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Piero Formicuccia

Piero Formicuccia

Martedì, 26 Gennaio 2021 09:56

Per non dimenticare le atrocità nazifasciste

 

 

La Giornata della Memoria è stata istituita dalla Risoluzione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite sul ricordo dell’Olocausto, per richiamare gli Stati membri a sviluppare programmi educativi e di solidarietà, come già richiesto dall’UNESCO, per accrescere la consapevolezza delle future generazioni e prevenire così atti di tale atrocità. La scelta del 27 gennaio vuole ricordare il giorno in cui, nel 1945, le truppe sovietiche, arrivarono presso la città di Oswiecim, oggi nota con il nome tedesco di Auschwitz, e rivelarono così le atrocità del genocidio nazista degli ebrei. Il Parlamento italiano nel 2000 con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 “Istituzione del Giorno della Memoria” afferma: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i ‘perseguitati’. Il Giorno della Memoria deve coinvolgerci tutti, istituzioni e cittadini. Ci esorta a riflettere sul passato, per progettare meglio il nostro futuro. Non ci sarebbe progetto di vita comune senza la capacità di ricordare. Ogni male compiuto è un orrore di ora e di sempre. Purtroppo il fenomeno del male, tante azioni in contrasto con la dignità dell’uomo continuano a perpetrarsi nella vita di tutti i giorni, facendo spuntare di nuovo sentimenti di odio e di violenza nei confronti di tante persone, deboli o fragili.  

C’è un meccanismo perverso che vediamo in atto nella realtà di tutti i giorni. Un comportamento illecito che viene reiterato silenziosamente, senza smascheramento, senza divenire pubblico, senza essere chiamato con il suo nome, “illecito”, diventa ordinario, quindi normale, quindi banale e in quanto tale più facile da compiere in modo automatico, come per abitudine. In Europa si avvertono segnali preoccupanti (ma anche in altre parti del mondo). Recentemente in America latina hanno ricominciato ad affermarsi governi autoritari e reazionari, anche attraverso la formazione di forze politiche di estrema destra. Si moltiplicano i vari movimenti trasnazionali d’ispirazione nazionalsocialista di Portogallo, Italia, Francia e Spagna. Di recente, in seguito alla nomina di Joe Biden, quale quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti, proprio nella patria della democrazia, in America, sono accaduti gravissimi episodi di violenza e di aggressione contro le istituzioni democratiche. Lo stesso presidente uscente, Trump, per non ammettere la sua sconfitta e di quella politica da lui praticata e predicata nei quattro anni della sua presidenza, ha minacciato e sbandierato la nascita di un Partito dei Patrioti, dimenticando anzitutto le sue radici repubblicane, di quel partito che, seppur nell’alternanza, insieme al partito democratico, ha sempre guardato e valorizzato gli ideali comuni di tutto il popolo, la libertà, la democrazia e la dignità dell’uomo.

In Italia, alcuni partiti di destra o dell’estrema destra, rivendicano un nazionalismo e sovranismo che contrasta con i cardini fondamentali della Comunità Europea, cardini condivisi dagli Stati membri e cioè: la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo stato di diritto e i diritti umani. Questi obiettivi e valori, insieme all’inclusione, alla tolleranza, alla giustizia, alla solidarietà e alla non discriminazione, sono parte integrante del nostro modo di vivere. L’orientamento e le azioni di questi movimenti invece tendono a rimuovere quanto di buono è stato fatto da oltre mezzo secolo, garantendo pace, stabilità e prosperità. Leader di governi e partiti, dimenticando gli orrori di quel periodo storico, che ha causato milioni di vittime, invocano il sovranismo delle proprie nazioni e intendono con le loro azioni ribaltare e disconoscere i valori fondamentali dell’Europa Unita per raggiungere invece l’obiettivo di creare un’alleanza transnazionale tra i movimenti d’ispirazione nazionalsocialista (Portogallo, Italia, Francia, Spagna, Germania, Austria, ecc.). Compito di ognuno di noi, insieme a tanti uomini che hanno lottato e lottano ancora per la difesa della libertà e dei valori umani, è quello di riaffermare dunque, davanti ad ogni forma di male, di illegalità, di violenza alla dignità umana, la volontà ad una vita attiva, consapevole, e per questo forte, dove i cittadini, tutti noi, i nostri figli, possano esercitare quella preziosa capacità che è la libertà dal male dettata dal pensiero. E noi tutti sappiamo quanto oggi, nella nostra Nazione, nella nostra Regione e nella nostra Provincia, sia indispensabile esercitare il nostro pensiero per riconoscere e combattere, senza paura, ingiustizie ed illegalità per conservare a pieno la nostra dignità di uomini e di cittadini contro chi, con protervia e cattiveria nel proprio esclusivo interesse, nel buio dei loro covi o alla luce delle loro eleganti stanze, vuole appropriarsi, soprattutto a scapito dei più giovani, del presente e del futuro. Solo il dialogo, il confronto, la discussione, solo la vita attiva, l’identità creata nel rapporto dialettico con l’altro possono spezzare la catena, atroce perché silenziosa, di quella prigione che è il silenzio del male. La morte della democrazia risiede nel momento in cui i cittadini si trasformano in individui per i quali la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più. Dire la verità è ricordare, sollevare dal nascondimento. Ricordiamolo: da ciascuno di noi, singolarmente, ogni giorno, può arrivare quel gesto, quella parola, che rimarca il discrimine fra lecito ed illecito, giusto ed ingiusto, bene e male, fra l’umanità degradata e la cittadinanza responsabile.

 Una cittadinanza non ordinaria, una cittadinanza libera, perché attiva. La storia ci ha insegnato che questa giornata non è, e non deve essere, solo una ricorrenza istituita per ricordare e non dimenticare i 15 milioni di persone rimaste vittime dell’Olocausto, ma piuttosto, deve essere monito e motivazione, insegnamento e ispirazione per non reiterare atti di bassa umanità. Perché se è vero che il passato è passato, è altrettanto vero che, purtroppo passano gli anni, ma il presente continua a non migliorare. È un presente che ci obbliga a fare i conti con quello che siamo!  Il presente è una ragazza di diciannove anni che viene insultata, beffeggiata e riempita di sputi perché è cinese. È un bambino bullizzato di dieci anni che si toglie la vita. Forse perché gay, forse perché obeso, forse solo perché introverso. È una barca improvvisata di rifugiati che scappano dalla guerra e muoiono in mare. Subiscono anche il nostro odio, se sopravvivono.  È il pregiudizio costante! Gli occhi puntati su chi è diverso da noi! Il dovere e la responsabilità della memoria hanno un peso ancestrale che noi tutti dobbiamo portare e che va compreso e condiviso per spezzare questa catena d’odio. Partendo dalla considerazione che “chi non conosce il passato è condannato a ripeterlo”, il ricordo dell’Olocausto rappresenta un monito per il presente e il futuro, in un periodo in cui si diffondono tentativi di “revisionismo” e addirittura di “negazionismo” che tendono a falsificare la drammatica storia che caratterizzò il periodo antecedente la II guerra mondiale, la Shoah, la Resistenza in Italia e in Europa. Mai come oggi il fenomeno del negazionismo si sta inserendo a tutti i livelli del vivere civile e sociale. Negazionismo sulla pandemia che tutto il mondo sta soffrendo, a causa del Covid 19, negazionismo sull’importanza dei vaccini per combattere questo virus così letale, e la cosa più grave è che questa pseudoscuola di pensiero è propria anche di una, seppur minima, classe medica. Ciò a discapito di una sana e buona informazione sui comportamenti che invece tutti dovremmo avere per combattere questa pandemia. E’ di pochi giorni anche la pubblicazione di un libro, dal titolo “L’ossessione della memoria” di Marco e Stefano Pivato, dove i due autori sostengono che non esistono prove dell’opera di salvataggio degli ebrei da parte del ciclista Gino Bartali. “E’ senz’altro questa, da parte di questi due scrittori, una rappresentazione distorta delle vicende che hanno visto Gino Bartali tra i protagonisti dell’impegno umanitario e solidale nei confronti dei perseguitati del nazifascismo” (nota da parte della famiglia Bartali). Non si possono negare le tante onorificenze ricevute dal grande ciclista, tra cui il riconoscimento di Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem nel 2013, la medaglia d’oro al Valor Civile, ricevuta postuma, nel 2006 da parte dell’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, e la cittadinanza onoraria dello Stato di Israele nel 2018. Per fare in modo quindi che situazioni come queste non prendano il sopravvento, soprattutto tra i giovani, bisogna ribadire l’importanza dello studio della storia per  permettere di far maturare nei giovani, e in tutte le persone della società civile, un’etica della responsabilità individuale e collettiva, dando un contributo alla promozione di una cittadinanza attiva e consapevole e alla realizzazione di una pacifica convivenza, al fine di non far prevalere il lato disumano del progresso che può essere utilizzato, dai più forti e potenti, per l’umiliazione e l’annientamento dell’individuo. Non dimenticare mai che alla base di ogni politica di sterminio ci sono sempre: l’assenza di democrazia, la deriva ideologica, nazionalista e razziale innalzate a misura dell’agire politico. Occorre ricordarlo, bisogna ricordare e …non dimenticare!

 

 

Domenica  10 gennaio alle ore 17,30 sul palco del Mario Costa si assisterà di nuovo alla Rassegna Musicale gruppi anni ’60 con l’esecuzione di molte delle bellissime canzoni dei mitici anni '60 e '70. Saranno 5 i gruppi musicali che cercheranno di proporre quel mix di sonorità, tra il rock e la musica leggera tipica italiana………

 

Con grande piacere e soddisfazione, il Comune di Sezze e l’Associazione culturale Il Grillo presentano la Rassegna musicale anni 60 e 70. Una rassegna, questa, di pura archeologia musicale setina e non solo, in cui gruppi strapaesani si confronteranno con altre esperienze, unite tutte dalla stessa passione: la musica…….

 

Sul palco dell’Auditorium M. Costa tornano ad esibirsi i gruppi, alcune delle band setine (e non) che hanno fatto la storia della musica nelle piazze e nelle tante sale da ballo……..

 

Queste solo alcune delle presentazioni che ogni anno, dall’anno 2005 fino al mese di gennaio 2020, hanno attenzionato al pubblico, in special modo agli over 50, la Rassegna Musicale “Gruppi anni ’60 e ‘70” uno spettacolo musicale con musica dal vivo, organizzata dal Comune di Sezze e ideata e diretta dall’Associazione Culturale “Il Grillo”.

 La Rassegna di Archeologia musicale setina (e non solo), in tutte le sue 15 edizioni, ha rappresentato certamente una delle più importanti e seguite manifestazioni culturali di rilievo con risonanza provinciale e regionale. Ieri, mentre passeggiavo per le strade del paese (paese quasi vuoto per i problemi di pandemia che stiamo vivendo) riecheggiavano in me le note e le parole de “L’anno che verrà”, una canzone di quel gran genio di Lucio Dalla. 
‘Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po' 
e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò. 
Da quando sei partito c'è una grossa novità, 
l'anno vecchio è finito ormai 
ma qualcosa ancora qui non va’.

Versi che in un momento come questo sono più che mai attuali; l’anno appena trascorso con quanto ci ha lasciato e terribilmente cambiati, ci ha privato di tante di quelle situazioni e manifestazioni che in qualche modo davamo quasi per scontato che facessero parte della nostra attività vitale e del nostro essere umani nelle relazioni sociali. Rimane in noi il grosso punto interrogativo se quest’anno, appena arrivato, ci riconsegnerà quanto ci ha tolto.

A parte questa riflessione, per dar valore a questa manifestazione e non disperdere i risultati raggiunti, vorrei ricordare come tanti di noi sono arrivati a conoscere ed apprezzare il mondo musicale, da spettatori e da attori. Per anni, i componenti dei tanti “gruppi musicali” hanno calcato le scene di piazze della provincia, di sale da ballo, e per i più bravi e forse anche più fortunati, di importanti piazze dell’Italia musicale che si rialzava da periodi bui, speranzosa e senz’altro più genuina e sincera.
Era il lontano 1964, la maggior parte di noi non arrivava a dieci anni. Davanti flotte di ragazzi e ragazze, forse scalcinati, forse peccatori, un po’ santi un po’ maledetti. Pieni di vita, di idee, di proteste e di proposte. Per noi modelli, da imitare, da migliorare. Fu così che iniziò l’avventura di molti gruppi. Fu cosi che iniziò la mia avventura insieme ad altri quattro coetanei che avevano interessi in comune: la musica, lo studio, la parrocchia e tante altre belle cose. Ci preparavamo ad esserci, a crescere, a vivere, a salire su quello che era il palco della vita, il palco della musica. Lo era allora, lo è ancora di più oggi, tra mille incertezze, mille dubbi. Tra le tante difficoltà anche economiche che ci impedivano di avere gli strumenti desiderati, quelli di marca, era viva la certezza che in qualsiasi modo potevamo soddisfare la voglia di suonare e di porci all’attenzione della società, della comunità setina e del nostro entourage. La musica per tutti noi ha dato sempre delle risposte e creato grosse novità: dal freddo delle cantine al calore delle note, dal buio dei garage alla luce del suono. Emozioni, passioni, vibrazioni. Tutto parla di noi: di quello che eravamo e di quello che siamo diventati. Ieri le difficoltà economiche non ci permettevano in pieno di soddisfare i nostri desideri, di frequentare le poche scuole di musica esistenti in provincia per studiare uno strumento musicale, oggi un fenomeno ben più grande e grave non ci permette di dimostrare ancora la nostra voglia di fare musica: quella davanti alle platee cui eravamo abituati in quegli anni, 1960, 1970 e 1980, e quella che, da 15 anni a Sezze, decine e decine di gruppi, hanno eseguito con l’amore di sempre e con la viva passione, sul palco del M. Costa. Si è ripetuto per 15 anni, quasi un rito, una specie di ‘reunion musicale’, un ‘Woodstoch’ provinciale per i musicisti che, in questi anni, non hanno mai perso la speranza di dimostrare il valore e la bellezza della musica per ciò che quest’arte ha significato.

Questi musicisti, attraverso la loro attività professionale e amatoriale, hanno continuato, per tanti anni, a divertirsi e a portare avanti una ventata di sogni , i ricordi di un paese, gli attimi e le idee di una generazione. La Rassegna allora si è rilevata una ventata di emozioni riproposta, ogni anno, sul palco dell’auditorium ‘M. Costa’ di Sezze, con la presenza costante, ad ogni edizione, di più di 400 spettatori, giovani di allora e di oggi.

E’ stata sempre  per tutta la città un momento musicale di straordinaria fattura e aggregazione. 

Il nostro impegno sarà, quanto prima, di presentare la prossima edizione, la 16°, con i gruppi musicali e l’esecuzione dei brani, dal vivo, conosciuti e ancora tanto amati da tutti, giovani e meno giovani.

La pandemia minaccia la salute e la vita delle persone, sconvolge le abitudini e gli stili di vita cambiando le relazioni interpersonali e lasciando in ognuno di noi un segno. Questo fenomeno ci sta spingendo verso forme di vita più sobrie, verso una diversa gerarchia di valori per cui la tutela dei beni comuni come la salute l’ambiente e la cultura possa avere finalmente un rilievo fondamentale. In questo anno appena trascorso, molte iniziative culturali, anche di un certo rilievo, tra cui anche la Rassegna Musicale, sono saltate, e non sappiamo ancora quando si tornerà nella normalità. Questa nostra manifestazione musicale, come tante altre che a Sezze ogni anno si sono realizzate, se non ci sarà un impegno da parte delle istituzioni, naufragherà nel mare dell’incertezza, facendo venire meno il lavoro di anni, di tante associazioni e di tanti cittadini che in questo periodo non hanno potuto esprimere la propria arte per continuare a propagare il valore della cultura. Ma non bisogna perdersi d’animo. Ognuno di noi continuerà nel suo piccolo, presso la propria casa, con il suo strumento musicale gelosamente conservato, a coltivare la passione per la musica, per non farsi trovare impreparato per una rinascita sociale e culturale, quando avremo sconfitto, tutti, ognuno con il proprio impegno, il virus che tanto ha tolto alle nostre vite, a quelle dei nostri familiari e dei nostri amici. Tanti impedimenti fisici hanno limitato le nostre azioni e creato tante difficoltà, economiche, sanitarie e sociali, ma ciò non potrà e non dovrà certamente sconfiggerci nelle nostre idealità e nelle nostre passioni, con l’augurio che quanto prima la cultura riacquisti, attraverso le sue diverse manifestazioni, quel ruolo fondamentale nella nostra società locale e nel mondo in generale.

 

 

 

 

Il diffondersi del coronavirus in Italia ha messo ulteriormente a nudo lo stato di estrema sofferenza in cui versa il Sistema Sanitario Nazionale, riaccendendo i riflettori sui pesanti tagli che, in particolare negli ultimi 10 anni, hanno colpito la sanità pubblica, facendola scivolare in uno stato di disservizi e carenze ormai cronico. Disagi purtroppo in cui i cittadini sono costretti da molto tempo a fare i conti e che sono il risultato della sottrazione, dal 2010 ad oggi, di ben 37 miliardi alla Sanità. Azione, questa, che si è conseguentemente tradotta in un enorme calo del livello di assistenza a tutti i livelli tra cui la chiusura di tanti piccoli efficienti e produttivi ospedali, come il nostro Presidio Ospedaliero che, con i suoi reparti, è stato per tanti anni il punto di riferimento di parte della popolazione provinciale e soprattutto dei Monti Lepini. Il fatto è che, alla chiusura di tanti ospedali territoriali come il nostro, o come quello di Priverno e di Cori, come d’altronde quelli di tante realtà territoriali della Regione Lazio, non è seguito un miglioramento dei presidi sanitari provinciali. Cosa ancora più grave ed evidente, non è seguito un miglioramento dei servizi territoriali, in alcuni casi inesistenti o poco funzionanti, servizi tanto invocati da più parti per evitare il sovraffollamento, come si sta invece verificando, dell’ospedale Santa Maria Goretti, a discapito dei tanti malati per covid e per altre patologie. E’ evidente che l’emergenza COVID che si sta vivendo ha scatenato in tutte le Regioni d’Italia questi movimenti per la “riapertura” degli ospedali che con tanta fretta sono stati chiusi. L’adozione di misure di (s)fortuna come ospedali da campo (a volte più motivati da esigenze di immagine che non da forti esigenze organizzative) o addirittura di terapie intensive in spazi dedicati ad altre funzioni, deve spingerci comprensibilmente nella direzione di riappropriarci di servizi strettamente necessari per la salute pubblica. Se sei costretto a soluzioni così arrangiate perché non riqualifichi quello che hai dequalificato?

La convinzione che le “chiusure” fossero state frutto di tagli e non di scelte è molto radicata e, adesso, che si sa che sulla sanità si torna ad investire, quei tagli devono essere messi in discussione, al fine di dare risposte alla cittadinanza sull’emergenza che si sta vivendo e sul futuro che non può essere certamente tranquillo in chiave di assistenza territoriale. Sempre più spesso, in questo clima di paura e di incertezza, per il propagarsi del contagio da covid, molti, in queste settimane, cercano di essere rassicurati circa il ritorno alla normalità, sul fatto anche che le poche strutture sanitarie presenti nella provincia di Latina riprendano a funzionare anche per le altre patologie, e che le stesse non verranno depotenziate e impoverite di funzioni rispetto ad altre maggiori. Da ciò allora si pone l’imperativo e l’urgenza di richiedere ad alta voce e con forza, a tutte le istituzioni preposte, Provincia, Regione, Ministero della Salute, la riapertura dell’Ospedale San Carlo di Sezze, con i suoi reparti, quelli che si ritengono necessari quali integrazione di quelli presenti nell’ospedale Santa Maria Goretti di Latina, evidentemente anche con uno sguardo ad una politica comprensoriale, che contempli quindi anche l’esigenza dei Comuni limitrofi. Da ciò può anche ripartire una giusta politica sanitaria territoriale, finora inesistente e tanto sbandierata e richiesta, come necessaria, in questo periodo di emergenza sanitaria.

Certamente a questi grandi interventi devono accompagnarsi, a livello regionale e nazionale, delle diverse politiche, che costano grossi sforzi economici, e vedute anche lungimiranti, non solo quindi  per soluzioni solo oggi urgenti, ma che tengano conto anche del futuro per non trovarsi impreparati come per quello che stiamo vivendo. Certamente l’auspicata riapertura di questi ospedali, Sezze e tanti altri chiusi per le note questioni legate alla spending review, ripropone il problema della mancanza del personale, tanto evidente nel momento critico che stiamo vivendo. Ma è chiaro che in questo caso, per la soluzione di queste problematiche, non solo legate al momento covid, non è più possibile il permanere del numero chiuso delle facoltà con indirizzo sanitario, o di limitati posti nelle scuole di specializzazione sempre per i laureati in medicina. Così come, a livello regionale continuare a limitare i posti a concorso per la medicina generale. Basti pensare che quest’anno la Regione Lazio, per i medici candidati per la Medicina Generale ha emanato un bando per 101 posti, a fronte di un collocamento a riposo, solo nella provincia di Roma di più di 500 medici. In questo momento non si tratta soltanto di rispondere ad una emergenza che si è verificata, a cui chiaramente bisogna trovare le soluzioni più adeguate e necessarie, ma bisogna porsi il problema di come reimpostare una politica sanitaria, non guardando solo all’aspetto economico, ma alle reali esigenze della popolazione a cui bisogna garantire sempre e in ogni modo il diritto alla salute.

A tutti i livelli si deve chiedere un grande sforzo politico ed ideologico (MES si MES no), al fine di superare in questo momento, ma non solo, la critica situazione sanitaria che permarrà se le varie istituzioni non sapranno cogliere tutte le istanze che il fenomeno della pandemia ha evidenziato. Il superamento si di tutti gli aspetti che si sono presentati dal mese di febbraio ad oggi, ma nel contempo cominciare da subito ad impostare un discorso progettuale diverso che a tutti i livelli sia in grado di organizzare e realizzare tutti quei servizi capaci di evitare, per il futuro, tutte le tragedie che stiamo vivendo e garantire invece condizioni di vivibilità efficienti ed efficaci.

Quindi, accanto alla riapertura degli ospedali chiusi in tempi pre-covid, c’è bisogno di un cambio di mentalità dove i vari governi necessariamente comincino da subito a modificare lo status quo soprattutto nel campo della formazione sanitaria, eliminando da una parte certi privilegi che si sono instaurati a livello di una certa classe medica, e dall’altra parte, garantire il pieno diritto alla salute a tutti i cittadini e una giusta occupazione dei giovani professionisti che si affacciano degnamente nel mondo lavorativo nel settore sanitario. IL Sars-Cov-2 ci ha sorpresi e costretti quindi a inseguirlo. Non possiamo permetterci di correre questo rischio per la seconda o adesso per la terza volta. Per evitare di trovarci nuovamente in questa condizione bisogna muoversi in anticipo da subito non dimenticando che la pandemia ci ha sbattuto in faccia la nostra vulnerabilità e questo ci deve spingere a comprendere la ragione per cui l’abbiamo dimenticato. È chiaro quindi che le casse dello Stato potranno e dovranno riorganizzare il Servizio Sanitario Nazionale, dotandolo di tutto ciò di cui ha bisogno in termini di risorse finanziarie e umane. Questa è la sfida che ci aspetta e per cui tutti dobbiamo lottare, essere attori non solo di ciò che oggi può sembrare un sogno, ma tendere tutti a realizzare questa grande impresa.