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È guerra nel cuore dell’Europa

Feb 26, 2022 Scritto da 

 

 

Vladimir Putin ha gettato la maschera.
 
L’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, con un impiego massiccio di uomini e mezzi e una potenza di fuoco scioccante, volta a terrorizzare la popolazione civile, a piegare ogni tentativo di resistenza e a rovesciare il governo democratico legittimamente eletto dai cittadini, precipita l’intero continente europeo nella più grave crisi militare dalla fine della seconda guerra mondiale.
 
L’autocrate di Mosca, dopo avere per mesi sostenuto di essere interessato unicamente alla sicurezza del proprio paese ed assicurato agli interlocutori internazionali la disponibilità e l’interesse ad una soluzione negoziale e diplomatica della crisi, ha sferrato un attacco spaventoso e pianificato da tempo fin nei minimi dettagli.
 
I richiami, contenuti nell’ultimo discorso prima di scatenare l’attacco, alla storia, alla cultura, alla religione, peraltro privi di qualsiasi fondamento, sono stati soltanto il tentativo di ipnotizzare l’opinione pubblica mondiale e di edulcorare le brutali intenzioni di lanciare una aggressione militare contro l’Ucraina. Invero il ricorso alla retorica nazionalista è da sempre uno strumento impiegato da Putin. Lo slogan una nazione, un popolo, una storia riassume la sua prospettiva revisionista e allo stesso tempo ipernazionalista e il tema delle minoranze russe o russofone nei territori dell’ex Urss trova terreno fertile in ampi strati dell’opinione pubblica della Russia, la cui maggioranza rimpiange la fine dell’impero sovietico. Inoltre non è la prima volta che Putin afferma che l’Ucraina non esiste, è tutto un equivoco causato dai pasticci alle frontiere combinati dalla creazione dell’Unione Sovietica ed è “una parte inalienabile della nostra storia, della nostra cultura e del nostro spazio spirituale”. Peraltro, quantomeno dall’estate scorsa, il presidente Putin va declamando in ogni occasione la sua verità storica: Russi e Ucraini sono un popolo, una cultura, una nazione. Si tratta di una precisa strategia politica, funzionale a garantire il sostegno popolare alla sua autocrazia fatta di statalismo, centralizzazione del potere e dominio autoritario. Emblematica è poi la sua condanna tanto della Rivoluzione d’Ottobre del 1917, quanto dello scioglimento dell’URSS del dicembre 1991 che non possiede nulla di ideologico, anche se è intrinsecamente e profondamente politica, e al contempo si fa alfiere della retorica della continuità dell’en Iimpero zarista con l’esperienza sovietica, così come di un sincretismo simbolico che mette insieme aquile bicefale e stelle rosse, icone ortodosse e la falce e martello. La denuncia dello smembramento della Russia storica, che recentemente è giunto addirittura a identificare con l’Unione Sovietica tutta serve da una parte a proporsi come colui che è predestinato a rimediare all’errore storico rappresentato dalla perdita dello status di potenza dell’URSS e dall’altra a sopprimere qualsiasi forma di dissenso e a giustificare la persecuzione degli oppositori politici, additandoli come nemici della nazione. La sovranità delle ex repubbliche sovietiche è accettata solo e soltanto se fortemente asservita all’interesse nazionale russo (come accade in Bielorussia).
 
C’è poi nella politica di Putin un’ossessione per il contagio da democrazia, la convinzione (condivisa anche dalla Cina) del declino dei sistemi liberaldemocratici e l’obiettivo di ridisegnare la mappa dell’Europa, di ridefinirne l’architettura della sicurezza, di creare aree d’influenza attraverso stati cuscinetto, non facendosi scrupolo di ricorrere alle armi e alla guerra. L’Ucraina è solo una pedina di un gioco assai più grande, nel quale il vero nemico sono le democrazie e i valori occidentali. Insomma il problema per Mosca è più politico che militare. Un’eventuale entrata di Kiev nell’Alleanza Atlantica e il dispiegamento di forze americane sul suo territorio costituirebbero certamente una minaccia militare per la Russia ma, pur non sottovalutando questa dimensione dell’attuale crisi creata artatamente dal Cremlino in Ucraina, dobbiamo considerare l’elemento politico. La Russia ha vissuto una breve stagione democratica agli inizi degli anni ’90. Con l’ascesa di Putin, i barlumi di democrazia si sono spenti. Un’Ucraina euroatlantica, liberaldemocratica, attiva partecipante dei processi politici e dell’integrazione europea è una minaccia ben più seria dei reparti militari della NATO schierati a Kiev. Infatti il contagio democratico proveniente dall’Ucraina potrebbe riaccendere le proteste anti-governative russe e i rischi che Putin intravede sono la possibilità della sua cacciata, la fine del suo regime e la riapertura di processi disgregativi nelle aree periferiche della Federazione Russa, che potrebbero portare ad una sua parziale disintegrazione.
 
Il ricorso alla forza militare è diretto non solo a dividere l’Ucraina, destabilizzarla, demilitarizzarla, indebolirne le istituzioni e trasformarla in uno stato vassallo, come risulta evidente anche dall’invito rivolto da Putin ai militari ucraini di prendere il potere con un golpe, destituendo il presidente, esautorando il Parlamento ed instaurando un governo fantoccio con cui solo è disponibile a trattare, ma soprattutto di dimostrare agli altri paesi dell’Est Europa che la Russia è nuovamente una superpotenza con cui fare i conti. Insomma Kiev è un assaggio, il prologo di una offensiva militare e geopolitica più ambiziosa che ha tra i suoi principali obiettivi la Polonia, i paesi baltici e la destabilizzazione dei Balcani, riacutizzando i conflitti etnici e indebolendo l’Unione Europea attraverso l’arma micidiale delle masse di profughi che fuggono dai conflitti armati.    
 
La condanna dell’aggressione militare, lo stop immediato delle ostilità, il ritiro delle truppe russe occupanti, la cessazione d’ogni interferenza interna all’Ucraina e la protezione umanitaria dei civili sono una priorità assoluta. Lo strumento delle sanzioni è il più appropriato per affrontare la situazione ed evitare qualsiasi pensiero di soluzioni militari che potrebbero essere un’avventura senza ritorno, vista la mole degli armamenti a disposizione delle parti e la loro distruttività. Bisogna colpire il potere politico ed economico, le istituzioni finanziarie, fermare le tecnologie avanzate e congelare i capitali esteri degli oligarchi russi.
 
La soluzione duratura dovrà passare attraverso il ripudio del militarismo e il disarmo cibernetico, specie quando riguarda infrastrutture critiche che colpiscono la vita dei civili, affidando alle Nazioni Unite il compito di gestire e risolvere i conflitti tra Stati con gli strumenti della diplomazia, del dialogo, della cooperazione e del diritto internazionale.
 
Una utopia probabilmente ma senza alternative, pena il moltiplicarsi dei conflitti.
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