Foto in bianco e nero, ormai un po' sbiadite.
Una storia apparentemente distante dalla quotidianità a ritmi impazziti di questo tempo che ci appartiene, retaggio di una temperie sociale, culturale e politica lontana, segnata dal terrorismo brigatista e dalle stragi di Stato, di anni duri, difficili e violenti.
Sangue innocente è stato versato ed ha imbrattato le strade dell’Italia ed anche della nostra città.
Le lacrime hanno solcato i visi.
Il dolore ha segnato le vite in maniera indelebile ed irreversibile.
Il 28 maggio 1976 ha rappresentato uno spartiacque per Sezze, la nostra città ha perso l’innocenza.
Gli eventi tragici di quel giorno maledetto di tanti anni fa rivivono nella memoria di pochi purtroppo, sono un fuoco che arde sotto la cenere della dimenticanza e della rimozione dei più, di quanti con quella memoria si sono rifiutati e si rifiutano ancora oggi di fare i conti per superficialità, per indifferenza, per calcolo o per convenienza.
Un silenzio pesante come un macigno e una coltre oscura e intollerabile cercano, per fortuna senza riuscirci, di cancellare l’impossibile, di rimuovere quel fatto indelebile e doloroso che ha segnato l’esistenza di uomini e donne della nostra città, un tornado imprevisto e imprevedibile che ci ha investiti singolarmente e come comunità.
La morte violenta di un giovane uomo, Luigi Di Rosa, l’abiezione delle motivazioni ideologiche che armarono la mano omicida si uniscono all’odioso ed esecrabile tentativo di frantumare e travisare la storia, di sopire e cancellare le responsabilità personali e politiche di quanti quella tragedia l’hanno voluta e cercata, ne sono responsabili in modo diretto per esserne la mano esecutrice o ne sono complici per averla ispirata, motivata, istigata e non ultimo per aver aiutato gli assassini a sottrarsi alla giusta condanna nei giorni, mesi ed anni che seguirono.
Luigi Di Rosa era un uomo che si affacciava alla vita con l’impeto e la speranza, la spensieratezza e il desiderio di costruirsi un futuro di cui solo i giovani sono capaci. La vita avrebbe avuto moltissimo da offrirgli, da riservargli, non solo gioie ovviamente, sarebbe assurdo pensarlo. Tuttavia possedeva l’intelligenza e l’audacia per affrontarla a viso aperto, la forza di volare sulle ali dell’entusiasmo, la capacità di rialzarsi e di non arrendersi di fronte agli ostacoli e ai rovesci inevitabili. È quanto ha dimostrato per tutto il breve tratto temporale in cui si è snodata la sua esistenza e lo possono testimoniare quanti con lui l’hanno condivisa, familiari ed amici.
Quei colpi di pistola esplosi da mani assassine hanno dissolto tutto, hanno fatto svanire di colpo e per sempre ogni sogno.
Non esiste un destino scritto ed inevitabile, cinico e baro. Esistono le scelte di ogni giorno, l’assunzione di responsabilità o il sottrarsi ad esse, il voler affermare noi stessi, le nostre idee, i nostri disegni a volte perversi e sbagliati e la disponibilità a conseguire ciò che bramiamo anche a costo delle vite degli altri, di compiere il male e di infliggere sofferenze. Essere artefici del nostro destino è giusto, è esercizio di libertà personale, ma esiste un limite invalicabile: l’altro da noi.
Quanto accaduto il 28 maggio 1976 a Sezze non ha nulla di casuale, è conseguenza dell’adesione ad una ideologia di morte e di distruzione, che già aveva condotto l’Italia alla catastrofe della dittatura e della negazione dei diritti e delle libertà, delle leggi razziali e dei campi di sterminio, dei forni crematori e della seconda guerra mondiale: il fascismo.
Luigi Di Rosa è stato vittima di un crimine terrificante e disumano, consumato ancor prima che con le armi, con i colpi di pistola rivoltigli contro dagli sgherri armati fino ai denti del manipolo di fascisti capitanato da Sandro Saccucci e provenienti materialmente dall’arma impugnata da Pietro Allatta, dal desiderio perverso di annientamento dell’altro e del diverso ideologicamente e culturalmente da sé che li animava, che rappresentava la loro stessa essenza e ragione di essere e ne guidava l’agire, ma anche e nondimeno dalla complicità di tanti personaggi locali, non ascrivibili tra gli autori materiali, anche se parimenti responsabili sotto il profilo morale.
Il 28 maggio 1976 il baratro oscuro della morte si è aperto ed ha inghiottito l’esistenza di Luigi Di Rosa e al contempo ha trascinato nell’incomprensibile, nel buco nero di un dolore indicibile e incontenibile le vite dei suoi familiari, dei suoi amici, di quanti lo hanno amato e continuano ad amarlo nonostante tutto e soprattutto.
Al dolore per la tragedia si è sommata e si somma poi la sofferenza per la giustizia negata, per l’impunità garantita alla gran parte dei responsabili e per l’impossibilità ormai di ottenerla quantomeno sul piano umano.