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Sabato, 25 Gennaio 2020 18:54

Auschwitz: 75 anni dopo!

 

 

 

 

Il 27 Gennaio del 1945 le truppe sovietiche entrarono nel lager di sterminio di Auschwitz trovando 7 mila prigionieri ancora in vita: erano quelli abbandonati dai nazisti perché considerati gravemente malati. Fra il 1939 e il 1945 circa 6 milioni di ebrei vennero trucidati dai nazisti con l'obiettivo di creare un mondo purificato da tutto ciò che non fosse ariano. Auschwitz è la testimonianza più atroce dell'estrema miseria e crudeltà del nazismo e dell'uomo. Io ci sono stato con una delegazione di studenti e ho toccato con mano l'orrore di quel lager e di calpestare quel terreno marcato dalle ceneri di almeno 1milione e 100 mila uomini e donne uccisi nelle camere a gas e i cui cadaveri, dopo aver subìto l'esportazione dei vestiti, delle scarpe, dei denti, dei capelli, venivano bruciati in enormi forni crematori. Molti erano bambini. La maggior parte di loro non venne neanche registrata, nell'intento di bruciare ogni traccia. Dai vagoni venivano direttamente avviati alle camere a gas: gli uomini marciavano a sinistra, le donne a destra, i bambini erano con le donne, i neonati venivano crudelmente strappati dalle braccia delle mamme e assassinati dalle SS con le loro mani. Auschwitz: l'epifania del Male, la fabbrica del dolore. Papa Francesco ha visitato quel luogo nel 2016, e ha voluto restare in silenzio. "Dove era Dio?" si è domandato. Primo Levi sosteneva che " se c'è Auschwitz non c'è Dio." Sono domande e affermazioni inquietanti. I carnefici sono veramente esistiti! Non bisogna dimenticare! Mai!

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Di sera, mi capita spesso, in solitudine, di passeggiare per il Centro storico di Sezze, nei vicoli adiacenti il vecchio Vescovado, in Via della Speranza dove sono nato e cresciuto. Il senso della solitudine mi soffoca,  e ripenso  ai giorni felici e innocenti della mia infanzia. L'aspetto della nostra città e della nostra comunità è cambiato. Le botteghe, che riempivano le stradine non ci sono più. Le uniche voci che si sentono, sono di bambini romeni che giocano a palla o a nascondino, come facevamo noi. L'epopea dei supermercati e degli ipermercati ha svuotato il Centro storico per riversarsi in capannoni periferici pieni di ogni ben di Dio. Una trasformazione epocale. Non esiste più la dimensione della relazione diretta tra chi compra e chi acquista. Con Amazon, poi, sta crescendo la consegna immediata delle merci con un esercito di facchini e di corrieri sottopagati e costretti a ritmi di lavori insostenibili. Il nostro paesaggio urbano si sta sgretolando in maniera senza precedenti. Occorre saper cogliere la portata di questo processo e agire di conseguenza. Se Sezze perde le botteghe, noi perdiamo Sezze per come la conosciamo. Se il nostro Paese perde il Centro storico, tutto diventa periferia. Le botteghe sono un patrimonio che non possiamo perdere. Che fare? Occorre salvare l'anima del Centro storico, che è diventata la vera periferia della città, con l'emorragia progressiva degli abitanti e la chiusura di scuole e di uffici. Dobbiamo pensare e realizzare una nuova economia, fondata sui beni comuni e relazionali. Le botteghe del vicinato e di prossimità sono un baluardo che non dobbiamo e non possiamo perdere. Non solo nel centro urbano ma anche nei quartieri periferici. I negozietti si devono consorziare, devono diversificare l’offerta e specializzarsi. Il mercato giornaliero dei contadini, dispersi nei vicoli del paese, che offrono un bene fresco e insostituibile, potrebbero vendere il loro prodotto (carciofi, broccoletti, cavolfiori, insalate, pomodori, etc. ) in Piazza dell'Erba, con le dovute garanzie igieniche e sanitarie. Gli artigiani (fabbri, falegnami elettricisti, idraulici, etc ) potrebbero costituirsi in cooperativa , riaprire una sede di rappresentanza  e di servizio al centro,  godere di agevolazioni fiscali. Il mercato settimanale, almeno per alcuni merci, potrebbe ritornare a vivere al centro storico. E, a proposito di scuole: perché non trasferire qualche indirizzo delle Scuole Superiori al Centro? Le Scienze umane, per esempio, al Palazzo Comunale in via Pitti, debitamente ristrutturato e messo a norma?  Palazzo che ha ospitato per tanti anni l'Istituto Magistrale in cui i ho insegnato per 12 anni? Del Piano della viabilità, premessa indispensabile di tutto questo discorso, parlerò la prossima volta, a Dio piacendo.  

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Lunedì, 25 Novembre 2019 06:39

Preti sposati?

 

 

 

Non siamo abituati a vedere celebrare la Messa da un prete con moglie e figli. Ma presto potrebbe accadere! L'abolizione del celibato ecclesiastico è stata votata dalla maggioranza dei Vescovi nel documento finale dei recente Sinodo sull'Amazzonia. Il documento sinodale chiede esplicitamente al Papa di valutare l'opportunità della ordinazione sacerdotale di uomini sposati "probati", possibilmente scelti tra i diaconi, che hanno già una famiglia stabile, in quelle zone dove c'è scarsità di preti. In Amazzonia, soprattutto, ma non solo. Un vescovo ha raccontato che in Amazzonia, per andare in tutte le sue parrocchie, deve fare anche mille chilometri in barca. In alcune parrocchie riesce ad andarci una volta ogni quattro anni. La notizia di preti sposati, qui da noi, desta stupore e meraviglia, ma è bene ricordare che la Chiesa cattolica ha da sempre avuto un clero sposato. Fin dalle origini del cristianesimo. Alcuni Apostoli erano sposati. Nel primo millennio d.C. era quasi una consuetudine. Nel secolo scorso, da Pio XII a Benedetto XVI, sono stati ordinati preti, anglicani sposati diventati cattolici. Nessuna rivoluzione, dunque! Il celibato ecclesiastico non è un dogma di fede. Ma una convenzione. Chi non è sposato fa una scelta di fede e di missione. Si preoccupa delle cose del Signore, di come possa piacere al Signore. Chi è sposato, invece, si preoccupa anche delle cose del mondo, di come possa piacere alla moglie e "si trova diviso" tra mondo celeste e mondo terrestre, come dice S. Paolo. Ma perché, ci si chiede, non si può essere innamorati di una donna e, contemporaneamente, di Dio? La famiglia di qua, la Chiesa di là. Ciò non è impossibile, ma è molto difficile. Essere preti non è un lavoro. E' un modo tutto particolare di affrontare la vita. Il prete è a tempo pieno e per questo è incompatibile con l'amore per una donna, una donna normale che vuole amare il prete e con lui la famiglia. Il prete entra in confidenza spirituale, in un rapporto di vicinanza con i fedeli. Di qui nascono alcune complicazioni. E se poi il prete sposato si innamora una seconda volta? E se, per motivi diversi, vuole o deve separarsi? E se non vuole mettere al mondo troppi figli? Può usare i metodi anticoncezionali?La questione è spinosa. Nel matrimonio si è in due. E non dimentichiamo i figli! Sarà Papa Francesco a dire l'ultima parola sull'abolizione del celibato. Sarà Papa Francesco a stabilire se, come e quando recepire l'apertura ai preti sposati fatta dai vescovi sinodali. Un altro elemento di frizione, questo, fra il clero  tradizionalista e Francesco! La tensione tra il Papa e una gran parte della Curia ha raggiunto il suo massimo, sicché Francesco deve tenere unita la più larga maggioranza possibile dell'Episcopato che privilegia l'azione pastorale e missionaria da lui fortemente perseguita. Lunga vita a Papa Francesco!

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Lunedì, 28 Ottobre 2019 08:50

Italiani emigranti. Ieri come oggi

 

 

Negli ultimi 13 anni, dal 2006 al 2019, il numero degli italiani che se ne sono andati all'estero è aumentato del 70%: sono passati da poco più di 3 milioni a quasi 5 milioni e mezzo. In maggioranza giovani e laureati. Si tratta di un esodo che ha interessato tutte le Regioni ma in particolare il Meridione. Da sempre, statisticamente, gli italiani sono sempre stati al primo posto tra le popolazioni migranti dell'Europa. Chi non ricorda quanti giovani compaesani, negli anni Settanta, sono andati a lavorare in Germania? Questi dati sono forniti dalla Fondazione Europea Migrantes. Oggi la mèta più ambita è la Gran Bretagna. A breve, però, con la Brexit per chi si è trasferito e intende trasferirsi in Inghilterra le cose potrebbero cambiare in peggio. "Brutti, sporchi e cattivi", fino a qualche anno fa erano questi i pregiudizi e gli stereotipi che accompagnavano i nostri connazionali. Una avversione quasi connaturata nell'animo umano, a difesa della propria identità e del proprio suolo. Oggi, per fortuna, in seguito alla globalizzazione, le cose stanno cambiando. Generalmente l'emigrante gode del rispetto e degli stessi diritti degli altri cittadini. I motivi dell'emigrazione sono i più disparati e non è qui il caso di entrare nel merito della complessa vicenda, ma principalmente è la ricerca di un lavoro e di una sistemazione più certa e sicura che spinge i giovani ad andare via.. Purtuttavia, l'uomo, fin dalla comparsa sulla terra, è stato migrante. Eppure, nonostante ciò, oggi viviamo sotto la sindrome dell'assedio dello straniero. In Italia principalmente, si avverte paura e insicurezza, a fronte dei flussi migratori provenienti dall'Africa e dai Paesi del Medio Oriente. C'è voglia di legalità e di protezione. Bene. E' giusto e sacrosanto. Bisogna evitare di passare dai porti chiusi all'accoglienza indiscriminata di tutti. Occorre rigore, responsabilità e umanità: massima attenzione ai controlli e carcere duro per i trafficanti e gli scafisti della morte. Non si può più prescindere,poi,  da una equa ridistribuzione dei migranti tra tutti gli Stati membri dell'Europa. E' necessaria una politica modulata su più livelli, basata non più sull'emergenza ma che affronti la questione nel suo complesso, perseguendo la lotta al traffico illegale di persone e attraverso una lotta senza quartiere  contro l'immigrazione clandestina, rimpatriando in tempi celeri chi non ha diritto a restare. Affrontando, infine, in maniera efficace il tema dell'integrazione per coloro che hanno diritto a restare. Ben altra cosa sono i porti chiusi e la costruzione di muri e di barriere, che peraltro, in mare, sono impossibili. Mi domando: se anche verso i nostri connazionali  alzassero muri e fili spinati?

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Domenica, 13 Ottobre 2019 08:25

Sì allo ius culturae

 

Bisogna avere più coraggio. Sono mature le condizioni per dare la cittadinanza ai bambini cresciuti in Italia. Si fa così in moltissimi Paesi Europei."Chi nasce qui, è di qui", ripete l'on. Laura Boldrini, firmataria della proposta di legge. Lo ius culturae, cioè il diritto alla cittadinanza basato sull'istruzione e sulla cultura, afferma che chi è nato in Italia e ha terminato almeno un ciclo di studi, ne ha diritto. Tale legge consentirebbe l'iscrizione all'anagrafe dello Stato di circa  800 mila  nuovi italiani subito e altri 50 mila ogni anno. Si tratta di bambini preadolescenti immigrati, nati o arrivati in Italia entro i 12 anni ma esclusi dai diritti e doveri di ogni altro cittadino. A chi possono far paura questi bambini? A scuola cantano l'Inno d'Italia, sono orgogliosi del tricolore e della Costituzione. Sono compagni dei nostri figli e nipoti, giocano nei vicoli del nostro paese. La proposta di legge prevede che avranno un pò prima  quello che comunque otterranno appena compiuti 18 anni. Non il sangue (ius sanguinis), non il suolo (ius soli), ma l'istruzione e la cultura (ius culturae) e cioè  la capacità di comunicare,  di relazionarsi, di convivere, di rispettare regole condivise, di partecipare alla vita sociale ed economica. Si tratta di un più elevato e consapevole principio di cittadinanza. I fautori del no collegano questo principio al problema della sicurezza. A parte che le statistiche dicono che gli immigrati regolari non delinquono più dei nativi italiani. Ma poi: che paura possono fare questi bambini se, come i loro coetanei, vengono educati al rispetto e alla tolleranza? L'interculturalità è lo strumento più importante per assicurare la convivenza civile e pacifica tra culture diverse. Grazie ad essa ciò che è diverso non ci fa paura perché lo conosciamo. E ciò comporta, inevitabilmente, la diminuzione della violenza verso e da parte dello straniero. L'interculturalità sarà, in futuro, l'unico percorso praticabile per gettare le basi per una convivenza tra culture diverse. La sicurezza si conquista confrontandosi con stili di vita e di pensiero differenti. Non ci possiamo permettere, in questo momento, di chiudere gli occhi e guardare indietro. La globalizzazione ci pone di fronte a problemi inediti e drammatici, ma possiamo governarla e farne un'occasione di maggior crescita e maggiore umanità. Inoltre, in un periodo di forte calo demografico come quello che da anni stiamo vivendo in Italia, non è sicuramente un male la presenza di bambini e bambine. Lo sanno bene le maestre di scuola materna ed elementare. Lo sanno bene gli insegnanti di scuola media. "SI', dunque, alla cultura dell'integrazione, NO alla cultura dello scarto!"(Papa Francesco).

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