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Domenica, 21 Febbraio 2021 06:09

Donne all'altare, la riforma di Papa Francesco

 

 

Il linguaggio dei giuristi è performativo, può contenere enunciati né descrittivi né prescrittivi ma costitutivi della realtà cui fanno riferimento, nel momento stesso in cui vengono pronunciati. Una parola in più o in meno può essere determinante, aprire o chiudere uno spazio, respingere o includere, riconoscere un diritto o negarlo, opporsi alla realtà o assumerla in pienezza nella sua essenza più profonda e autentica, alzare un muro impermeabile e inscalfibile o innescare percorsi profondi di cambiamento sociale e culturale, i cui approdi sono sempre imprevedibili.    

È bastato poco in apparenza, appena un tratto di penna con il quale eliminare un complemento di specificazione e Papa Francesco, con il Motu Proprio Spiritus Domini, ha cambiato radicalmente il senso e la portata del Canone 230 paragrafo 1 del Codice di Diritto Canonico, consentendo alle donne di accedere ai ministeri non ordinati del lettorato e dell’accolitato, ha cancellato una discriminazione o forse più esattamente ha scelto ancora una volta di ritornare alle radici del Vangelo, eliminando incrostazioni e sovrastrutture e proseguendo nell’opera di riforma della Chiesa con l’obiettivo di farle riacquistare forza e slancio indispensabili in questi nostri tempi complicati. Il passato ci appartiene, sarebbe assurdo ripudiarlo, pensare di cancellarlo con un colpo di spugna, ma sarebbe illogico cristallizzarlo in una immodificabilità acritica e in una fissità antistorica e desueta, non tener conto del mutare delle sensibilità, dell’evolvere della storia, della necessità di non frapporre ostacoli alla forza rinnovante dello Spirito, principio questo fondamentale per coloro che hanno fede, non prendere coscienza che abbiamo spesso rivestito degli abiti delle nostre elaborazioni culturali, dei nostri convincimenti personali, delle nostre comodità e convenienze contingenti il Vangelo, ogni volta che si è dimostrato difficile e faticoso accettarlo fino in fondo per la sua radicalità rivoluzionaria.

La cancellazione della riserva in favore degli uomini dei ministeri non ordinati dell’accolitato e del lettorato rappresenta sotto il profilo normativo e sostanziale qualcosa di ben più rilevante di una semplice apertura nei confronti delle donne, di una riaffermazione del riconoscimento del genio femminile e dell’attribuzione alle stesse di ruoli di sempre maggiore rilevanza nella Chiesa. A ben vedere non sono le donne ad entrare nei ministeri istituiti di lettorato e accolitato, non viene accordato loro un permesso, una facoltà o riconosciuta una opportunità, ma viene eliminata l’esclusiva prerogativa maschile. In altri termini ad essere promossa è la piena parità tra uomini e donne nello stato di vita laicale, cancellando la distorsione inaccettabile di alcuni laici, gli uomini appunto, che nelle comunità cristiane si vedevano riconosciuti ruoli liturgici esclusivi o comunque superiori alle donne. Solo partendo da tale assunto possiamo cogliere in pieno il senso della scelta, il cambio radicale intervenuto, anche se rimasto in ombra e non adeguatamente sottolineato, essendosi l’informazione per lo più fermata al significato meramente aperturista nei confronti delle donne, probabilmente più “attraente” e funzionale alla logica semplificata della comunicazione mediatica, e questo invero a partire proprio da quanti hanno presentato il nuovo testo normativo nelle austere stanze del Vaticano.  

L’altro errore è pensare che la decisione del Pontefice sia stata dettata dall’esigenza di adattare la normativa ecclesiastica alla realtà di fatto, facendone una lettura meramente sociologica. Il suo intento, il suo obiettivo non è stato cristallizzare e legittimare attraverso una norma codificata la prassi consolidata, quanto già avviene nella gran parte delle comunità cristiane, dove trovare donne che leggono la Parola di Dio o servono all’altare è la normalità. Nella lettera al Cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Papa Francesco scrive che è “compito dei pastori della Chiesa riconoscere i doni di ciascun battezzato, orientarli anche verso specifici ministeri, promuoverli e coordinarli, per far sì che concorrano al bene delle comunità e alla missione affidata a tutti i discepoli”. L’annuncio della Parola di Dio e il curare il servizio all’altare rientrano pienamente nella vocazione tanto degli uomini quanto delle donne, senza distinzioni. Pertanto non siamo di fronte ad un gesto opportunistico, al tentativo di adeguarsi alla modernità e di stare al passo con i tempi per timore di una progressiva marginalizzazione, di una perdita di presa sociale e di rilevanza culturale, ma più radicalmente ad una scelta di fedeltà della Chiesa al mandato ricevuto dal suo fondatore. Nel Vangelo le donne non sono affatto marginali e relegate a ruoli irrilevanti. Cristo non ha mai operato discriminazioni o esclusioni. Distaccandosi profondamente dal modo di pensare e dalla cultura del suo tempo, si è rapportato con le donne non in ragione del loro status di mogli, sorelle o figlie, socialmente subordinato, ma considerandole figlie di Dio, destinatarie al pari degli uomini dell’amore del Padre ed ha affidato proprio a loro il compito di essere prime depositarie e annunciatrici dell’evento straordinario della resurrezione. Pur costituendo i dodici e affidando loro il compito di essere gli apostoli, il Nazareno non considera la comunità di coloro che lo seguono come una cerchia separata, riservata unicamente agli uomini. Le donne fanno parte a pieno titolo del gruppo e le ha volute non oggetto di cura ma protagoniste. I discepoli spesso restano sorpresi e finanche interdetti di fronte ai suoi atteggiamenti, al suo agire che potremo definire controcorrente e anticonformista e nel Vangelo tutto questo viene riportato ed evidenziato con estrema chiarezza. Scrive San Paolo: “Non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3, 28). Questo ovviamente non significa sopprimere la diversità, non considerare le peculiarità e i carismi di ogni persona, ma piuttosto affrontare ed eliminare ogni ingiusta e gratuita ineguaglianza.

Il passo compiuto, più volte auspicato dai Sinodi dei Vescovi, da ultimo nel Documento Finale e nell’esortazione postsinodale Querida Amazonia del Sinodo Panamazzonico, è stato insomma importante e significativo e sono convinto che Papa Francesco proseguirà sulla strada intrapresa di un rinnovamento profondo della Chiesa, che poi è semplicemente un ritornare al cuore del Vangelo.

Pubblicato in Riflessioni