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La ribellione e il riscatto di Rosa

Nov 27, 2022 Scritto da 

 

 

È dedicato “A tutte le femmine ribelli” il film d’esordio alla regia di Francesco Costabile. Femmine ribelli come Rosa, una ragazza prigioniera di una famiglia patriarcale e rurale della Calabria affiliata alla ‘ndrangheta, di un mondo dove chiunque osa opporsi, alzare voce e testa, non rispetta le regole è messo a tacere e il disonore lavato via, come accaduto a Cetta, sua madre, quando lei era una bambina.
 
La tenebrosa fotografia e il senso di angoscia promanante dall’intensa colonna sonora sono combinate per far emergere la preferenza della ‘ndrangheta per le tensioni risolte con il silenzio, le verità scolpite con i fatti nelle rocce del paesaggio e sulle pietre delle case che si inerpicano tra stradine nascoste, scalinate ed archi bui. Le immagini che si susseguono non sono mai scontate e alcune assomigliano a incubi, abitati da demoni e maledizioni, quasi da film dell’orrore. Il far parlare i personaggi in dialetto conferisce al racconto realismo e accresce il costante senso di inquietudine che lo attraversa. La ‘ndrangheta non appare, non si pronuncia, non si rivela se non in qualche scontro tra boss, ma è un’ombra incombente.
 
Rosa conduce un’esistenza semplice con gli zii, la nonna e il cugino in un paesino sperduto tra fiumare secche e monti. L’orizzonte è una barriera, oltre cui si apre un mondo sconosciuto ed estraneo. Lavora nella masseria di famiglia, cura la casa, bada agli animali, vende i prodotti agricoli ai compaesani, aiuta zio e cugino in faccende dubbie a lei inesplorabili. Le feste paesane rappresentano i soli momenti di svago che le sono concessi. I familiari la trattano in modo molto duro, perché é una femmina. A tavola, assieme allo sguardo torvo della nonna, si ha la percezione che quella vita è un imbroglio e persino i giochi con il cugino covano una dinamica predatoria.
 
Rosa è irrequieta, si sente soffocata dall’omertà e dalla violenza che regnano sovrane. Possiede il carattere forte della madre, una femminilità prorompente e ribelle. Vorrebbe liberarsi dal controllo opprimente della famiglia che avverte lontana dal suo modo di essere, da quei personaggi i cui volti e sguardi sono veicolo di rancori e rivalse, raramente di affetto o amore. Si interroga sul suo presente e sui misteri oscuri e indicibili che avvolgono il suo passato, la prematura scomparsa di sua madre.
 
Un giorno il gesto scellerato del cugino Natale la riporta al trauma della sua infanzia, sepolto nel passato e nel silenzio dei suoi parenti. Rosa inizia a ricordare qualcosa di terribile, prende coscienza della violenza e della corruzione in cui è immersa la sua famiglia. Affascinante è l’uso del fuori fuoco parziale delle sequenze nella prima parte del film, a metà tra il sogno e il riaffiorare dei ricordi rimossi di Rosa bambina, l’uso delle porte come metafora di lontananza, incomunicabilità, segreti, omissioni dei suoi familiari, il parlare della ragazza attraverso i silenzi, gli occhi innamorati, spaventati, infuriati, determinati.
 
Grazie all’aiuto di Gianni, il ragazzo di cui è innamorata, l’evento traumatico della sua infanzia, a lungo rimosso, si fa presente in modo prepotente e la mette di fronte a una verità insopportabile: nella tragica morte di sua madre è coinvolta la sua famiglia. È una scoperta dalle conseguenze terribili, che fa crescere in Rosa una rabbia feroce che la porta a cercare vendetta, a costo di mettere in pericolo la sua vita. Distrutta dal dolore, sa che non potrà far rivivere la madre che le è stata prematuramente sottratta dai suoi stessi familiari, ma può spezzare la catena criminale, compiere un grande atto di ribellione contro quelle persone che sono convinte di possederla.
 
La vendetta è uno dei temi centrali del film, quella personale di Rosa e quella del clan, che sebbene consumate per ragioni diverse sono unite dalla stessa logica: punire quanti infrangono le regole. È quasi impossibile sfuggire alla rabbia e all’efferatezza della n’drangheta che, pur di attuare i propri loschi traffici, non dà scampo a nessuno, anche se appartenente alla stessa famiglia. La faida narrata è interna a un luogo piccolo e inospitale dell’Aspromonte, la combattono famiglie piccole, che in assenza di altra manovalanza arruolano figli, nipoti, parenti. In quest’ambiente opprimente in cui pare impossibile trovare una via d’uscita, si accende la speranza, prende corpo la coscienza, la ribellione, il sogno di una rivoluzione in grado di rompere dall’interno un modello di vita brutale, in cui il maschile è sinonimo di predatorio ed omicida e il femminile non sa o non vuole emergere nella sua peculiarità.
 
Rosa prende le redini della sua vita, sceglie di opporsi alla logica mafiosa dei parenti e di vendicare sua madre, assassinata per aver tentato la fuga come collaboratrice di giustizia. Si riappropria del suo essere donna, infrange lo status quo che la vorrebbe imbavagliata, squarcia il velo dell’omertà, compie una scelta di purificazione dall’etichetta mafiosa acquisita dalla nascita. Si trasforma da pedina sacrificabile del patriarcato in alfiere di libertà. Il percorso di Rosa è difficile e coraggioso, comporta lo scontro diretto con il mondo della ‘ndrangheta, incarnato anche nell’ambiguità maligna della nonna, anziana guardiana dell’antico perpetrarsi dell’ingiustizia. La ribellione non può essere ovviamente tollerata e contro Rosa viene scatenata una durissima repressione, che alla fine non riuscirà però a prevalere sulla sua rabbia, distillata dalle ingiustizie subite da lei stessa e dalla madre.
 
Una femmina è un film violento ma contro la violenza, psicologica e fisica, giocata sul senso di colpa e sull’amore di una madre per la figlia, vigliacca come coloro che la esercitano, che racconta la criminalità e la speranza, il coraggio e la voglia di riscatto. Una storia locale che parla il linguaggio universale delle donne che in molti Paesi continuano ad essere oppresse ed emarginate, che si oppongono ai soprusi familiari, alla mafia, ad ogni forma di violenza e desiderano solo una vita dignitosa.
 
Il pensiero va alle donne che ce l’hanno fatta a liberarsi e soprattutto alle tante senza voce, che combattono una battaglia silenziosa e ancora non hanno trovato salvezza e riscatto.
Pubblicato in Riflessioni

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