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Siria: il coraggio di un padre e la tragedia di un popolo

Mar 01, 2020 Scritto da 

 

 

 

 

 

Nel caos delle armi e della devastazione, il campo è perduto e con esso tutti i sogni dei bambini. Sognavamo un paese, una casa, hanno sfregiato la casa dentro di noi. Sognavamo l’amore, hanno sbriciolato l’amore dentro di noi. Amavamo la musica, hanno giocato con le nostre note musicali e l’alfabeto della pace” – Aeham Ahmad, il pianista di Yarmouk, campo profughi alle porte di Damasco.

Abdullah Al-Mohammad e Selva. Un padre, sua figlia e il loro gioco.

È accaduto a Sarmada, città nel distretto di Harem, Governatorato di Idlib nell’estremo nord-ovest della Siria, vicino al confine con la Turchia. Abdullah Al-Mohammad e la sua famiglia sono fuggiti da Saraqib e si sono rifugiati a Sarmada nella casa di un amico, lasciandosi alle spalle i luoghi del loro vissuto, gli affetti e le amicizie, quanto avevano di più caro, profughi nel loro paese a causa della guerra civile che contrappone l’esercito del regime di Bashar al-Assad all’opposizione armata. Un conflitto spaventoso che da anni devasta la Siria. Città ridotte a cumuli di macerie, storie annientate, atrocità. Migliaia di morti, uomini, donne, vecchi e bambini, pedine sacrificabili sulla scacchiera dei giochi di potere e degli interessi dei grandi del mondo, praticamente nel silenzio dei media e nell’indifferenza di noi tutti.

La speranza di allontanarsi dalla guerra si rivela però solo una illusione. I combattimenti e i bombardamenti tra le forze turche e i loro alleati locali da una parte e le truppe governative appoggiate dall’aviazione russa e dagli iraniani dall’altra sono incessanti anche a Sarmada. Nell’infuriare degli scontri che non risparmiano nulla e nessuno, Abdullah Al-Mohammad riesce nella magia di presentare a sua figlia la guerra con gli occhi della pace, di tenerla abbracciata sotto la pioggia devastante di missili e bombe facendole credere che si tratta di mirabolanti fuochi d’artificio, che le armi micidiali sono innocui giocattoli per ingaggiare finte battaglie al ritmo di burle e risate, tenendo viva la fiamma della sua innocenza, cercando di non farla spaventare, di preservarla dall’orrore della violenza e della morte, di risparmiarle traumi che la segnerebbero indelebilmente per tutta la vita e di garantirle, per quanto possibile, una infanzia normale.

“E’ un aereo o un proiettile?” domanda Abdullah Al-Mohammad alla piccola Selva. “Un proiettile” risponde la figlia. “Sì e quando arriverà, rideremo” dice il padre. Ogni volta che una bomba viene lanciata a Idlib la risata di Selva deflagra potente, annulla d’incanto le detonazioni delle armi, riesce per qualche istante a cancellarne la forza maligna e sconfigge la guerra. E Abdullah Al-Mohammad ride con lei. La realtà, come in una bellissima fiaba, si inverte e consente loro di sopravvivere all’orrore.    

L’inventiva di colorare la crudezza della guerra di questo padre coraggioso, che ha trasformato in poesia che spezza il cuore l’atrocità, ha avuto la meglio sulla violenza inaudita e distruttiva che ricopre con la sua coltre funerea e senza speranza il popolo siriano. Le sofferenze e le angosce che hanno sopportato sono oggi per loro un bruttissimo ricordo. Abdullah Al-Mohammad, Selva e la loro famiglia hanno attraversato il confine e sono in salvo in Turchia. Le loro immagini, così cariche di umanità, commoventi e dolcissime, sono rimbalzate in ogni angolo del mondo e hanno conquistato la nostra attenzione grazie ai social, ma la loro storia è solo un piccolo episodio, sia pure importante, di una tragedia di dimensioni enormi.

Milioni di siriani subiscono violenze inaudite, sono costretti a lasciare le proprie case, a prendere le proprie povere cose e fuggire, rischiando in ogni istante di morire per i bombardamenti, i colpi di mortaio e i combattimenti. Le strutture di accoglienza sono al collasso. Centinaia di migliaia di persone, soprattutto donne e bambini, cercano rifugio in campi improvvisati, nei quali patiscono fame, freddo ed epidemie. Un incubo atroce e senza fine. Da dicembre ad oggi, secondo l’Onu, sono circa 948 mila gli sfollati da Idlib a causa dei raid del regime siriano appoggiato dalla Russia e dall’Iran contro il nord-ovest dei ribelli appoggiati invece dalla Turchia, e di questi 569 mila sono minori. Violando il diritto internazionale umanitario l’esercito di Bashar al-Assad attacca deliberatamente ospedali, strutture sanitarie e scuole in nome della riconquista della provincia di Idlib. L’esercito turco, che ha invaso per larghi tratti il territorio siriano con la scusa della lotta al terrorismo jihadista, e le milizie dei ribelli sue alleate non sono da meno quanto ad atrocità, distruzioni e brutalità. La Turchia invero persegue l’annientamento dei curdi e la loro sostituzione etnica nel nord della Siria e, per avere mano libera, non esita a ricorrere alla minaccia di far arrivare in Europa ondate di profughi siriani provenienti dalle zone del conflitto. 

Non esistono parole abbastanza forti per descrivere l’immane tragedia in atto nella provincia siriana di Idlib e soprattutto sembra che nessuno voglia ascoltare, reagire e intervenire.  

In gioco non è solo il destino della Siria, di un popolo, ma dell’intera umanità e non è vero che personalmente siamo impotenti di fronte a quanto accade. Possiamo alzare lo sguardo dalla contemplazione del nostro egoismo, abbandonare le nostre vedute ristrette, l’incattivimento che ci sta rubando l’anima e disumanizzando, che ci induce a negare disponibilità e solidarietà verso gli ultimi e i diversi, a considerare nemici e a respingere quanti cercano di fuggire dalle tragedie, a non provare sentimenti di umana pietà verso chi soffre, e far sentire la nostra voce non solo per rincorrere il futile, l’inutile e le polemiche sterili, ma utilizzare da una parte i tanto amati social come uno strumento forte di pressione verso i potenti che hanno in mano il destino nostro e dell’umanità e dall’altra rivedere tanti nostri comportamenti, dimostrarci capaci di scelte solidali e concrete, combattere i seminatori di odio e fanatismo ad ogni livello con le armi potenti della ragione, dell’umanità e della democrazia.

Anche se la guerra, la violenza e l’intolleranza sembrano far più rumore, l’amore, la solidarietà e l’accoglienza sono più potenti e alla fine prevarranno.         

Pubblicato in Riflessioni
Ultima modifica il Domenica, 01 Marzo 2020 08:01 Letto 1027 volte

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