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Il rinvenimento nel 1980 del tempio arcaico di Giunone nel tratturo Caniò, come ebbe a sottolineare il prof. Luigi Zaccheo in un suo articolo su Il Comune Oggi rappresenta un fatto culturalmente molto importante, perché è il segno della penetrazione più meridionale di Roma durante la conquista del territorio dei Volsci. Con questo articolo il prof. Zaccheo, oltre ad informare su importanti reperti che erano tornati in luce, notava che se si fosse riusciti a scavare tutta l'area sacra del tempio ea ricomporre in loco le antiche strutture, Sezze avrebbe avuto il pregio di mostrare nel proprio territorio uno dei complessi più antichi del Lazio meridionale.

Il tratturo Caniò, unica via di accesso al Tempio di Giunone, era anticamente percorso dalla transumanza che scendeva dai Lepini attraverso le falde del M. Antignana, e raggiungeva la palude nei pressi del Foro Appio. Di questo tratturo non esiste più né il tracciato montano né quello pedemontano, anche se di quest'ultimo si può ritenere che in epoca remota passasse per le sorgenti di “acqua zolfa” in località La Catena, dove gli animali venivano fatti immergere. Ciò in virtù della funzione sanante e curativa dello zolfo per le ferite degli animali, specificatamente sui cavalli, ma anche sugli ovini, ai quali le acque solfuree conferivano un mantello di lana candido e pulito, che costituiva un pregio commerciale ed un valore aggiunto.  Era un'opportunità cui difficilmente i pastori rinunciavano, e che con ogni probabilità aveva dato il nome al tratturo.

Caniò infatti deriverebbe dal nome latino di persona Canius , che significa uomo dai capelli bianchi o candidi, proprio come il candore che acquistavano le pecore detergendosi nell'acqua zolfa della sorgente della Catena. Gli umanisti ci hanno sempre ricordato che in greco a theion era lo zolfo, ma era anche la cosa divina (divinum): non a caso il verbo theióo significa «purifico con zolfo, disinfetto» ma corrisponde anche a «consacro agli dei». Lo zolfo era quindi sacro, anzi, era la «cosa sacra» con cui si curavano i mali degli uomini e degli animali, si candeggiavano lana e tessuti, si purificavano le case durante le cerimonie, si dava alla la vite e si preparava il vino eccetera.

Dall'area archeologica dei resti del tempio di Giunone, segnaliamo numerosi materiali bronzei e ceramici, fra i quali si distinguono gli ex voto, sia gli anatomici che rimandano chiaramente a una guarigione richiesta o ricevuta di persone malate, sia quelli riproducenti ovini, bovini e un cavallo. Si ritiene che la presenza di queste statuine di animali da pascolo potrebbe non essere casuale, ma legata proprio all'azione benefica delle acque sugli armenti e sulle pecore.

Della rilevanza dati a questi animali, parrebbero testimoniare puri gli strumenti da lavoro venuti alla luce durante gli scavi: una lama di coltello a mezzaluna per la lavorazione del cuoio, e vari pesi da telaio, evidentemente legati alla tessitura.

Dalle mappe del Catasto terreni di Sezze del 1929, che si rifanno a quelle ancora più antiche del Catasto Pontificio , il tratturo figura come strada vicinale Caniò con incrocio da via degli Archi, a circa 650 metri dal sito archeologico degli Archi di S. Lidano e si addentra alla campagna in direzione sud per meno di 500 metri, quindi curvando verso ovest attraversa con un ponte la fossella della Carrara e va ad incrociare, dopo circa 350 metri, via Murillo. L'accesso in via Murillo è da questa parte intercluso dall'aia di un fabbricato rurale, ma all'occorrenza potrebbe essere ripristinato perché non vi insistono manufatti..

L'orientamento verso nord dell'asse stradale del tratturo, nel tratto in cui inizia da via degli Archi, mostra la sua primitiva provenienza dalla sorgente dell'acqua zolfa della Catena, anche se tale percorso pedemontano potrebbe essere variato nei secoli, specie durante le contese medievali tra Sezze e Sermoneta e parzialmente deviato verso lo storico stradone dell'Arnarello (tuttora esistente e riportato nelle mappe del Catasto nelle immediate vicinanze del tratturo, presso via Archi).

Il tratturo Caniò è interamente in terra battuta come è sempre stato per millenni, si presenta molto sconnesso e può essere percorso solo a piedi oppure da trattori o fuoristrada.

Dall'intersezione di via Murillo (a circa 800 metri dagli Archi di San Lidano) e procedendo in direzione sud-ovest verso i resti del tempio di Giunone il tratturo Caniò scompare dalla planimetria catastale, ma la tradizione popolare lo indica ancora oggi nello stradone in terra battuta con grossi avvallamenti che conduce al tempio di Giunone, nel cuore della località “Quarto Campelli” un tempo chiamato Pantano Luvenere  ovvero Pantano delle uve nere (cecubo)

Il tratturo termina alla cosiddetta Fossella della Selcichia, ma sino a pochi decenni fa immetteva in via Maina ed è stato raccontato di uno suo sbocco in prossimità del Foro Appio.

Le origini arcaiche del tratturo Caniò, sicuramente il più antico tra quelli che attraversarono il campo setino, sono testimoniate da alcuni oggetti rinvenuti negli scavi dell'area archeologica del tempio di Giunone che risalgono al XVI secolo a. C. (età del Bronzo Medio).

Da tali reperti si desume chiaramente come il tratturo fosse preesistente sia alla via degli Archi che alle altre strade del campo di Sezze, e persino alla stessa via Appia.

 

 

[1] Il Comune Oggi – Nov 1985 –anno VII

[2] Università degli studi di Padova, Dipartim. archeologia- Atti del convegno, Padova 21.06. 2010 - AQUAE PATAVINAE – Maddalena Bassani: Le terme,le mandrie e Gerione- Antenor Quaderni; 21 .

[3]   Foglio catastale 53 del Comune di Sezze

[4] Foglio catastale 91 del Comune di Sezze

[5] MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DEL LAZIO Atti del convegno Lazio e Sabina 9 – Roma 27-29 marzo 2012 -Ricerche geoarcheologiche nell'area di Tratturo Caniò (Sezze, Latina) 2007- Nicoletta Cassieri- Carmela Anastasia, – Martijn van Leusen – Hendrik Feiken – Gijs Tol -

Pubblicato in Storia e Tradizioni