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Giacomo Matteotti, martire del fascismo

Giu 09, 2024 Scritto da 

 

 

Cento anni ci separano da un evento drammatico e cruciale nella storia d’Italia.
 
Il 10 giugno 1924, a Roma, Giacomo Matteotti, deputato e segretario del Partito Socialista Unitario, esce di casa intorno alle 16:30 e si incammina sul Lungotevere Arnaldo da Brescia per raggiungere a piedi, come sua abitudine, la biblioteca della Camera dei Deputati.
 
Il segretario socialista è il più acerrimo oppositore del fascismo ed è ritenuto dal regime un nemico da eliminare. Da qualche tempo viene costantemente pedinato. Quel giorno Amerigo Dùmini, Augusto Malacria, Amleto Poveromo, Giuseppe Viola e Albino Volpi, appartenenti alla CEKA, la polizia politica fascista, istituita per compiere operazioni illegali contro gli oppositori, decidono di entrare in azione. Sono tutti ex arditi, il corpo di élite dell’esercito regio, e convinti mussoliniani. Alcuni dirigenti fascisti li considerano dei violenti, dei balordi e dei criminali infrequentabili, ma ad ogni buon conto sono al soldo del regime, rispondono direttamente alla direzione del Pnf, vengono finanziati con fondi pubblici, provenienti dalla Presidenza del Consiglio, e godono della copertura di Mussolini in persona.
 
Matteotti giunge all’altezza dei sicari. Sull’altro lato della strada c’è un carabiniere, oltre ad alcuni ragazzini che giocano a palla, perciò decidono di aspettare. Lo controllano a distanza, muovendosi lentamente a bordo di una Lancia Lambda nera e finalmente quando la strada si libera, l’auto si blocca, i sicari scendono e si avventano sul deputato socialista, il quale reagisce alla violenta imboscata e tenta di divincolarsi, riuscendo a buttare a terra un aggressore. Gli viene sferrato un pugno sul volto che lo stordisce e lo caricano sull’auto che si allontana rapidamente, mentre viene suonato continuamente il clacson per coprire le urla di Matteotti che, ripresi i sensi, lotta disperatamente nel tentativo di sfuggire ai rapitori. Giuseppe Viola, uno dei sicari, estrae un pugnale e lo colpisce tra ascella e torace. Il deputato socialista muore dopo alcune ore di agonia.
 
Allarmata dall’assenza del marito, Velia Matteotti trascorre la notte insonne, poi chiama la polizia e avverte i compagni di partito. A Montecitorio l’atmosfera è tesa. Mussolini rispondendo a un’interrogazione parlamentare del deputato Enrico Gonzales, il 12 giugno ammette: “Credo che la Camera sia ansiosa di avere notizie sulla sorte dell'onorevole Matteotti, scomparso improvvisamente nel pomeriggio di martedì scorso in circostanze di tempo e di luogo non ancora ben precisate, ma comunque tali da legittimare l’ipotesi di un delitto, che, se compiuto, non potrebbe non suscitare lo sdegno e la commozione del governo e del parlamento”. Il Duce sapeva bene cosa era successo, nel cassetto della sua scrivania conservava alcuni effetti personali insanguinati di Matteotti, consegnategli dai sicari.
 
Il cadavere del segretario socialista, o meglio quel che ne resta, devastato dal tempo e dagli animali, viene ritrovato il 16 agosto nella macchia della Quartarella, nel comune di Riano, a circa 25 km da Roma. Mani e tessuti muscolari non ci sono più e sarà necessaria una perizia odontoiatrica per identificarlo.
 
Il 30 maggio 1924 Giacomo Matteotti era intervenuto alla Camera dei Deputati denunciando i brogli, le intimidazioni e le violenze che avevano caratterizzato la campagna elettorale e il voto nei seggi nel corso delle elezioni politiche tenute il 6 aprile, dalle quali era uscita vincitrice la lista nazionale fascista. Il suo discorso era stato più volte interrotto da urla e minacce provenienti dai banchi della maggioranza. Il segretario socialista, al termine dell’intervento, ai compagni di partito che si complimentano con lui, aveva detto: “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il mio elogio funebre”. La reazione del Duce alle parole di Matteotti era stata inequivocabile. Rivolgendosi ai suoi aveva detto: “È assurdo che quello lì sia ancora in giro!”. 
 
La notizia dell’omicidio di Matteotti suscita una indignazione fortissima e generale. Il governo sembra sul punto di cadere, ma resiste e anzi questo evento drammatico finisce per segnare la svolta verso la definitiva instaurazione della dittatura. 
 
Nel tentativo di salvare le apparenze e calmare le acque viene messo su un processo farsa a carico dei cinque assassini, che si conclude con la condanna di tre di loro a cinque anni per omicidio preterintenzionale. Saranno poi graziati dal re su proposta del ministro della giustizia Alfredo Rocco.
 
Nel gennaio del 1925, pur continuando a negare qualsiasi coinvolgimento materiale nell’assassinio, Benito Mussolini, in un famoso discorso alla Camera, rivendica la responsabilità storica, politica e morale dell’omicidio del segretario socialista.
 
Passata la bufera, vengono approvate le leggi fascistissime e l’ordinamento giuridico del Regno d’Italia si trasforma nel regime fascista.
 
Matteotti è stato un politico radicato sul territorio e un amministratore locale interessato all’efficacia e correttezza dell’azione amministrativa. L’attenzione alla verità dei fatti, lo smascheramento della falsa propaganda, propalata anche dai più importanti organi di stampa, fu la cifra qualificante la sua azione antifascista. Uomo dalla forte tempra morale e coraggioso, comprese subito che il fascismo non era un fenomeno effimero e lo combatté a viso aperto, tenendo alta la bandiera della libertà coniugata con la democrazia, intesa come equità sociale ed emancipazione delle classi subalterne. Individuò nella difesa delle prerogative del Parlamento l’ultimo bastione della cittadella liberale e democratica, certo fragile, da consolidare e in quel frangente storico assediata dall’estremismo fascista, alimentato dalla borghesia più conservatrice e arroccata nelle proprie paure e rendite di posizione
 
Il regime nell’ucciderlo dimostrò di essere tanto feroce quanto vile.
 
Pensando alla tragica vicenda di Matteotti e a come sorse la dittatura fascista, tornano in mente le parole di George Eliot, scrittrice vittoriana: “Ogni codardo può combattere una battaglia quando è sicuro di vincere; ma datemi l’uomo che si è messo a combattere quando era sicuro di perdere”. 
 
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