Domenica, 12 Novembre 2023 07:13
Il protocollo sconcertante
La soluzione escogitata per fronteggiare i flussi migratori verso il nostro Paese è una alzata di genio della sorella d'Italia.
L'arguta Presidente del Consiglio aveva bisogno di riprendere l'iniziativa su un tema identitario come l'immigrazione e, considerando gli scarsi risultati del suo governo e le promesse elettorali tradite, per calmare un'opinione pubblica delusa ha fatto ricorso all'ennesima trovata propagandistica. Il protocollo firmato da Giorgia Meloni e dal premier albanese Edi Rama, dalle caratteristiche spiccatamente post-coloniali, non è per niente originale, dato che si ispira ad un accordo simile concluso tra il governo britannico e il Ruanda, dimostratosi totalmente inapplicabile.
Certamente è paradossale che un paese tra i più avanzati del mondo, una potenza economica e politica, membro del G7 e fondatore dell'Unione Europea, abbia bisogno di far ricadere su un paese piccolo, con meno risorse e istituzioni più fragili, l'onere di accogliere profughi e migranti che fuggono da guerre, povertà e carestie.
Evocare Guantanamo e la detenzione extraterritoriale riservata dagli USA ai sospetti terroristi è sbagliato, ma l'accordo tra Italia e Albania suscita molte perplessità sul piano del diritto internazionale, delle norme dell'Unione Europea e dei principi fissati nella Costituzione della Repubblica.
Innanzitutto l'accordo firmato da Italia e Albania per poter essere applicato dovrà essere ratificato dal Parlamento, mediante un'apposita legge che definisce le deroghe al quadro normativo nazionale. A prevederlo è l'articolo 80 della Costituzione, il quale assicurazione che le Camere devono autorizzare con legge di ratifica i trattati internazionali che comportino oneri alle finanze dello Stato e modifiche alle norme nazionali. Il protocollo prevede sia oneri che deroghe alle regole nazionali e pertanto la ratifica è una strada obbligata, pena l'inapplicabilità di quanto stabilito da parte degli organi giurisdizionali.
L'Albania metterà a disposizione alcune aree del proprio territorio, in cui il nostro Paese realizzerà a proprie spese i due centri. I naufraghi saranno fatti sbarcare nel porto di Shengjin e le autorità italiane si occuperanno delle procedure di sbarco e di identificazione. Il centro di prima accoglienza e screening , una sorta di CPR, sarà realizzato invece a Gjader, dove nell'arco di un mese verranno istruite le richieste di asilo. Le due strutture saranno sotto la giurisdizione italiana, ma la sorveglianza esterna sarà affidata alle autorità albanesi. I migranti illegali dovranno affrontare in condizioni di detenzione le procedure accelerate per il riconoscimento dello status di protezione o l'eventuale espulsione, senza la possibilità di vedersi garantiti i diritti di difesa e le libertà personali sancite dalla Costituzione Italiana, a cominciare dalla necessità della convalida entro 48 ore da parte di un giudice della misura di trattenimento amministrativo, principio questo ribadito con nettezza dalla sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale. Come potranno avere simili garanzie in territorio albanese? Da chi saranno composti gli organismi che dovranno valutare le richieste? A quale tribunale potranno ricorrere i richiedenti asilo la cui domanda verrà respinta visto che un giudice del luogo, come consultare la legge, in questo caso non c'è? In uno stato di diritto si tratta di questioni tutt'altro che irrilevanti.
I centri per il rimpatrio in Albania ospiteranno migranti definiti irregolari esclusivamente soccorsi nel Mediterraneo da navi militari italiane, mentre per tutti gli altri si continuerà ad applicare la normativa finora seguita.
Affidare i migranti alle autorità albanesi, almeno fino al loro ingresso nei centri di detenzione, a meno che non li scortino i militari italiani, configura un respingimento collettivo analogo a quello per cui l'Italia è già stata condannata nel 2012 dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di Finanza riconsegnò ai libici, entrando nel porto di Tripoli, i naufraghi soccorsi in acque internazionali. Secondo il Codice della Navigazione Italiano e il Diritto Internazionale sulle navi militari vige la giurisdizione dello stato della bandiera, nel caso specifico del nostro Paese, responsabile perciò dell'eventuale violazione dei diritti di stabilità dalla Convenzione Europea. La stessa violazione ricorrerebbe se le autorità italiane, per far eseguire il trasferimento forzato e l'eventuale rimpatrio, consegnassero i migranti alla polizia albanese.
Il primo ministro albanese ha precisato che “ chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l'Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli ”. Insomma le persone sono ridotte alla stregua di ingombri se non addirittura di rifiuti da smaltire e l'Albania non se ne farà certamente carico. Siamo alla pantomima e niente più.
La realizzazione fuori dall'Unione Europea di centri per i migranti e la previsione di procedura accelerata per i richiedenti asilo da parte degli Stati membri non sono previsti dalle norme europee. Pertanto non si vede come un paese aderente possa trasferire persone, soccorsi in acque internazionali da proprie navi militari, verso un paese non appartenente all'Unione Europea e non soggetto al rispetto di obblighi e garanzie stabilite dalla normativa comunitaria.
In base all'accordo non saranno trasferite in Albania le donne in gravidanza, i minori ei soggetti fragili. È indiscutibile la violazione delle norme interne ed europee che riconoscono a tutti, senza discriminazioni di sesso, età e condizioni personali, il diritto di chiedere la protezione internazionale.
Le navi militari italiane dovranno trasportare centinaia di persone verso l'Albania, un paese decentrato rispetto alle rotte migratorie, per cui saranno necessari molti giorni di navigazione su poco adatti prima di approdare ai centri di detenzione.
A pagare il conto di tanta disumanità saranno quanti fuggono da guerre, violenze e povertà, sballottati da una frontiera ad un'altra e calpestati nei loro elementari diritti.
In definitiva prevale approssimazione e qualunquismo, un ideologismo cieco e incapacità di misurarsi con le dinamiche sociali e culturali del nostro tempo.
Bisognerebbe comprendere che le migrazioni sono ormai un fenomeno strutturale da governare con lungimiranza e senza solleticare sentimenti xenofobi e razzisti, ma forse è chiedere troppo…
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Riflessioni