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Non è una battuta di spirito, né il dono di Babbo Natale. Ma un auspicio e un impegno. Sì! Riapriamo l’Ospedale di Sezze! Un ospedale aperto al territorio, di prossimità. Lo scoppio della pandemia del covid-19 ha messo in luce le criticità del sistema sanitario nazionale e, per quanto ci riguarda più da vicino, di quello pontino. Abbiamo assistito, increduli e sconfortati, ad affollamenti e assembramenti davanti al Pronto Soccorso del Goretti, a file chilometriche per il tampone, ad ore di attesa al freddo di pazienti sulle barelle nei corridoi, alla disumana solitudine di anziani abbandonati e lasciati morire, a scene eroiche e sovrumane di medici e infermieri sfiniti ed esausti. Si è svelato davanti ai nostri occhi un Paese inadeguato ad affrontare l’epidemia del coronavirus, sia da un punto di vista sanitario che logistico. Non era inevitabile né ci possiamo consolare che gli altri non sono andati meglio. È stata la dimostrazione palese del fallimento di una politica sanitaria concentrata esclusivamente sulla grande ospedalizzazione e ignara colpevolmente della medicina domiciliare ed extra muraria, il tutto a vantaggio dei privati e delle case farmaceutiche. Il prezzo maggiore, ovviamente, viene pagato dalle fasce più deboli e più povere della popolazione, abbandonate a se stesse. La scelta sciagurata di chiudere gli ospedali del comprensorio lepino (Sezze, Cori, Priverno), compiuta nel corso degli ultimi anni, ha determinato un peggioramento delle condizioni di cura dei cittadini, costretti a ricoverarsi all’ospedale Goretti di Latina e a quello di Terracina. Il risparmio ottenuto(?) è stato dirottato interamente sulle strutture private. I presìdi ospedalieri Lepini, vanto e prestigio dell’intera provincia, sono rimasti vuoti e sempre più fatiscenti, in attesa di un totale e irrimediabile decadimento. Cattedrali nel deserto, che gridano vendetta e che hanno comportato conseguentemente l’impoverimento complessivo dei centri abitati, l’emorragia del personale medico e infermieristico.  Tutto l’indotto sociale ed economico è stato mortificato e penalizzato, salvo poi lamentarsi del selvaggio inurbamento delle città. L’ospedale S. Carlo di Sezze, in particolare, ha risentito molto di questa triste vicenda. L’apertura della Casa della Salute, ad opera della Regione Lazio e del suo presidente Zingaretti, ha restituito solo in parte le prestazioni precedenti. Non è questo il momento delle polemiche e della ricerca dei responsabili (che ci sono!) ma di coinvolgere e riorganizzare tutti coloro che si sono sempre battuti per la nobile causa della riapertura. Non è certo semplice né immediato. L’obiettivo è quello di contribuire al rilancio e al miglioramento delle condizioni psico-fisiche della popolazione attraverso l’utilizzo delle risorse esistenti, mettendo in piedi una medicina territoriale e domiciliare di prossimità, non in conflitto con il Goretti di Latina ma in maniera complementare, sussidiaria. Si tratta di affiancare all’ospedale del capoluogo, che deve svolgere sempre più interventi di alta specializzazione e di ricerca scientifica a livello universitario regionale e nazionale, un ospedale di supporto per interventi di routine (ernie, appendicite, chirurgia minore ecc.) con il supporto indispensabile di un Pronto soccorso h.24, di strumenti diagnostici e di laboratorio. Realizzando, così, un circuito virtuoso attraverso l’istallazione di un Centro Unico di Prenotazione mediante sistemi informatici. Le epidemie, purtroppo, saranno ricorrenti se l’uomo continua ad infettare e inquinare l’ambiente! Queste non si sconfiggono negli ospedali ma sul territorio. Il modello Lombardia, tanto decantato prima del covid-19 è fallito. Il virus cammina sulle gambe degli uomini e delle donne e ciò impone una seria riflessione e una svolta nella gestione del territorio e della sanità, una svolta nel modello urbanistico, onde evitare affollamenti e concentrazioni di folle umane. Invertire la tendenza: dalle città ai paesi, dai grandi ospedali a quelli di prossimità. Ci vuole tempo ma bisogna iniziare. Un invito caloroso lo rivolgo ai consiglieri regionali La Penna e Forte e al presidente della commissione regionale Pino Simeone.

 

 

 

Pubblicato in La Terza Pagina
 
 
La Giunta regionale del Lazio oggi ha approvato uno stanziamento di 15 milioni di euro per rifinanziare la misura relativa ai ‘Buoni spesa’, già varata nei primi mesi dell’emergenza da Covid-19. Lo annuncia il consigliere regionale di Sezze Salvatore La Penna in una nota. Zingaretti e la sua Giunta, per fronteggiare la seconda ondata dei contagi e per garantire a tutte le persone in condizioni di disagio un aiuto per l’acquisto dei beni di prima necessità, ha introdotto infatti la possibilità di erogare i buoni spesa sia in forma cartacea, sia tramite carte prepagate o caricamenti sulla tessera sanitaria, per semplificare ulteriormente le procedure e velocizzare la distribuzione dei buoni. La Penna spiega che "nello specifico, le risorse saranno così ripartite: 5 milioni di euro sono suddivisi tra i Municipi di Roma Capitale, con un meccanismo che tiene conto sia del numero di cittadini residenti che del valore del reddito pro capite, mentre i restanti 10 milioni sono destinati a tutti i Comuni del Lazio, in proporzione alla popolazione. I destinatari del sostegno economico sono le famiglie, anche mononucleari, che presentano specifica domanda al segretariato sociale territorialmente competente, anche per via telefonica o via mail o a seguito di segnalazione ai servizi stessi da parte degli Enti del Terzo Settore. Anche questa volta tra i requisiti - si legge nella nota del consigliere regionale -  si richiede di essere già in carico ai servizi sociali comunali oppure di trovarsi in una situazione di bisogno a causa dell’emergenza, comprovata da apposita autocertificazione. È confermato il valore di 5 euro a persona al giorno, elevabile a 7 euro in caso in cui il destinatario sia un minore. Il massimo importo concedibile per singolo nucleo familiare ammonta a 100 euro a settimana, mentre le spese per medicinali sono riconosciute fino a un massimo di 100 euro al mese. I Comuni potranno attivare accordi non solo con le catene di distribuzione alimentare per il servizio di consegna a domicilio, ma anche con singoli esercizi di distribuzione e/o produzione alimentare, con fattorie sociali, imprese agricole sociali ed empori solidali".
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