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Aleksej Navalny non è morto, è stato assassinato in un carcere per prigionieri ad alto rischio nell’estremo nord della Russia. 
 
Il maglio del potere si è abbattuto sul più coraggioso e noto oppositore di Vladimir Putin, facendogli fare l’unica fine possibile per quanti osano opporsi alla piramide autocratica che governa la Russia. Sebbene da alcuni anni ormai fosse stato di fatto neutralizzato ed avesse un’influenza piuttosto limitata sull’opinione pubblica, Putin ha continuato ad esserne ossessionato ed ha fatto di tutto affinché la sua vita avesse questo epilogo tragico.
 
Un filo nero lega l’oscura stagione degli Zar, gli anni dell’impero comunista ed il nazionalismo contemporaneo: l’assoluta refrattarietà del potere ad accettare qualsiasi forma di dissenso e il sistematico ricorso all’omicidio di Stato come strumento per regolare i conti con gli avversari politici.
 
Aleksej Navalny aveva alle spalle una lunga storia di militanza politica. Si era imposto sulla scena pubblica come esponente del partito liberale Yabloko, che lasciò dopo pochi anni di militanza, disilluso dal dogmatismo e dall’elitarismo della vecchia generazione di liberali russi. L’obiettivo di costruire un’ampia coalizione di opposizione lo portò a flirtare con il nazionalismo post-sovietico. Si schierò a favore dell’attacco russo contro la Georgia del 2008 e dell’invasione della Crimea nel 2014 e definì i migranti e le popolazione caucasiche con epiteti insultanti, chiedendone l’espulsione. Tanto che nel 2021 Amnesty International sollevò dubbi sulla “definizione di Navalny come prigioniero di coscienza a causa di commenti da lui fatti in passato, che possono equivalere a discorsi d’odio che costituiscono istigazione alla discriminazione, alla violenza e all’ostilità”.
 
Nel 2011 lanciò la Fondazione Anti-Corruzione, organizzazione che riuscì a convogliare l’energia delle giovani generazioni, che scesero in strada per protestare contro il ritorno di Putin per il terzo mandato presidenziale. Una simile scelta lo consacrò come il principale e più pericoloso oppositore del regime putiniano.
 
All’inizio a determinare la frattura tra il sistema di potere incarnato da Putin e Aleksej Navalny non fu tanto la diversità di posizioni politico-ideologiche ma il denaro. Le persecuzioni, la violazione dei suoi diritti e delle sue libertà cominciarono quando decise di alzare il velo sulla corruzione dilagante, sulle ruberie, sugli arricchimenti personali, sugli sprechi di risorse pubbliche messe in atto dagli oligarchi del regime. Le sue denunce, puntuali e mai generiche, erano avvalorate da documenti, immagini e riscontri. I risultati delle indagini venivano pubblicati sui siti web del suo gruppo, trasformatosi rapidamente in forza sociale e politica con notevole seguito nel Paese. Progressivamente si spostò su posizioni più liberal, compreso il sì alle unioni gay e negli ultimi anni ha rappresentato l’unica e realistica alternativa al blocco autoritario del Cremlino.
 
La reazione del regime fu inevitabile e il primo atto importante fu l’esclusione di Aleksej Navalny dalle elezioni nel 2018 per vicende giudiziarie piuttosto fumose e di dubbio fondamento. L’obiettivo era distruggere la sua credibilità personale di fronte all’opinione pubblica, indebolirlo sul piano politico e poi eliminarlo. 
 
Dopo essere miracolosamente sopravvissuto all’avvelenamento messo in atto dai servizi speciali russi, in conseguenza del quale fu trasferito in Germania e curato in ospedale a Berlino, al suo ritorno in patria nel 2021 Navalny fu arrestato direttamente in aeroporto. Avrebbe potuto scegliere la strada dell’esilio, ma decise di tornare in patria consapevole che le persecuzioni, giudiziarie e non, nei suoi confronti sarebbero continuate, che la sua vita sarebbe dipesa dalla volontà di Putin e che avrebbe fatto sicuramente la stessa fine dei tanti oppositori politici, eliminati dai sicari del regime.
 
Le basi giuridiche della sua carcerazione erano insensate, i processi solo delle farse. Fu condannato a tre anni di carcere, cui le autorità aggiunsero prima un’ulteriore pena di nove anni e infine una terza di altri diciannove anni. Aleksej Navalny ha trascorso più di 250 giorni, salvo brevi interruzioni, nella cella di punizione, una prigione nella prigione, detenuto in condizioni estremamente difficili che prevedevano tra l’altro il divieto totale di qualsiasi contatto con il mondo esterno. Eppure, fino ai suoi ultimi giorni, ha colto ogni occasione per leggere, scrivere e soprattutto per sollecitare quanti credono nella democrazia a non arrendersi e a lottare per costruire una Russia diversa, rispettosa dei diritti e delle libertà di ogni persona.
 
Aleksej Navalny ha opposto all’autocrazia incarnata dal presidente russo il suo corpo ed è proprio il suo corpo oggi a testimoniare la forza della sua battaglia politica di fronte all’intera nazione. Infatti non è un caso che il suo cadavere venga occultato, venga negata l’autopsia e impedito di fatto ai familiari di dargli una degna sepoltura. Il timore è che la sua tomba possa divenire il simbolo della lotta contro Putin.   Nonostante la repressione, l’apatia e il conformismo dilaganti, l’azione politica portata avanti da Navalny ha rappresentato uno stimolo all’impegno per migliaia di persone ed ha indicato nella partecipazione l’unica vera alternativa al mondo ristretto di interessi privati e di indifferenza in cui il regime di Putin ha spinto la società russa. Tutto questo è stato possibile perché insieme agli slogan liberali, alla richiesta di elezioni giuste e libere e di garanzia dei diritti civili, Aleksej Navalny ha posto sul tavolo della discussione politica il problema dell’enorme disuguaglianza sociale, della povertà della maggioranza e dell’incredibile ricchezza di una piccola minoranza. Insomma non si è limitato a denunciare la corruzione, ma ha puntato il dito contro la natura criminale della ricchezza delle élite politiche ed economiche e ha evidenziato la necessità di realizzare finalmente una democrazia normale per la Russia, con uno stato di diritto, la libertà di parola, una classe media e un mercato socialmente orientato.
 
La morte di Navalny sicuramente non produrrà una mobilitazione di massa in grado di far perdere le elezioni presidenziali a Putin, poiché avviene in un contesto in cui oggi il potere non è contendibile, ma da esponente di spicco di una piccola minoranza e dalle non limpide referenze democratiche, oggi egli è divenuto un simbolo potente contro il putinismo e il regime russo.
 
Pubblicato in Riflessioni