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Mahsa Amini moriva un anno fa

Set 24, 2023 Scritto da 

 

 

In Iran dal 1979 l’hijab è obbligatorio per le donne in forza di una legge introdotta da Ruḥollāh Khomeynī, il leader supremo della rivoluzione islamica, e inasprita negli anni fino a diventare strumento di persecuzione e motivo per giustificare i peggiori crimini nei loro confronti.
 
Poco più di un anno fa Mahsa Amini viene fermata e portata in caserma perché non indossa correttamente l’hijab. Ha 22 anni e una ciocca di capelli fuori posto. La polizia morale l’arresta per rieducarla. Avrebbe dovuto essere rimessa in libertà entro poche ore, giusto il tempo per una strigliata. La ragazza invece viene pestata selvaggiamente, massacrata. Uscirà dalla caserma dopo molte ore, portata in ospedale quando ormai non c’è più nulla da fare ed è in coma irreversibile. Tre giorni dopo, il 16 settembre 2022, i medici dell’Ospedale Kasra di Teheran ne dichiarano il decesso. Nel rapporto ufficiale la polizia sostiene che la causa della morte potrebbe essere un infarto, o una malattia celebrale conseguenza dell’intervento chirurgico subito all’età di otto anni, o una caduta durante la quale ha battuto la testa. La polizia non va per il sottile, una versione vale l’altra, tanto non importa. A nessuno importa.
 
Questa volta però a qualcuno importa.
 
La notizia dell’omicidio di Mahsa Amini e le immagini del suo viso martoriato rimbalzano sui social, sebbene la censura intervenga senza indugio. I cittadini iraniani si sollevano, le piazze esplodono in diverse città. Le proteste di massa si prolungano per settimane e mesi, ma alla fine vengono schiacciate dal pugno di ferro del regime. Durante gli scontri centinaia di manifestanti rimangono uccisi, molti sono minorenni, migliaia sono gli arrestati e vengono eseguite sette esecuzioni per impiccagione.
 
Per alcuni mesi dopo la morte di Mahsa Amini e le continue proteste di piazza, le squadracce della Gasht-e-Ershad, la polizia morale, non si fanno più vedere in giro. Tuttavia a partire dal mese di luglio tornano a pattugliare le strade e a vigilare sul corretto uso dell’hijab da parte delle donne.
 
Nei giorni scorsi i parenti degli attivisti vengono minacciati, alcuni arrestati. Il padre di Mahsa Amini, Amjad Amini e lo zio, Sali Aeli, finiscono in cella, mentre gli altri familiari subiscono intimidazioni per convincerli ad annullare la commemorazione religiosa nel cimitero di Saqqez. Il loro avvocato, Saleh Nikbakht, che fin dall’inizio ha contestato la versione ufficiale della morte di Mahsa Amini, è in prigione, accusato di propaganda contro il sistema. Rischia fino a due anni di carcere. Le giornaliste Negin Bagheri e Elnaz Mohammadi, del quotidiano digitale Ham Mihan sono condannate a tre anni per cospirazione. La reporter Nazila Maroufian è incarcerata per la seconda volta in un anno. I siti internet e i media indipendenti vengono sistematicamente oscurati. Artisti, cantanti e personaggi pubblici sono sotto stretta osservazione. Negli atenei, colpevoli di avere offerto rifugio e supporto ai dimostranti, decine di docenti sono licenziati, tra cui Ali Sharifi Zarchi, esperto di intelligenza artificiale, il quale perde la cattedra nella prestigiosa università Sharif di Teheran. Hamed Bagheri, attivista curdo, è ucciso dalle forze di sicurezza per aver incitato le persone a manifestare.
 
Nonostante la sanguinaria repressione le donne e gli uomini liberi dell’Iran hanno smesso di avere paura, non si arrendono e continuano a lottare in nome di Mahsa Amini, per i diritti fondamentali e la libertà. Il regime non riesce a far tacere il potente grido Donna, vita, libertà e la sua eco va ben oltre la quantità di capelli che possono essere mostrati. Le donne, con la loro lotta contro l’imposizione dell’hijab, sono la punta avanzata di un movimento più ampio, di cui fanno parte le minoranze etniche e religiose, i giovani che chiedono la libertà, le famiglie impoverite dalla crisi economica, tornata ad essere pesante per il ripristino delle sanzioni in seguito al ritiro unilaterale dall’accordo sul nucleare da parte del Presidente Trump, e i lavoratori nei diversi settori che periodicamente incrociano le braccia. La forza della rivolta sta proprio in questa saldatura tra le istanze sociali e la richiesta di diritti e libertà che, pur avendo perso il carattere plateale delle manifestazioni di piazza, si è fatta ostinata resistenza, disobbedienza civile, che cerca di minare il sistema nelle sue parti legate alla quotidianità. Tutto lascia presagire che da un momento all’altro la situazione possa tornare a deflagrare e ciò rende l’Iran una autentica polveriera.
 
In questo anno trascorso dalla morte di Mahsa Amini e contrassegnato dalla resistenza del popolo iraniano, abbiamo visto esplodere e pian piano sfiorire campagne social in ogni angolo del mondo a sostegno della richiesta di diritti e libertà. Migliaia di donne si sono tagliate ciocche di capelli davanti alle videocamere. Abbiamo letto report allarmati sulle migliaia di arresti arbitrari, sulle esecuzioni pubbliche, sulle violenze subite dai manifestanti arrestati. L’attenzione dell’opinione pubblica mondiale si è attenuata, ma non ha dimenticato del tutto le ragazze e i ragazzi iraniani, non c’è stato il blackout informativo, come accaduto per le donne afgane, cancellate dalla scena pubblica dai Talebani, le cui sofferenze, salvo rare eccezioni, hanno avuto scarsissima eco nei nostri paesi.
 
Sul piano internazionale l’indignazione pubblica e il clamore mediatico non hanno prodotto grandi risultati, ad eccezione della sospensione del seggio della Repubblica Islamica nella Commissione ONU sullo status delle donne. È mancato e manca al popolo iraniano il sostegno dei governi occidentali. L’uguaglianza e la pari dignità tra uomini e donne, la libertà di pensiero e di espressione, la democrazia e la giustizia sono valori irrinunciabili a casa nostra, ma a quanto pare facoltativi e sacrificabili laddove a prevalere sono gli interessi economici e gli affari. Gli ayatollah di Teheran giocano molto su questo cinismo dei governi occidentali per continuare a reprimere le proteste e a perseguitare il loro stesso popolo.
 
L’unica speranza di cambiamento risiede nel coraggio e nella tenacia di quanti lottano, nella resistenza e nel sacrificio della meglio gioventù di un intero Paese. Il prezzo da pagare per il popolo iraniano è altissimo, per noi Paesi occidentali invece è la vergogna.
Pubblicato in Riflessioni

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