I semi dell’odio e della barbarie hanno trovato terreno fertile, sono attecchiti in profondità e poi sono germogliati rigogliosi, invadendo il campo del mondo con la loro potenza infestante e devastante, soffocando nei cuori delle persone il senso dell’umanità e la sensibilità di riconoscere nell’altro un valore e una ricchezza, un’originalità e una peculiarità irripetibili, che non negano ciò che noi siamo ma lo esaltano, instillando goccia a goccia il veleno della disgregazione e dell’esclusione.
Il culto della guerra, ritenuta strumento rigenerativo capace di spazzare via e annientare il nemico e forgiare un’umanità nuova, ha continuato ad albergare indefessamente nei cuori e nelle menti di tante donne ed uomini. Nonostante le macerie lasciate nel corso della storia questo fuoco distruttivo ha continuato a covare subdolo sotto le ceneri e tra le pieghe di una pace apparente, come un tarlo ha roso dal di dentro le menti, ha succhiato la linfa vitale ed ha avvelenato i pozzi per impedire di costruire finalmente una armonica convivialità delle differenze.
Viviamo l’esperienza di un conflitto mondiale a pezzi e quotidianamente assistiamo all’aprirsi di nuovi fronti di guerre guerreggiate, parole di inimicizia e intolleranza scagliate contro l’altro e sangue versato sui campi di battaglia nei diversi angoli del mondo, uno stillicidio di vite perdute irrimediabilmente, bambine e bambini, donne e uomini, anziani e giovani, una lista infinita di morte in incessante aggiornamento. Lo scandalo non sta soltanto nell’assuefazione generale a questa cupa, assurda e disumana contabilità, ma soprattutto nel prevalere di atteggiamenti giustificazionisti, nell’idea che si tratta in fondo di sacrifici sopportabili, di prezzi da pagare accettabili in nome di interessi superiori da perseguire, al più semplicemente danni collaterali.
Guai poi a coloro che osano osare l’inosabile, che invocano le ragioni della pace e della non violenza, che manifestano dissenso rispetto alla logica mortifera della guerra, che ricordano la verità scomoda ed incontrovertibile della sua inefficacia e incapacità, storicamente dimostrata, ad essere strumento risolutivo dei conflitti tra persone e tra nazioni, capace esclusivamente di alimentare il mostro dell’odio, che così facendo alla fine ci divorerà e insieme a noi divorerà il futuro dei nostri figli e dell’intera umanità.
Quanti hanno l’ardire di farlo si espongono alla pubblica gogna dei guerrafondai di professione, dei cultori del manicheismo identitario e vengono insultati, definiti pacifinti, derisi per le idealità professate e la propria appartenenza culturale, tacciati di pavidità e complicità con il nemico oppressore ed assassino, dichiarati fuori dal senso della storia che, a loro insindacabile giudizio, ci insegna che la guerra c’è sempre stata e sempre ci sarà, che è bella anche se fa male, che rappresenta la fucina nella quale è stata forgiata la nostra civiltà. Un modo assolutamente semplicistico e fuorviante di leggere la storia, ridotta a mero strumento di becera propaganda bellicista. I corifei della più nefanda ed immorale delle azioni umane si stanno rendendo responsabili di incoraggiare e foraggiare i peggiori estremismi anche grazie al loro linguaggio sprezzante e violento, ergendosi ad unici detentori di verità assolute, giustificando ogni follia per partigianeria interessata ed avvallando scelte orrende acriticamente e aprioristicamente.
I propagandisti della legittimità di ogni guerra esplosa in questi nostri tempi travagliati, i giustificazionisti della guerra preventiva in nome di una presunta legittima difesa, i negatori seriali del dialogo e della necessità di ritrovarsi faccia a faccia tra contendenti per guardarsi negli occhi, per superare le ostilità e le contese attraverso la reciproca comprensione e il riconoscimento della comune appartenenza alla stessa umanità, tengono a precisare ad ogni piè sospinto che le libertà ed i diritti di cui godiamo, in particolare nelle nostre opulente società occidentali, sono il frutto della lotta contro i totalitarismi che hanno insanguinato il secolo scorso, dell’aver imbracciato le armi contro dittature oppressive e disumane, degli eserciti dei liberatori e dei partigiani saliti in montagna, ma dimenticano di dire che quei totalitarismi sono il frutto avvelenato di una cultura improntata alla logica della violenza, della sopraffazione e dell’egoismo, della ricerca del tornaconto proprio e dei propri sodali a scapito del bene comune che si stanno riaffacciando con forza e rischiano di travolgerci, di trascinarci in una strada senza ritorno e che loro stanno alimentando con le loro parole, i loro gesti e i loro comportamenti.
Dovremmo guardare alla storia con onestà, trarne insegnamento per non ripetere gli errori del passato, per comprendere che se continueremo a godere del frutto delle sopraffazioni verso i deboli, a depredare le ricchezze altrui e a fregarcene bellamente che i nostri agi sono intrisi del sangue dei poveri e degli inermi, saremo sempre e solo noi con le nostre scelte ad essere i veri responsabili dei conflitti e delle guerre.
Non ci potrà essere mai pace senza giustizia, senza verità e senza l’indispensabile rispetto per l’alterità.