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Non perdono e tocco

Giu 05, 2020 Scritto da 
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Cyrano de Bergerac. Chi non ha mai sentito parlare del celebre protagonista della commedia teatrale scritta dal drammaturgo francese Edmond Rostand (1868-1918), pubblicata nel 1897 e ispirata alla figura storica di Savinien Cyrano de Bergerac, uno dei più estrosi scrittori del seicento francese? L’opera, un classico del genere in 5 atti, ancora oggi è messa in scena da grandi produzioni teatrali e da compagnie con famosi attori nel ruolo di Cyrano, anche nella versione in italiano, vanta diverse versioni cinematografiche e messe in musica.

Cyrano de Bergerac è l’eroe riconoscibile per il suo lunghissimo naso, ricordato per la sua abilità da spadaccino e per essere un poeta dalla vita particolarmente vivace. Nell’opera viene raccontato soprattutto per il suo amore non ricambiato verso Rossana e per la sua passione per i giochi di parole, con i quali si diverte a prendere in giro i suoi molti nemici, soprattutto potenti e prepotenti. Citatissimo, ed atteso dagli spettatori in sala durante le rappresentazioni in teatro, il celeberrimo monologo di Cyrano «Ma poi che cos'è un bacio? Un giuramento fatto poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo rosa messo tra le parole "T'amo". Un segreto detto sulla bocca, un istante d'infinito che ha il fruscio d'un'ape tra le piante, una comunione che ha gusto di fiore, un mezzo di potersi respirare un po' il cuore e assaporarsi l'anima a fior di labbra».

A volte, alcuni protagonisti della letteratura acquisiscono un rinnovato vigore, soprattutto quando qualche autore moderno prova a dedicare loro una sorta di omaggio o tributo postumo, magari solo per togliere polvere e ragnatele, a sottolineare una qualche caratteristica di comportamento attualissima. Quando a cimentarsi con tali eroi sono i cantautori nazionali, sarà anche per il contorno musicale che riescono a tessere, sarà per il carisma da star di cui godono tra gli appassionati, spesso ne escono fuori quadretti incorniciati per bene, come saprebbe fare un pittore o un fotografo ritrattista, rinnovandone i tratti e destinando la canzone ad un pubblico più giovanile.

Francesco Guccini e Roberto Vecchioni, in tempi e modi diversi, ognuno secondo stile peculiare, si sono avvicinati alla figura di Cirano.

Rossana di Vecchioni, dall’album Blumun del 1993, ci parla del tratto più romantico di Cirano, quello dell’amore per sua cugina Rossana.

Rossana, Rossana, non ce la faccio più a vivere col cuore dentro il naso; lontana, lontana bellezza che eri tu”… “Io sono quello di ieri che ti cantava nella notte e ho nelle mani soltanto stelle rotte: l'ombra perduta tra i rami che non potevi mai vedere, mentre quell'altro saliva e ti faceva l'amore, l'amore, l'amore...”.

Un Cirano cantato mentre è assorbito e perso nella sua delusione in amore, superato nello stesso sogno di conquista femminile da un altro spasimante, che probabilmente è già riuscito già a cogliere il fiore e le attenzioni di Rossana. Il testo di Vecchioni rimane confinato in questa dimensione, un’istantanea baroccheggiante, in cui il protagonista è sospeso tra speranza di innamoramento e successiva delusione.

Cirano di Guccini, inserita nell'album "D'amore di morte e di altre sciocchezze" del 1996 è stata scritta dal vecchio di Pavana (che proprio il 14 giugno festeggerà la ottantesima candelina) su precedente testo di Giuseppe Dati e musica di Giancarlo Bigazzi, per dare a Cesare quel che è di Cesare. Ma lo stile gucciniano nella canzone c’è tutto, segno evidente che la revisione e la produzione finale del brano spettano sicuramente a lui.

Il cantautore de La Locomotiva è attratto da par suo soprattutto da un'altra dimensione della storia, con finalità e rilettura più civica e sociale del citoyen Cyrano, ampliando il registro narrativo rispetto a quello di Vecchioni.

In questo Cirano colpisce soprattutto la rabbia dell’uomo nei confronti di alcuni mali atavici della vita sociale dell’epoca (anche se per molti versi è davvero molto contemporaneo): i difetti eterni di tutte le società sono le troppe e diverse ingiustizie partorite dal potere e dai diversi governanti, il popolo degli arrivisti. Una canzone con una presa di posizione etica precisa e circostanziata, come ha sempre fatto Guccini. L’impareggiabile testo, scritto tutto in metrica a rima baciata con una sequenza continua che fa drizzar la pelle, dopo un preludio introduttivo, fin da subito alza il tono per attaccare i colleghi (sia di Cirano che di Guccini), aprendo la strada ad uno sfogo con tono tanto polemico quanto centrato nell’obiettivo: “Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza avrete soldi e gloria, ma non avete scorza; godetevi il successo, godete finché dura, che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura e andate chissà dove per non pagar le tasse col ghigno e l' ignoranza dei primi della classe”.

Subito dopo è la volta dei protagonisti attivi della politica ad esser presi di mira, che sono dipinti e caratterizzati dai medesimi vecchi vizi di ogni tempo: “Facciamola finita, venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti, venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false che avete spesso fatto del qualunquismo un’arte, coraggio liberisti, buttate giù le carte tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto, assurdo bel paese”. Sembra proprio che il cantautore bolognese parli del più recente ed attuale presente del panorama politico, prendendosela con i peggiori rappresentanti eletti del popolo, attaccando anche la protervia del potere di ogni colore, quella di voler controllare anche le trasmissioni tv e la stampa servendosi di personaggi servili, pronti a cambiar padrone col rovesciamento di monarca. A pensarci bene, questo Cirano ricorda molto, per i toni usati contro il potere, un altro eroe letterario, anch’egli protagonista di un’altra ottima canzone di Guccini: Don Chisciotte <il "potere" è l'immondizia della storia degli umani e, anche se siamo soltanto due romantici rottami, sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte: siamo i "Grandi della Mancha", Sancho Panza... e Don Chisciotte !>

Subito dopo ecco la discesa verso il secondo ritornello, quello che tutti i fans conoscono e cantavano a memoria nei concerti del Guccio e che adesso canticchiano ancora ascoltandola in cuffia: “Non me ne frega niente se anch'io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato; coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco e al fin della licenza io non perdono e tocco, io non perdono, non perdono e tocco!”. Un attacco diretto ai furbi e ai prepotenti, ma anche una difesa preordinata: sarò sbagliato anch’io ma non la perdóno a nessuno, sotto a chi tocca! Poi, cambiando la melodia, arriva un ponte con melodia più triste rispetto al canto libero delle prime strofe, che poi sarà ripreso con altre invettive, ed ecco il Cirano innamorato e triste:

Ma quando sono solo con questo naso al piede che almeno di mezz' ora da sempre mi precede si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore che a me è quasi proibito il sogno di un amore; non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute, per colpa o per destino le donne le ho perdute e quando sento il peso d' essere sempre solo mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo, ma dentro di me sento che il grande amore esiste, amo senza peccato, amo, ma sono triste perché Rossana è bella, siamo così diversi, a parlarle non riesco: le parlerò coi versi, le parlerò coi versi...”.

Un Cirano intimo, romanticamente deluso dall’impossibile rapporto con Rossana, con la quale non riesce più neanche a parlare, per cui preferisce dedicarle versi, nonostante abbia avuto tante donne. Poi eccolo riprendere l’invettiva verso altri personaggi pubblici che animano la vita sociale nella Francia di qualche secolo fa, ma poi Guccini aggiunge qualcosa per sgombrare il campo a dubbi e lasciare intendere che è dell’Italia moderna che vuol parlare: “tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto, assurdo bel paese”. Con il “Belpaese” si intende classicamente l’Italia, non ci sono dubbi. E poi eccolo prendersela con il clero, quei sacerdoti impegnati a vendere la promessa di una vita eterna nell’aldilà lontano con un Dio infinito bene, ma che loro stessi tradiscono con turpi azioni in questo mondo, non riuscendo a sentire quello stesso Dio nell’intimo del proprio cuore. E poi ancora un’altra bella botta anche agli integralisti materialisti, quelli che non riescono proprio a vedere le cose da altro punto di vista, più alto…

“Venite gente vuota, facciamola finita, voi preti che vendete a tutti un'altra vita; se c'è, come voi dite, un Dio nell' infinito, guardatevi nel cuore, l'avete già tradito e voi materialisti, col vostro chiodo fisso, che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso, le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali; tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti”.

E poi la celebre chiusura, un manifesto di libertà per gli uomini che non si sentono mai servi, urlato con rabbia da quelli che non riescono proprio rinunciare al vizio di voler a tutti i costi ragionare con la propria testa:

Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco, io non perdono, non perdono e tocco”.

Guccini, come sempre del resto, parla chiaro e stavolta ne ha per tutti.

E se qualcuno dovesse sentirsi assolto, sappia che siamo tutti coinvolti.

 

il link della canzone

https://www.youtube.com/watch?v=7M7wDqZGq94

 

 

Pubblicato in Eventi Culturali
Ultima modifica il Venerdì, 05 Giugno 2020 08:37 Letto 3440 volte

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