In Italia si è votato per le elezioni regionali in Calabria, ma quello che colpisce più dei risultati è, ancora una volta, l’astensionismo dilagante. Le urne restano sempre più vuote, i seggi deserti, e la partecipazione crolla a livelli che fino a qualche anno fa sarebbero stati impensabili.
Non è solo disinteresse: è sfiducia, stanchezza, distacco.
Mentre i partiti parlano tra loro e gli schieramenti cambiano di continuo, una parte crescente dei cittadini sceglie di NON SCEGLIERE.
Colpa della politica e del il metodo di voto, complicato, poco trasparente e pieno di falle, contribuisce a rendere la democrazia sempre più fragile.
Come funziona (davvero) il voto nei comuni
Il metodo di voto varia a seconda della dimensione del comune:
- Nei comuni fino a 15.000 abitanti, si vota con sistema maggioritario secco: chi prende più voti diventa sindaco, senza ballottaggi.
L’elettore può tracciare una croce sul nome del candidato sindaco o su una lista collegata (il voto vale per entrambi), e può esprimere fino a due preferenzeper i consiglieri, purché di sesso diverso e della stessa lista. - Nei comuni sopra i 15.000 abitanti, si passa al maggioritario a doppio turno: se nessuno supera il 50% dei voti al primo turno, si va al ballottaggiotra i due più votati.
Anche qui si può votare solo il sindaco o la lista, o fare il cosiddetto “voto disgiunto”: un candidato sindaco e una lista non collegata.
Sulla carta il sistema comunale dovrebbe garantire equilibrio tra rappresentanza e governabilità. In realtà, è un meccanismo opaco e facilmente manipolabile.
Le liste civiche di facciata spesso nascono solo per drenare voti o aggirare i limiti dei partiti ufficiali; il voto disgiunto consente manovre sottili tra coalizioni apparentemente rivali; e la moltitudine di micro-liste frammenta il consenso al punto da rendere tutto trattabile nei ballottaggi.
In molti comuni, la differenza tra vincere o perdere si gioca su poche centinaia di voti “pilotati” da reti di conoscenze o blocchi di preferenze.
Un sistema che, invece di rappresentare la volontà popolare, premia l’abilità tattica e il controllo del territorio. In certi casi, basta inserire in lista un paio di nomi noti, magari figure professionali molto stimate sul territorio anche senza nessuna esperienza politica e amministrativa, per trasformare una sigla sconosciuta in una “lista civica vincente”.
Il cittadino, di fronte a schede complicate e accordi che cambiano da un turno all’altro, si sente estraneo: e smette di crederci.
Il grande assente: l’elettore
Negli ultimi anni, l’astensionismo ha raggiunto livelli record. Le cause sono molte: disillusione, mancanza di fiducia nei partiti, campagne elettorali povere di contenuti, e anche una macchina del voto che sembra antiquata e complicata.
A questo si aggiunge un sentimento diffuso di sfiducia verso la parola data: troppe promesse fatte in campagna elettorale vengono puntualmente disattese, quando non addirittura tradite da decisioni opposte una volta conquistato il potere.
E così, il cittadino finisce per convincersi che il voto non cambi davvero nulla. Quando non ci si sente rappresentati, si smette di partecipare. E senza partecipazione, la democrazia perde la sua linfa vitale.
Informazione (poca) e manipolata
A rendere il quadro ancora più preoccupante c’è anche la qualità dell’informazione.
Chi si interessa poco di politica finisce spesso per ricevere solo notizie distorte o semplificate all’estremo, filtrate dai social, dai titoli gridati o dalle narrazioni di parte.
L’informazione indipendente e approfondita sembra un lusso per pochi, mentre la maggioranza si forma un’opinione su frammenti, slogan o post virali.
Così si crea un cortocircuito: meno informazione vera, più sfiducia; più sfiducia, meno partecipazione.
E in questo silenzio, chi sa manipolare la percezione pubblica continua a vincere — anche senza convincere davvero.
In Calabria come altrove, ha vinto qualcuno. Ma a perdere, ancora una volta, è stata la partecipazione.
Finché il voto resterà un rito svuotato, tra schede incomprensibili e promesse già viste, la vera sfida non sarà conquistare seggi, ma riconquistare la fiducia di chi non entra più in cabina elettorale.
Forse il problema non è che la gente non vota: è che non si sente più parte del gioco.
E quando i cittadini smettono di giocare, la partita la vincono sempre gli stessi.
