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Shoah. Raccontare l'indicibile

Gen 24, 2021 Scritto da 

Oggi sappiamo di vivere in un tipo di società che rese possibile l’Olocausto e che non conteneva alcun elemento in grado di impedire il suo verificarsi. Per queste ragioni è necessario studiare la lezione dell’Olocausto. È in gioco molto più che il tributo alla memoria di milioni di vittime, la sistemazione dei conti con gli assassini e la guarigione delle ancora brucianti ferite morali dei testimoni silenziosi e passivi
(Zygmunt Bauman).

Che cosa è la Shoah?

Ebrei, zingari, omosessuali, oppositori e resistenti soprattutto polacchi, testimoni di Geova, disabili, malati di mente, prigionieri di guerra russi, milioni di uomini, donne e bambini ammassati come bestie su treni merci piombati, che sferragliano sui binari.

Traversate di giorni e notti interminabili da ogni angolo d’Europa in un viaggio di sola andata verso i campi di sterminio.

Quando i convogli ferroviari finalmente giungono a destinazione e i portelloni delle carrozze si aprono, la sensazione è di essere precipitati all’inferno.

I cani abbaiano, aizzati contro persone inermi, costrette a scendere rapidamente dai vagoni, a correre verso i punti di raccolta attingendo unicamente alla forza della disperazione. Urla, comandi incomprensibili, spinte, colpi di bastone inferti alla cieca e senza pietà dalle SS nel tentativo di mettere ordine nella confusione. I più deboli, gli anziani e i malati soccombono, eliminati immediatamente.

Stanchezza, fame, sete, stordimento e spaesamento sono le sensazioni dominanti.

Umanità di scarto, privata della dignità, calpestata e annichilita.

Voci, implorazioni, pianti e lamenti. Una babele di lingue.

I deportati sfilano davanti l’ufficiale medico delle SS, il quale seleziona chi è subito destinato a morire e chi invece ai lavori forzati, che a ben vedere è la stessa cosa.

Anziani, donne, uomini e bambini, ritenuti inutili e improduttivi, si incamminano in file ordinate verso le camere a gas: mille persone al giorno uccise, bruciate nei forni crematori e le loro ceneri disperse in fosse comuni.

Risuonano sinistri e continui i colpi di fucile e di pistola.

Recinzioni elettrificate, filo spinato circondano il campo di sterminio.

Nelle baracche maleodoranti si aggirano uomini e donne poco più che ombre, resi schiavi, ridotti a cose.

Bambini di ogni età sono oggetto di esperimenti “scientifici”, di atti di crudeltà e di efferatezza assurdi e indicibili, di sofferenze inenarrabili.

E altro, altro, altro ancora….. Le parole non riescono a raccontare l’inesprimibile.

Silenzio, dolore e orrore.

Piero Terracina, uno dei pochi sopravvissuti dal campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau e tra i pochissimi della comunità ebraica di Roma, dopo decenni di silenzioso dolore decise di condividere i suoi ricordi, andando soprattutto nelle scuole, e ci ha consegnato la sua testimonianza nella speranza di rendere la nostra società il più possibile immune dall’odio, dalla xenofobia e dal razzismo.

Una mattina andai a scuola come tutti gli altri giorni, tranquillo. La maestra a cui volevo bene e che mi voleva bene mi disse di non entrare. – Terracina tu resti fuori-. Chiesi perché. – Sei ebreo –“. Nel 1938 il regime fascista impose le leggi sulla razza. La stragrande maggioranza degli italiani non protestò, vennero accolte senza clamori e senza pudore. A Roma la comunità ebraica organizzò una scuola privata, ma con l’8 settembre del 1943 e l’ occupazione tedesca, tutto cambiò.”Fuggimmo dalle nostre case, braccati dai fascisti risorti da quel 25 luglio che aveva visto il popolo romano festeggiare la fine della dittatura… sapevamo che centinaia di nostri correligionari scoperti dai fascisti e dalle molte spie venivano consegnati ai tedeschi, che li avrebbero portati a morire per gas nei lager dell’Est e dati alle fiamme nei forni crematori. Un giovane fascista che conosceva mia sorella, anzi la corteggiava, ci tradì per 5000 lire. Eravamo in 8; lui guadagnò 40.000 lire che a quei tempi era una bella cifra. Sette SS armati entrarono nella casa dove ci eravamo rifugiati; i tedeschi ci spinsero in 64 in un carro merci. Poi tirarono il portellone, chiusero il catenaccio e tutto divenne buio. Il treno partì e cominciò un viaggio terribile che per molti divenne l’ultimo viaggio. Molti piangevano. Qualcuno pregava, i lamenti dei bambini si sentivano da fuori, ma là dove si fermava il treno nessuno poteva intervenire perché le SS sorvegliavano il convoglio. Viaggiavamo nei nostri escrementi: Fossoli, Monaco di Baviera, Birkenau-Auschwitz. Io avevo 15 anni”.

A 15 anni Piero conosce così l’orrore della deportazione sua e della sua famiglia. Sul quel treno piombato diretto a Birkenau-Auschwitz salirono la sorella Anna, i fratelli Leo e Cesare, la madre Lidia, il papà Giovanni, lo zio Amedeo e il nonno Leone. Una famiglia intera. Piero era il più piccolo, la sorella Anna aveva 7 anni più di lui.

Tornò a Roma due anni dopo, unico superstite della retata compiuta e della sua famiglia. “Auschwitz. Perché ricordarlo? Perché fu progettato per sterminare con cinica intelligenza ed efficienza gli ebrei. Ogni giorno era una fila interminabile, uomini donne e tanti bambini che venivano inviati alle camere a gas. Vi rendete conto di  cosa significa vivere in quelle condizioni? Giorno e notte uscivano fumo e fiamme dai forni crematori… con scintille ben visibili. Era una fila interminabile di uomini di tutte le regioni d'Europa.. che erano figli, sorelle, padri, madri, tutti con una propria vita, tutti che dovevano ugualmente morire. Auschwitz era il posto dove chi sopravviveva, veniva privato di ogni diritto. Non poteva avere ricordi, anche il ricordo dei familiari, il senso della famiglia veniva schiacciato dall’esigenza di sopravvivere”.

Quanti hanno avuto l’opportunità di visitare i luoghi dove si è consumata la Shoah e il privilegio di incrociare lo sguardo, di stringere la mano, di ascoltare le parole dei sopravvissuti hanno il dovere morale di raccoglierne la memoria, di farsi traghettatori di tale eredità, la responsabilità di non lasciarla affievolire e spegnere, di impedire che prevalgano paura, indifferenza e inerzia e di combattere l’intolleranza, il negazionismo, il revisionismo, la riproposizione dei simboli nazifascisti e dell’odio verso gli ebrei e i diversi in genere che hanno segnato una delle pagine più buie del cammino dell’umanità, facendo sì che nella nostra società rimangano ben saldi i valori di rispetto e accoglienza reciproci e di libertà su cui è fondata, valori che nascono e sono continuamente fecondati da quell’immenso, innocente dolore.

Pubblicato in Riflessioni

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