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Domenica, 25 Ottobre 2020 07:50

Jerry e il razzismo in un pugno

 

 

Jerry Boakye ha smesso di lottare e ne è andato in silenzio, in punta di piedi e nel disinteresse generale, soprattutto del circo mediatico. Costretto su una sedia a rotelle, era provato dalla fatica e dal dolore,  stanco di una vita consumata tra le pareti asettiche della struttura sanitaria che lo aveva accolto e si era da tempo spento per lui anche l’ultimo barlume di speranza. Aveva soltanto 31 anni.

Tutto è iniziato una sera di luglio del 2017. Jerry, migrante ghanese in Italia da più di 10 anni, allora 28enne, si alza dal suo posto sull’autobus che ogni sera lo riporta a casa da Castel Volturno, dove lavora come saldatore, e avverte l’autista che deve scendere alla fermata. Muove qualche passo nel corridoio ma tra lui e l’uscita si è messo di mezzo un uomo di 60 anni. “Scusa, devo scendere” gli dice Jerry a bassa voce. L’uomo rimane immobile, indifferente, non risponde. “Per favore, mi fai passare?- domanda di nuovo Jerry. Nessuna risposta e nessun movimento. Jerry insiste una, due, tre volte. L’uomo reagisce infine. Lo manda a quel paese ed a seguire lo fa oggetto di una serie spaventosa di insulti razzisti. Jerry non reagisce, non risponde nulla, riesce a farsi largo tra i passeggeri e supera, senza neppure sfiorarlo, l’uomo. Si avvicina all’uscita, il pullman si ferma e, mentre si appresta a scendere, gli arriva un pugno violentissimo alla schiena che lo fa precipitare giù e rovinare sull’asfalto. A sferrarlo è l’uomo che si era frapposto tra lui e l’uscita. Un pugno alle spalle talmente preciso e ben assestato da rompergli una vertebra, procurargli una lesione irrimediabile al midollo spinale e lasciarlo paraplegico, paralizzato a vita. Tuttavia non contento, l’uomo scende anche lui dal pullman, lo raggiunge quando è riverso a terra e si avventa sul suo corpo inerme con pugni e calci, in conseguenza dei quali Jerry perderà anche l’uso di braccia e mani.

Jerry ha sempre lavorato come saldatore a Castel Volturno, ha fatto il parcheggiatore e d’estate anche il bagnino nei lidi sulla costa della Campania e del Lazio. Insomma è una persona perbene, un lavoratore che ha sempre cercato di guadagnarsi da vivere onestamente in una terra difficile e di illegalità diffusa, dove tanti invece ricorrono a furbizie ed espedienti e si mettono al servizio della malavita.

Il paradosso è che l’uomo sporge denuncia contro di lui per aggressione e lesioni. Ovviamente anche Jerry sporge denuncia. Grazie alle indagini delle forze dell’ordine e della magistratura di Santa Maria Capua a Vetere emerge la verità, l’uomo viene arrestato ed è attualmente sotto processo. Jerry non conosceva il suo aggressore, non lo aveva mai visto né incontrato e quest’ultimo, un italiano del posto, senza alcun motivo prima lo ha insultato con frasi razziste e poi è passato alla violenza fisica.

Inizia il calvario di Jerry. La diagnosi non lascia scampo ed è definitiva: paraplegia degli arti inferiori e diparesi degli arti superiori. La condizione di paralisi in altri termini è irreversibile. Non può fare nessun gesto motorio in autonomia, è costretto su una sedia a rotelle 24 ore su 24, non può lavorare e vivere normalmente, essendo perennemente dipendente dagli altri anche per i suoi bisogni vitali e dovendo essere assistito da medici ed infermieri. Dopo la degenza in ospedale viene ricoverato nell’unica struttura che gli possa garantire una lunga degenza, una clinica per malati mentali. E siamo davvero all’assurdo.

Negli ultimi tempi Jerry peggiora, si lascia andare, rifiuta cibo e terapie, non ha più voglia di reagire e di vivere, ucciso dalla rassegnazione, dall’impossibilità di vedere per sé un futuro dignitoso e soprattutto da un razzista violento e abominevole.

Ora la sua agonia è terminata e Jerry ci lascia senza avere avuto giustizia.

Un finale giusto per questa storia non esiste e non poteva esistere, come non c’è alcuna spiegazione per una vita spezzata, perduta, cancellata, considerata carta straccia e gettata via, ma solo un senso di smarrimento e di agghiacciante orrore.  

La vicenda di Jerry ci racconta di una violenza vile, assurda e gratuita, frutto di un clima di odio e intolleranza, pervicacemente inoculato nel corpo vivo della società, nel sentire collettivo, scientemente sobillato soprattutto da certa politica che persegue unicamente l’obiettivo di lucrare facili consensi, facendo leva su paure e insicurezze delle persone, additando semplicisticamente e proditoriamente lo straniero e il diverso come il nemico, accusandoli di tutti i mali e di tutti i problemi che affliggono la nostra società, sdoganando un linguaggio brutale e arrivando a giustificare di fatto l’estremismo ideologico e le iniziative di gruppi radicali non prendendone le distanze, non condannandoli e anzi strizzando l’occhio accondiscendente verso i loro capi e responsabili. Il razzismo è disprezzo e rifiuto dell’altro e della diversità, negazione della libertà di poter essere , vivere, camminare, realizzarsi.

Il dolore e l’amarezza per quanto accaduto, per la cattiveria e il disprezzo che infarciscono i discorsi di tanti, per la non comprensione e la minimizzazione della gravità degli episodi di razzismo che avvengono nel nostro paese, per l’assuefazione alla predicazione dei seminatori di odio, per l’incapacità di reagire in modo fermo a fenomeni manifesti di disumanità sono solo in minima parte mitigati dalla gara di solidarietà apertasi intorno a questa vicenda, dal sostegno anche economico di tanti che hanno permesso a Jerry di poter essere ricoverato e assistito adeguatamente fino all’ultimo istante della sua sfortunata esistenza. Il mio pensiero va al personale sanitario che lo ha accudito amorevolmente, alla dottoressa che lo ha seguito ed accompagnato tenendolo per mano, ai tanti che lo hanno aiutato concretamente tra i quali voglio menzionare una donna di grande sensibilità, umanità e generosità, di cui mi onoro di essere amico, Celestina Morando. Rimasta annichilita da tanta violenza è stata vicina a Jerry, facendosi promotrice con altri della raccolta dei fondi necessari per sostenere le visite neurochirurgiche, fisioterapiche, riabilitative e le spese mediche, anche attraverso i concerti di fundraising organizzati dall’Associazione Culturale Herbie Goins.

Nel buio che sembra avvolgerci ci sono luci di speranza, gesti di umanità capaci di cambiare il corso degli eventi e restituirci l’umanità perduta.

Pubblicato in Riflessioni