole eliminare la violenza distruttiva, che prova a mitigarla con il segno avvolgente e morbido della esse al posto della spigolosa e sonoramente potente zeta… E scrivere “forze mi sbaglio”? Rafforza davvero la caduta delle grandi ideologie e verità, apre al dubbio, alla possibilità, alla riflessione che il proprio punto di vista deve incontrarsi – in un dialogo costruttivo – con quello del prossimo. Gli errori di ortografia sono così: hanno una loro bellezza, nascondono significati che lasciano immaginare nuove storie; ogni errore apre un mondo di interpretazioni. Sta a noi leggere sempre con gli occhi pieni di stupore e non fermarsi alla notazione dell’errore, ma riflettere sul significato che può avere. Di sicuro i ragazzi si faranno una bella risata e ci penseranno due volte a compiere lo stesso errore. O forse Marco alla compagna che lo ha tradito dirà ancora oggi che lo ha ferito profondamente al quore?

Pubblicato in Riflessioni