Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa di Giovanni Sorano, segretario dei Giovani Democratici di Sezze .
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Alla luce dei recenti fatti di cronaca, che hanno visto la tragica morte della giovane 14enne Martina Carbonaro, crediamo sia doveroso riaffermare la nostra posizione in merito ai femminicidi e alla violenza di genere, in modo da poter divulgare una maggiore consapevolezza sulla questione e su come il femminicidio sia solo il culmine di un processo di violenza che ha inizio prima di tutto dalle parole, e che attraverso di queste viene continuamente perpetrato.
Ci riferiamo alle inammissibili dichiarazioni di alcuni personaggi pubblici e politici che, anziché assumersi la responsabilità dell’accaduto, preferiscono fare ulteriore disinformazione. Il 15 maggio, in Senato, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha affermato che le donne vittime di violenza “si debbano rifugiare, in caso di pericolo, in chiesa o in farmacia”, così da permettere alle forze dell’ordine di intervenire una volta allertate dal braccialetto elettronico.
Il Ministro ha lasciato trasparire un sottotesto di vittimizzazione secondaria abbastanza evidente: il braccialetto elettronico non è in nessun modo un valido strumento per il contrasto alla violenza di genere; in Chiesa ci si rifugiava solo in tempo di guerra; se una donna subisce una violenza è perché non è stata in grado di fuggire più velocemente in un luogo protetto che l’avrebbe potuta salvare, e di conseguenza è colpa della vittima e non dell’aggressore. Nel boato mediatico sono divenute celebri le parole che il giornalista Vittorio Feltri, intervistato la settimana scorsa da Piero Chiambretti alla trasmissione “Donne sull’orlo di una crisi di nervi“ ha pronunciato per commentare le parole del Ministro Nordio: “le donne vittime di violenza possono venire a casa mia, se sono bone”. A peggiorare il clima mediatico si aggiungono le parole allucinanti di Giuseppe Cruciani, famoso conduttore del programma radiofonico “La Zanzara” che dopo la morte di Martina Carbonaro ha detto: “la categoria del femminicidio non c’entra un cazzo. È un omicidio nato dal fatto che lui aveva paura di perderla e aveva un istinto omicida che ci può essere in chiunque”.
Queste affermazioni aberranti da un punto di vista demagogico sono il riflesso diretto di una cultura patriarcale che non riconosce il proprio privilegio creato sulla sopraffazione della donna in quanto tale da ogni punto di vista: economico, sociale e politico. Il motivo per cui Martina Carbonaro è stata uccisa non è da imputare ad un lapsus di follia o uno stato di trance omicida, ma all’evoluzione di un processo basato sull’idea che l’unica ragione di esistere per le donne sia soddisfare gli uomini. Come diceva la scrittrice e attivista transfemminista Michela Murgia, venuta a mancare troppo presto ed un’attenta osservatrice delle dinamiche di genere:“Il femminicidio non indica il sesso della morta, ma il motivo per cui è stata uccisa”. Di fronte a tutto ciò assumere consapevolezza della gravità della situazione è un dovere, perché la violenza che le donne sono costrette a subire ogni giorno è più grande e soprattutto più importante di qualsiasi sindrome della vittima di un uomo. Non si tratta di colpa individuale, ma di responsabilità collettiva. Tutti noi siamo complici in un sistema patriarcale, un sistema verticale - l'unica struttura su cui si possono costruire dei rapporti di potere - in cui il dislivello è occupato da sempre dalle donne. Il femminismo intersezionale cerca di ribaltare questo sistema; alcuni diranno con una forma a rete, altri invece diranno a cerchio: la struttura più simile ad un gruppo di persone alla pari che si tengono tra di loro la mano.