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Iran. Senza velo e senza paura

Ott 09, 2022 Scritto da 

 

 

 

Finché ci sarà una sola donna minacciata in quanto donna, noi non avremo pace”.
(Lidia Ravera)
 
Da settimane in Iran infuria la rivolta. Protagoniste sono le donne. In strada sono scese ragazze, insegnanti in sciopero, anziane militanti della tradita rivoluzione marxista del 1979, ma si sono unite a loro anche gli uomini, gli studenti secondari e universitari, i padri insieme alle figlie, i fratelli insieme alle sorelle, i mariti insieme alle mogli.
 
Le donne iraniane si scoprono il capo, si tagliano i capelli e bruciano i loro hijab. Le parole d’ordine sono “donna, vita, libertà”, ma nelle strade si grida anche “morte a Khamenei, morte alla dittatura”, “combattiamo, moriamo, ci riprendiamo il nostro Iran” e si intonano i canti rivoluzionari degli anni ’70. La repressione del regime è feroce. Le forze speciali di polizia sparano a vista sui manifestanti, migliaia sono le persone arrestate e centinaia i morti.
 
L’uccisione di Mahsa Amini, 22 anni, di origini curde-sunnite, fermata e massacrata dalla polizia religiosa perché indossava l’hijab “in modo inappropriato” e spirata dopo tre giorni d’agonia in un reparto di rianimazione è stata la scintilla che ha scatenato le proteste, iniziate nel Kurdistan iraniano e dilagate fino a Tehran. Si è trattato dell’ennesimo arresto illegittimo, con ricorso ad una violenza barbara ed inaudita, compiuto dalle “pattuglie della moralità” contro le donne che non rispettano i rigidi codici dell’abbigliamento imposti dal regime.
 
Tra quanti hanno perso la vita ci sono Hadis Najafi, 23 anni, e Nika Shakarami, 17 anni, divenute simboli della protesta. Numerosi proiettili hanno stroncato la giovane vita di Hadis Najafi, che poco prima di morire aveva postato sui social un video, divenuto virale, in cui si legava i capelli e sistemava gli occhiali, pronta a combattere per la propria libertà e per quella di tutte le donne iraniane, richiamando così l’attenzione dell’opinione pubblica interna ed internazionale su quanto sta accadendo. Nika Shakarami, scomparsa il 20 settembre durante le proteste e ritrovata dopo dieci giorni con la testa fracassata nell’obitorio di un centro di detenzione della capitale, aveva girato un video, condiviso sui social dopo la sua morte, in cui cantava una canzone iraniana senza indossare il velo. I genitori hanno denunciato che le forze di sicurezza hanno rubato il corpo per seppellirlo segretamente in un villaggio.
 
Molti familiari delle vittime hanno rivelato che, dopo la morte dei loro cari, sono stati sequestrati dai servizi di sicurezza e liberati solo dopo la registrazione di un video dove dichiaravano che la morte dei loro parenti era avvenuta per altri motivi o per incidenti in casa e non durante le manifestazioni.
 
La dicotomia e la distanza tra le nuove generazioni ed il potere sono sempre più marcate e mettono a nudo la natura del regime degli Ayatollah, che si caratterizza per un umiliante disprezzo verso i cittadini e una misoginia fuori dalla storia che impone alle donne di indossare abiti appropriati per motivi ideologici.
 
Il velo potrebbe non essere il principale problema delle donne iraniane, dato che tante seguono volontariamente la tradizione islamica, soltanto se non gravasse su di loro l’impossibilità di scegliere. Infatti sebbene le autorità affermino che l’hijab è una scelta delle donne, praticamente le obbligano tutte a indossarlo. Tale imposizione avviene attraverso le brutalità degli esecutori morali del regime, le milizie basij, che si autodefiniscono hezbollahis, il partito di Dio, radicate nel movimento islamista, strettamente legate ai capi della Repubblica Islamica, usate per puntellare il potere e reprimere dissensi e proteste. Per tale ragione l’hijab, in quanto strumento di oppressione delle donne e di soffocamento dell’intera società, è divenuto un simbolo di protesta e di ribellione a un sistema generale coercitivo e discriminante. Le donne iraniane vivono una condizione di segregazione e le politiche economiche del regime in questi anni le hanno penalizzate, riducendo le loro possibilità di entrare nel mercato del lavoro. La loro posizione nella produzione e nell’economia è assai limitata e il divario con i salari degli uomini è sempre più aumentato, alimentando lo sfruttamento delle lavoratrici. A tutto questo si è aggiunto il progressivo e generale impoverimento della popolazione, effetto delle sanzioni imposte da Donald Trump, dopo l’uscita dal programma nucleare, che hanno colpito soprattutto la classe media, la quale fino a qualche anno fa era assetata di libertà e distingueva le proprie rivendicazioni da quelle delle fasce povere che reclamavano invece pane. Le condizioni sociali ed economiche attuali in Iran sembrano favorire la saldatura tra le rivendicazioni dei due gruppi sociali, ancor più poi che i ceti più poveri sembrano meno conservatori rispetto a qualche anno fa o comunque a quello che abitualmente si pensa. Gissou Nia, presidente del consiglio dell’Iran Human Rights Documentation Center e direttrice del programma Strategic Litigation Project presso l’Atlantic Council ritiene che: “Le manifestazioni innescate dalla morte di Mahsa Amini riflettono una collera ben più ampia della popolazione rispetto al quadro giuridico discriminatorio che colpisce in modo sproporzionato le donne, le minoranze etniche e religiose e altri gruppi marginalizzati in Iran”.
 
È difficile prevedere se l’ondata di proteste che ha travalicato classi sociali ed etnie possa innescare la rivoluzione e rovesciare il regime. Le informazioni dall’Iran sono frammentate e filtrate e non è possibile conoscere precisamente cosa stia accadendo: internet è bloccato, Whatsapp e Instagram non funzionano. Sappiamo che ci sono manifestazioni di ribellione alle autorità come mai accaduto in passato e da nord a sud, da est a ovest c’è una richiesta corale di maggiori libertà economiche, sociali e di genere che sta vedendo anche episodi di solidarietà da parte di esponenti delle forze di sicurezza, portando la Repubblica Islamica di fronte a una delle crisi più gravi dalla sua nascita nel 1979. Le proteste giungono in un momento di grande debolezza dell’Iran sul piano economico, sociale e politico a causa di un sistema che è divenuto sempre più corrotto e ripiegato su sé stesso.
 
Viviamo in un mondo anestetizzato, preso dall’inutile, che cerca intrattenimento e pane quotidiano e si accapiglia per beghe di poco conto. Il coraggio delle donne iraniane deve farci riflettere, essere un monito e uno sprone affinché sentiamo nostra la loro lotta e ci facciamo protagonisti di gesti concreti di vicinanza e solidarietà, a cominciare dal mantenere viva l’attenzione su quanto sta accadendo. 
Pubblicato in Riflessioni

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