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Domenica, 05 Settembre 2021 07:30

I corpi in volo nei cieli afghani

 

 

Pagheremo con le nostre vite il desiderio di essere libere, c’è qualcuno che sente il nostro grido?Voi che ci guardate attraverso le immagini di un  televisore, non potete capire cosa significhi essere una donna afgana sotto il controllo dei talebani, ma potete immaginare e quindi vi prego, sosteneteci, parlate per tutte quelle a cui stanno togliendo la voce, impedite ad un gruppo terroristico di decidere per le nostre vite”. Sukria Barakzai – Candidata alle elezioni presidenziali afgane.

L’ultimo volo americano decollato da Kabul chiude definitivamente un’epoca.

In Afganistan sono tornati i talebani.

Sembra uno scherzo della storia.

La straordinaria accelerazione degli eventi di queste ultime settimane, la fuga precipitosa delle truppe occidentali, effetto della resa firmata a Doha nel febbraio del 2020 dall’ex presidente americano Donald Trump per mano del suo Segretario di Stato, Mike Pompeo, e di cui l’attuale presidente Joe Biden è solo l’esecutore, segnano una sconfitta militare e politica bruciante per gli Stati Uniti e l’Europa. Dopo vent’anni la guerra condotta in Afganistan in nome della lotta al terrorismo, della democrazia, dei diritti umani e delle libertà si conclude con l’abbandono di questi imperativi ideali, che passano in secondo piano e vengono ritenuti sacrificabili rispetto ad interessi economici e politici ben più pressanti.

Prevedere come evolveranno le relazioni internazionali, quali effetti avrà questa scelta è materia per analisti esperti del campo. Sicuramente quest’epilogo solleva pesanti interrogativi e da voce alle riserve, a suo tempo da più parti manifestate, circa i reali obiettivi perseguiti dalla coalizione internazionale, intervenuta militarmente per rovesciare il regime integralista che aveva trasformato l’Afganistan in un santuario del terrorismo jihadista. Un dato è incontrovertibile: dopo averlo illuso con la prospettiva di un futuro diverso, all’insegna dello sviluppo sociale, culturale ed economico e della tutela dei diritti umani stiamo abbandonando un intero popolo nuovamente nelle mani di quello stesso manipolo di fanatici violenti che venti anni fa lo teneva soggiogato in nome della Sharia, la legge islamica.

L’umanità confusa e variegata in fuga, accalcata agli ingressi dell’aeroporto e ai confini con l’Iran e il Pakistan, le persone aggrappate agli aerei decollati che cadono nel vuoto, gli attentati terroristici del cosiddetto stato islamico con le tante vite di americani e afgani stroncate, la risposta al terrore fatta di altre vite spezzate lasciano sgomenti, raccontano soprattutto la richiesta del popolo afgano di essere risparmiato dalla folle violenza di coloro ai quali l’Occidente lo sta consegnando, portatori di una idea della società oscurantista, ci mettono di fronte alla necessità non solo di cercare di comprendere ma soprattutto di assumerci fino in fondo le nostre responsabilità. Siamo dinanzi ad un tornante della storia anche sotto questo aspetto. Non basta parlare di aiuti umanitari, abbiamo il dovere di soccorrere, l’urgenza di dare accoglienza, di garantire un futuro a uomini, donne e bambini che cercano di sottrarsi all’oppressione e alla morte.

La nostra inerzia e indifferenza sarebbe pagata in primo luogo e ancora una volta dalle donne, cui già è impedito di uscire di casa se non accompagnate da un tutore maschio, che sono costrette a nascondersi sotto il burqa, non possono truccarsi, usare lo smalto, indossare i gioielli, ascoltare la musica, lavorare, andare a scuola e persino ridere. Una presenza quella femminile insomma da cancellare, da seppellire sotto una montagna di divieti, come quello di incrociare lo sguardo di un uomo e stringergli la mano e perfino di far rumore con i tacchi. Sebbene nelle interviste rilasciate i capi talebani cerchino di mostrarsi tolleranti e aperti verso l’emancipazione femminile, sappiamo che la loro è soltanto propaganda per accreditarsi a livello internazionale, un modo disonesto di nascondere la loro identità di fanatici integralisti. La stretta oscurantista è già in atto nei piccoli villaggi sotto il loro controllo e si estenderà progressivamente al resto del paese, non appena avranno occupato tutti i gangli vitali dello stato e spazzeranno via le ultime resistenze, soprattutto delle donne che coraggiosamente in questi giorni manifestano per le strade delle città per i loro diritti.

Se l’ombrello della NATO ha consentito all’Europa di nascondersi dietro gli USA, i quali si sono fatti carico quasi per intero dell’onere economico, strategico, militare e delle perdite umane e di limitarsi per lo più a svolgere un ruolo di supporto e di ricostruzione post intervento armato, lo scenario che ora si apre, la grave crisi umanitaria, l’afflusso di migliaia di profughi in fuga non lascia spazio a furbizie. Abbiamo perso la guerra per la democrazia in Afganistan, ma ora non possiamo perdere anche l’anima. Aprire corridoi umanitari, offrire asilo ai più vulnerabili e ai più esposti alla furia integralista è un obbligo giuridico per l’Italia oltre che un imperativo morale. L’art. 10 della Costituzione della Repubblica pone un principio di assoluta civiltà giuridica: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica”. Si può forse obiettare sull’applicabilità di tale norma ai migranti economici (secondo me a torto, in quanto la condizione di povertà costituisce un fattore limitante l’esercizio dei diritti e delle libertà democratiche riconosciute e garantite nella nostra Costituzione), ma è assolutamente indiscutibile che vale per gli afgani, i quali nel proprio paese vedono conculcati i loro più elementari diritti, in particolare le donne, senza considerare la condizione dei minori bisognosi di assistenza umanitaria e medica.

Pensare di frenare l’ondata migratoria con la forza, scaricando il problema sugli Stati confinanti, lavarcene le mani, disinteressarci bellamente dei diritti delle persone, trincerarci dietro lo slogan ipocrita ed indegno aiutiamoli a casa loro, disconoscendo le nostre responsabilità su quanto accaduto in Afganistan, significa rinnegare tutto quello in cui a parole diciamo di credere e distruggere alle fondamenta e definitivamente la stessa ragion d’essere della nostra civiltà.

Pubblicato in Riflessioni

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