Guardando al PD locale, setino e provinciale, emergono con nettezza le enormi difficoltà in cui il partito si dibatte, conseguenza dello sfibramento del suo tessuto costitutivo, delle lacerazioni intervenute all’interno della sua classe dirigente e dell’allontanamento di tanti militanti ed esponenti di primo piano, sia storici sia di più recente acquisizione, e soprattutto di quote crescenti di elettorato. Siamo in presenza di una crisi di identità e di partecipazione di un partito che è stato trasformato in un comitato elettorale da attivare alla bisogna e all’ascolto dei cittadini e alla elaborazione della linea politica è stata sostituita una dialettica finalizzata unicamente al posizionamento interno di persone, gruppi e correnti.
La trasformazione della politica, il venir meno dei grandi riferimenti ideologici e culturali, considerati alla stregua di vecchi arnesi inservibili e non più adatti ai nuovi tempi, hanno finito per favorire l’affermazione di un pragmatismo privo di ispirazione ideale e dell’aspirazione a trasformare la realtà, mediante la guida e il governo dei fenomeni sociali ed economici, abdicando al proprio ruolo e in particolare all’essenziale funzione democratica di rappresentanza degli interessi generali. Si tratta di fenomeni complessi ed ampi che hanno prodotto effetti deleteri.
La debolezza del Partito Democratico ha caratteri preoccupanti particolarmente nel nostro territorio, dove alle criticità innanzi evidenziate si è sommata l’incapacità di costruire e di proporre all’elettorato piattaforme politico-programmatiche coinvolgenti e in grado di costituire una valida alternativa alle destre al comando.
In generale nulla è irreversibile ed inevitabile e tale principio vale anche per la politica. Se è indiscutibile che le destre sono profondamente radicate nel nostro territorio, non è vero che esse sono una parte costitutiva del nostro DNA e rappresentano il nostro inevitabile destino. L’insediamento storico, la pervasività e la capillarità nell’occupazione dei gangli del potere giustificano solo parzialmente l’inscalfibilità di un determinato assetto politico, la cui solidità elettorale dipende anche e soprattutto dalla fragilità e inadeguatezza di un progetto politico alternativo e dalla scarsa credibilità della classe dirigente che lo interpreta.
Non si tratta di dare un giudizio negativo sommario e generalizzato, certamente sbagliato e ingeneroso verso le tante esperienze, competenze e capacità messe in campo dal PD e dal centrosinistra, sia nel passato che nel presente, ma di riconoscere che queste costituiscono troppo spesso delle eccezioni rispetto al livellamento generale in basso cui abbiamo assistito soprattutto negli ultimi anni.
Purtroppo a ciò si aggiunge che alla crescita esponenziale delle ambizioni personali di leader o presunti tali, finalizzate esclusivamente alla ricerca di un appagamento del proprio ego narcisistico, alla personalizzazione esasperata e alla rincorsa ad occupare posizioni e ruoli, ha fatto e fa da contraltare l’assenza di una adeguata proposta politica, un nanismo nella visione del futuro delle nostre comunità in termini di sviluppo e di miglioramento sociale, culturale ed economico e una non attenzione verso le fasce popolari più fragili e svantaggiate. Il prevalere dell’io nella narrazione ha finito per escludere il noi e ha prodotto e produce l’asfitticità dei consensi e l’astensionismo.
Il PD sul nostro territorio, così operando, ha dismesso di fatto ogni ambizione di governo, ha scelto di ritagliarsi un ridotto confortevole, una nicchia in cui prevalgono gli abili manovratori dei pacchetti delle tessere e delle sempre più diminuite preferenze personali, si è trasformato in un club esclusivo ed escludente di notabili, i quali si accontentano di gestire il poco che controllano, chiusi nel loro fortino autoreferenziale e incuranti di quel che accade fuori, dediti alla contabilità delle poltrone interne, al posizionamento dei propri fedelissimi nei posti giusti degli organigrammi, anziché spendere le proprie energie per costruire un partito popolare, aperto e partecipato.
Sconcerta l’indifferenza e in taluni casi il compiacimento di taluni esponenti del partito di fronte all’abbandono o al disimpegno di quanti in passato hanno dato un contributo importante in termini di idee e consensi a causa della mancanza al suo interno di spazi adeguati di agibilità politica. Si sa, le voci critiche, l’autonomia di giudizio e l’indisponibilità al servilismo sono un fastidioso inciampo per quanti coltivano unicamente il perseguimento dei propri obiettivi, personali o di consorteria.
Ancor più sconcertante però è la convinzione di cacicchi, capibastone e signori delle tessere che i cittadini siano ingenui o comunque sprovveduti al punto da non cogliere il senso di talune operazioni, di non accorgersi che dietro la facciata della convergenza unitaria si nascondono accordi spartitori, per cui alle rivendicazioni di ciascuno si risponde con il bilancino delle poltrone, applicando quello che un tempo era il manuale Cencelli, mai passato di moda. Conta accaparrarsi un ruolo da presidente, segretario, o responsabile di qualcosa e poco importa se ci si è ridotti a quattro amici al bar con la passione per la briscola.
Si dovrebbe fare politica per affermare un’idea e un progetto, per ricercare la convergenza e il consenso della maggioranza dei cittadini. Non basta solo partecipare alle elezioni. La vocazione minoritaria è inutile e sbagliata. Si corre per vincere e per questo servono squadre competitive, non accontentandosi di qualche scranno nelle assemblee elettive per le solite cariatidi immarcescibili.
E allora che fare? Non esistono ricette miracolistiche, bacchette magiche e tantomeno basta la generosità della segretaria nazionale, Elly Schlein la quale, da quando è stata eletta contro ogni previsione, ha cercato di rimettere al centro dell’azione politica del PD il lavoro, la sanità e i diritti delle persone. Occorre lavorare ventre a terra per costruire un partito radicato sul territorio, inclusivo delle diversità, capace di dare voce e rappresentanza alle domande di quanti non hanno voce, fatto di militanti veri e non di effimeri pacchetti di tessere.
Al PD serve una rivoluzione democratica, senza tagli di teste, rottamazioni, esclusioni ed espulsioni e una progettualità vincente. Serve qualcosa di più di un cambio di passo, serve che torni alla politica, quella bella, e non c’è più tempo da perdere.