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Fare i conti con il 7 ottobre
“I lupi sono entrati in città; li percepiamo, li sentiamo; ...
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Riflessioni
Domenica, 29 Settembre 2024 05:47
“I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss” (Enrico Berlinguer).
Era il 1981 quando Enrico Berlinguer, segretario del PCI, pronunciò queste parole in una famosa intervista concessa a Eugenio Scalfari e pubblicata su “Repubblica”.
Il cuore del ragionamento del segretario del PCI era politico e la questione morale, che poneva al centro della sua visione e della sua azione, non aveva nulla a che fare con un’idea astratta di onestà o purezza morale, ma toccava il nodo ineludibile del rapporto tra politica e potere.
Le trasformazioni socioculturali, la fine delle grandi ideologie e anche di partiti e movimenti che per decenni hanno dominato la scena politica italiana, non hanno scalfito la validità e l’attualità di quella denuncia. Al contrario negli ultimi trent’anni, quelli della cosiddetta seconda repubblica, il sistema denunciato da Berlinguer è divenuto patrimonio condiviso da tutti i partiti ed è applicabile purtroppo anche alle formazioni politiche di centrosinistra e in particolare al Partito Democratico, nato su ben altre idee e con finalità diverse da quelle di essere strumento di potere a livello locale e nazionale.
Riflettere sulle parole di Berlinguer è utile per spiegare la crisi attuale dei partiti e in particolare del Partito Democratico, una crisi politica che professionisti politici di lungo corso e camaleonti buoni per tutte le stagioni, signori delle tessere e detentori di pacchetti di consensi, abili nell’imbastire cordate e patti di potere non ammettono e non ammetteranno mai, perché ciò significherebbe riconoscere la propria sconfitta culturale.
Sarebbe un errore gravissimo ridurre la questione morale alla questione giudiziaria, al coinvolgimento di singoli esponenti politici in inchieste e processi. Troppo poco e troppo facile non considerare che tale aspetto è solo la punta estrema di una degenerazione più profonda e preoccupante, la manifestazione della distorsione nel rapporto tra potere e politica e della trasformazione, anche a sinistra, dei partiti in federazioni di camarille al servizio di leader carismatici o presunti tali.
Mostrarsi indignati e abbandonarsi ad un moralismo che rapidamente si accende e altrettanto rapidamente si spegne, evita di affrontare e mettere in discussione certi sistemi radicati di controllo dell’apparato partitico. L’obiettivo è mantenersi in tutti i modi a galla ed evitare di mettere mano ai nodi politici.
Il problema vero, la vera questione morale invece è che il Partito Democratico e la sinistra in generale sono stati avvolti e in alcuni casi ingoiati da un vuoto ideale e ad essersi deteriorata è la concezione stessa della politica. Poco importa se dilaga l’astensionismo ed è a rischio la stessa sopravvivenza di una prospettiva politica progressista e democratica con al centro gli interessi dei cittadini, il bene comune.
La convinzione che la forza del potere esercitato fosse giustificazione sufficiente per l’esercizio del potere stesso, non solo si è dimostrata erronea ma ha logorato un’intera classe politica, la quale per insipienza, convenienza o conformismo non vuole riconoscere che sono queste le ragioni delle sconfitte degli ultimi anni, della crisi dei consensi e delle proprie responsabilità per aver causato la crisi stessa.
L’azione generosa e coerente fin qui messa in campo dalla segretaria nazionale del PD Elly Schlein richiede tuttavia un cambio di passo deciso e una incisività maggiore a livello locale, sui territori, dove continuano a dominare logiche totalmente estranee ad una visione alta della politica, legate all’amichettismo e alle cordate, ad una adesione che è solo tesserificio e non possiede nulla della militanza.
Il Partito Democratico non può essere una ridotta per pochi autoeletti, ma deve essere una comunità aperta, appartenente ai cittadini e fondata su valori riconoscibili e praticati.
Non c’è più tempo da perdere.
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Sabato, 21 Settembre 2024 20:40
Pensieri e ricordi si affollano nella mia mente.
Il subbuglio emotivo, la sofferenza per la perdita e l’intenso legame affettivo possono rappresentare un limite, un ostacolo all’obiettività del giudizio, ma possono offrire anche un angolo visuale particolare e originale per raccontare una persona.
Ero un bambino quando ho incontrato don Anselmo per la prima volta. È entrato nella mia storia personale in punta di piedi, è diventato una presenza fondamentale e mi ha accompagnato fino a qualche giorno fa, quando all'improvviso ha lasciato il contingente e il provvisorio ed è entrato nella dimensione dell’Eterno.
Lo smarrimento di fronte alla sua morte, il distacco sono solo in parte alleviati dalla certezza che la vita è un cammino impegnativo, un intreccio di relazioni e a renderla unica sono proprio le persone che incontriamo e i legami che intessiamo, che la morte non riesce a spezzare e a cancellare, ancor più poi se poggiano sulle solide basi della comune fede nel Risorto. Se siamo in Cristo, se la nostra vita è in Lui la morte non è una sconfitta, la fine di tutto, ma un passaggio che ci conduce alla pienezza del vivere, a saziare la nostra sete d’infinito e ci immette nella comunione con Dio e con la persona amata.
Tuttavia emotivamente non è facile.
È stato un privilegio incontrare don Anselmo, sacerdote, pastore, padre e guida spirituale, uomo di Dio dalla fede essenziale, libera da orpelli e enfatizzazioni, vissuta e testimoniata senza mezze misure e compromessi per compiacere e ricevere applausi, fuori moda e fuori luogo rispetto al sentire comune.
La sequela del Maestro di Nazareth non è stata per lui una strada di realizzazione personale, la scorciatoia per acquisire posizioni di privilegio e imbastire possibili carriere, un ripiego di fronte all’assenza di prospettive e all’incapacità di costruirsi un futuro, ma una scelta consapevole e radicale, fino allo sfinimento, alla donazione totale e senza riserve a Dio, alla Chiesa e ai fratelli.
È stato un prete, non un mestierante della religione, uno spacciatore di riti vuoti.
Possedeva una personalità complessa e un carattere forte e schivo, ma era tutt’altro che una persona difficile e distante, come qualcuno sostiene sulla base di una valutazione superficiale, con un giudicare “epidermico” come amava ripetere lui, di chi si ferma all’apparente ingannevole e non riesce a cogliere l’ulteriore.
Don Anselmo viveva seriamente il suo essere pastore del popolo di Dio, chiamato alla missione di condurre a Cristo quanti gli erano stati affidati, di guidarli a sperimentare la bellezza di un incontro che cambia la vita, che infonde la gioia indicibile di scoprirsi pensiero d’amore di Dio fin dall’eternità, intessuti in ogni cellula della Grazia trasfigurante, rigenerati nel lavacro della Croce, dove l’Amore Trinitario si fa oblazione totale per la salvezza dell’umanità.
Era impastato di umana debolezza come tutti, non era perfetto, ma ha tenuto sempre lo sguardo fisso su Cristo, centro di gravità della sua esistenza, si è lasciato modellare come la creta nelle mani del vasaio e purificare incessantemente dalla Parola di Dio.
Uomo delle parole scomode, mai si è arreso di fronte alle difficoltà, alle prove, agli ostacoli che la vita gli ha riservato e tantomeno ha fatto sconti o è stato accomodante sul piano della fede, dell’adesione a Cristo e nelle relazioni personali. È stato rigoroso ed esigente prima di tutto con se stesso e poi con gli altri, specialmente poi con quanti erano a lui legati da sentimenti di sincera e profonda amicizia.
Prima che con le parole, con il suo esempio e la sua vita ha insegnato a quanti hanno avuto il privilegio di incontrarlo la necessità di non adeguarsi alle logiche del mondo, nell’assoluta certezza che solo chi è capace di andare controcorrente, di interrogarsi sui significati ultimi e di mettersi in ricerca, di guardare oltre il futile apparente e di pensarsi nel volere di Dio potrà trovare la piena realizzazione esistenziale e la felicità che non tramonta e non svanisce.
Dietro la scorza un po’ ruvida nascondeva una grande umanità e un’incredibile tenerezza. Attento e premuroso, non era un uomo da cui aspettarsi smancerie, gesti eclatanti o abbracci, estranei al suo modo di essere, ma attraverso le sue parole e i suoi gesti semplici e concreti comunicava il suo affetto puro, sincero e trasparente e imbastiva legami solidi e duraturi, insegnando il valore inestimabile dell’amicizia. Non è un caso che quanti sono cresciuti con i suoi insegnamenti hanno conservato nel tempo e continuano a coltivare solidi rapporti personali improntati all’autenticità.
Uomo del Concilio, ha incarnato pienamente la primavera della Chiesa, facendosi costruttore instancabile della comunità cristiana, combattendo con determinazione le spinte individualiste del nostro tempo, le logiche utilitaristiche che spesso inquinano la stessa fede, ma anche un certo clericalismo di ritorno deleterio e il devozionismo senz’anima. Ha profuso tutte le sue energie per educare alla fede, al senso di appartenenza ecclesiale e per far crescere un laicato consapevole, riservando una attenzione particolare ai giovani.
È stato criticato aspramente, tanti lo trovavano antipatico e addirittura lo detestavano, dentro e fuori la Chiesa, ma non è mai sceso a compromessi. Non doveva piacere a tutti, doveva camminare sulla strada indicata da Cristo, coerente con la sua fede e i suoi valori.
Ho parlato con lui per l’ultima volta quel giovedì che non dimenticherò mai, il giorno del suo ricovero in ospedale. Dopo poche ore è sceso il silenzio e don Anselmo ha imboccato l’ultimo tratto del sentiero della sua vita, ha percorso gli ultimi passi che lo hanno condotto all’incontro con Dio.
Ad Deum, don Anselmo!
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