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La pace sembra essere molto lontana

Feb 26, 2023 Scritto da 

 

 

Un anno fa, il 24 febbraio 2022, la Russia iniziò la cosiddetta “operazione speciale” per demilitarizzare e denazificare l’Ucraina. L’obiettivo era farla capitolare in pochi giorni. Il calcolo di Putin, fondato sul presupposto che il popolo e il governo ucraini e soprattutto i Paesi occidentali, “corrotti e in crisi d’identità”, non avrebbero saputo o voluto opporre resistenza, si è dimostrato sbagliato. I soldati russi non solo non sono stati accolti come liberatori, anche nelle stesse regioni dove i russofoni sono la maggioranza, ma l’Ucraina ha resistito strenuamente, è riuscita a ricacciare l’esercito invasore dal centro del Paese, spostando il baricentro del conflitto nei territori dell’est. Dopo la liberazione e il ritorno sotto il controllo del governo ucraino in molte delle zone occupate è emerso che l’esercito russo si è reso responsabile di ignobili crimini contro la popolazione civile.
 
Se fin da marzo dello scorso anno è apparso evidente che Putin non era riuscito nell’intento di occupare ampia parte del territorio ucraino per instaurarvi un regime fantoccio, anche il secondo obiettivo, con un evidente ridimensionamento delle mire belliche, cioè la conquista del Donbass e dell’Ucraina meridionale, che si affaccia sul Mar d’Azov e sul Mar Nero, non è stato conseguito. L’esercito di Kiev ha capovolto la situazione, ha liberato prima l’intera regione di Kharkiv e poi quella di Kherson e questo, dopo che nel mese di settembre erano state annesse, assieme ad altre regioni, con un referendum fasullo, alla Federazione russa. Nonostante questi fallimenti, la Russia è riuscita a mantenere un collegamento terrestre, un cosiddetto corridoio, tra la parte di Ucraina occupata e la Crimea. Questa regione, con al centro la città martire di Mariupol, è strategica per la Russia sia per l’approvvigionamento idrico della penisola, sia perché le città portuali che si affacciano in questa lingua di terra possono controllare il traffico marittimo del Mar d’Azov e minacciare i commerci ucraini.
 
L’invasore russo ha deciso di far ricorso ai droni, acquistati dall’Iran, e ai missili per  attaccare e distruggere le infrastrutture civili ucraine, le centrali e la rete elettrica, i depositi di carburante con l’obiettivo di lasciare la popolazione al buio e al freddo. Anche questo calcolo si è rivelato sbagliato e il popolo ucraino, a dispetto delle prove durissime cui è sottoposto, resiste e combatte per difendere il proprio paese. È indiscutibile che per l’Ucraina fondamentale è il sostegno militare degli USA e dell’Europa, su cui ben pochi, e sicuramente non la Russia, avrebbero scommesso alla vigilia dell’invasione. I Paesi occidentali si sono compattati con sorprendente decisione, inviando armi all’Ucraina e imponendo pesanti sanzioni economiche contro la Russia e i suoi oligarchi, sanzioni forse sovrastimate nella loro efficacia ma rivelatesi comunque decisive.
 
Dopo un anno di strenui combattimenti, di una guerra che si è dipanata ad ondate con offensive e controffensive nelle quali nessuna delle parti è riuscita a prevalere, oggi sui due fronti sono schierati più di 400 mila soldati e il conflitto ha causato circa 100 mila tra morti e feriti per parte. Nell’est dell’Ucraina i due eserciti si scontrano quotidianamente, lanciano missili, droni, ricorrono all’artiglieria per conquistare piccoli centri abitati, considerati militarmente strategici, ma il conflitto è in stallo e molti analisti ritengono che questa situazione potrebbe durare a lungo, forse per anni.
 
Sullo scacchiere geopolitico intanto continuano le mosse politiche globali delle grandi potenze, che conducono il gioco delle relazioni internazionali e determinano i possibili equilibri. Gli USA di Biden guidano il fronte delle democrazie, la Cina in questi ultimi giorni sta tentando una mediazione per far cessare il conflitto o almeno arrivare ad un cessate il fuoco, l’Europa è  brava a parlare ma lenta a decidere, i Paesi scandinavi hanno chiesto l’adesione alla Nato per paura che possa presto toccare a loro e la Turchia, oggi piegata da un terremoto distruttivo che ha mietuto migliaia di vittime, fino a qualche settimana fa ha cercato anch’essa di mediare tra le parti, o meglio ha fatto i propri interessi con la scusa di mediare.
 
E la pace? È la grande assente. Evocata e invocata da tutti, da nessuno è perseguita realmente. Spesso è usata per mascherare interessi, sentimenti a favore dell’una o dell’altra parte o semplicemente la paura o il desiderio legittimo di quieto vivere.
 
Il dato incontrovertibile è che allo stato le posizioni tra le parti in conflitto appaiono inconciliabili. Kiev pretende che l’invasore si ritiri da tutto il territorio nazionale, compresa la Crimea annessa nel 2014 alla Russia, annessione mai riconosciuta a livello internazionale. Mosca pretende, come base per iniziare i negoziati, il riconoscimento dei territori ucraini occupati e annessi militarmente: condizione impossibile da accettare sia per gli ucraini sia per i Paesi occidentali. Putin, per salvare la faccia davanti al popolo russo e giustificare una guerra dagli esiti disastrosi sul piano militare ed economico, deve portare a casa qualcosa che assomigli ad una parvenza di vittoria, altrimenti corre il rischio di perdere le elezioni presidenziali del marzo del 2024. A prescindere che saranno elezioni non libere, nelle quali all’opposizione sarà impedito di accedere ai mezzi di comunicazione e di presentare propri candidati, e che gli scherani del regime sono sempre pronti ad alterarne i risultati, Putin rischia la destituzione, di perdere il potere e di essere ucciso.
 
Il negoziato è l’unica alternativa possibile a questa guerra lunga, sporca e sanguinosa, ma presuppone la disponibilità a raggiungere un compromesso, a farsi concessioni reciproche. Al momento né i russi né gli ucraini prospettano come possibile tale eventualità e sono disposti a deporre le armi. Putin intende continuare a combattere, organizzando delle massicce quanto inutili offensive, oppure congelando il conflitto, con l’obiettivo di impedire all’Ucraina di entrare nella Nato e diventare una democrazia occidentale normale. Il presidente ucraino Zelensky, forte delle vittorie sul campo, non può permettersi di cedere territori o di non rivendicare l’integrità territoriale del Paese, come ha promesso ai suoi concittadini.
 
La circostanza che né l’Ucraina né la Russia in questo momento vogliono la pace e non sono disponibili ad aprire una trattativa seria per risolvere il conflitto, non deve farci comunque  dimenticare che il primo passo spetta a chi ha iniziato la guerra, non a chi l’ha subita. Pensare il contrario significherebbe consentire che a prevalere sia la logica del più forte, di chi è in grado di imporre la dittatura della paura e ricorre all’uso della violenza per piegare quanti si oppongono.
 
In fondo non si sarebbe fatto un anno di guerra, se chi l’ha scatenata avesse voluto la pace. 
Pubblicato in Riflessioni

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