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Domenica, 18 Settembre 2022 07:22

Blocco navale, naufragio morale

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Negli ultimi anni l’elettorato del nostro paese si è dimostrato estremamente mobile. Abbiamo assistito alla rapida ascesa di partiti, movimenti e leader, cui è seguita una loro altrettanto repentina caduta nei consensi. La mobilità elettorale è effetto non solo della fine delle ideologie, ma anche e soprattutto della mancanza di spessore culturale e progettualità solide della politica, in grado di appassionare i cittadini e coinvolgerli nella costruzione di una prospettiva comune a medio e lungo termine.  
 
Il 25 settembre, stando alle previsioni e fatti salvi risultati imprevedibili sempre possibili quando si parla di elezioni, gli italiani premieranno la coalizione delle destre, che potrebbe conquistare una solida maggioranza in Parlamento. All’interno dello schieramento vincente a raccogliere il maggior numero di consensi sarà Fratelli d’Italia, la cui leader potrebbe così essere la prima donna a guidare il governo.
 
Proprio perché Giorgia Meloni sarà quasi certamente la prossima Presidente del Consiglio, raccogliendo l’eredità di Mario Draghi, fare le pulci al programma con sui si presenta agli elettori è operazione non solo lecita ma auspicabile.
 
Il programma politico delle destre possiede un profilo di originalità e al suo interno possiamo distinguere una sezione dedicata alle promesse rivolte ai cittadini ed una sezione dedicata invece alle “minacce” rivolte ai non cittadini. Il tema specifico è quello dell’immigrazione e della pressione alle nostre frontiere di profughi e rifugiati che cercano di sbarcare in Italia. L’idea di bloccare con la forza il flusso di immigrati, provenienti in gran parte dalla Libia, è da sempre nel programma delle destre e questa politica muscolare è stata più volte sbandierata all’elettorato, sebbene i capi politici di questo schieramento siano consapevoli che si tratta di una proposta inattuabile. Peraltro i tentativi di impedire gli sbarchi con atti di forza unilaterali hanno portato all’apertura di procedimenti penali, come quelli a carico di Matteo Salvini per sequestro di persona. Governare è ben più complesso che fare propaganda…... 
 
Al di là delle parole d’ordine sull’immigrazione, funzionali a raccogliere consensi, il programma di Fratelli d’Italia non contiene alcun riferimento esplicito al blocco navale e la strategia per contrastare il fenomeno dell’immigrazione viene così definita: “Difesa dei confini nazionali ed europei come previsto dal Trattato di Schengen e richiesto dall'Ue, con controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del Nord Africa, la tratta degli esseri umani; creazione di hot-spot nei territori extra-europei, gestiti dall'Ue, per valutare le richieste d'asilo e distribuzione equa solo degli aventi diritto nei 27 Paesi membri”. In verità non siamo in presenza di un riposizionamento politico dell’ultimo momento, dato che in altre occasioni Giorgia Meloni aveva chiarito che per blocco navale intendeva una missione europea in accordo con la Libia, e quindi non un atto di guerra, per aprire hotspot in Africa e valutare chi ha diritto ad essere considerato rifugiato e chi no. Questa proposta, lanciata dal Presidente francese Macron nel 2017, venne ripresa dal primo governo Conte, nel quale il M5s e la Lega di Salvini governavano insieme, e si è già dimostrata assolutamente inefficace.
 
Il senatore Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma di FdI, ha ammesso che l’espressione blocco navale, utile in campagna elettorale, "è una scorciatoia semantica" e che il suo partito "vuole ripartire dalla missione Sofia", lanciata dall'Ue nel 2015, nel mezzo della crisi migratoria, per fronteggiare i continui naufragi nel Mediterraneo e contrastare l'immigrazione clandestina, bloccata dai governi Ue. Per inciso nel 2018 Giorgia Meloni schierò il suo partito contro questa proposta avanzata dal governo italiano all’Europa e propose come soluzione proprio il blocco navale. Successivamente appoggiò l’idea di un’azione militare nel Mediterraneo centrale coordinata dell’Ue proprio nell’ambito dell'operazione Sophia.
 
Giorgia Meloni è perfettamente consapevole che secondo il diritto internazionale il blocco dei porti o delle coste, se attuato al di fuori dell’art. 51 della Carta dell’ONU, è un atto di guerra. Se il blocco avviene contro una flottiglia di profughi non va considerato tale, ma siamo comunque in presenza di un atto illecito, di una violazione del principio antichissimo del diritto internazionale della libertà dell’alto mare, ribadito dall’art. 87 della Convenzione ONU sul diritto del mare. In acque internazionali una nave della Marina non sarebbe solo obbligata a compiere il salvataggio, ma dovrebbe portare il natante che ha forzato il blocco in un porto del Paese che ha imposto il blocco stesso, ovvero l'Italia. A tutto questo si aggiunge il fatto che il blocco navale sarebbe contrario anche al diritto dell’Unione Europea, che sancisce nei suoi Trattati fondanti il diritto di asilo e alla protezione internazionale: “L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento“ (Art. 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea).
 
La verità è che arrestare la navigazione di natanti stracarichi ed in condizioni di sicurezza precarie è impossibile e il naufragio una conseguenza inevitabile. La cattura in alto mare dei profughi per ricondurli con la forza nei lager libici sarebbe illegale, oltre che atrocemente disumana.
 
Quello che colpisce è che questi temi vengano usati con tanta leggerezza. Promettere di violare il diritto interno e internazionale è inqualificabile e inaccettabile. I diritti fondamentali e il rispetto della legge dovrebbero prescindere da ideologie politiche e tornaconti elettorali e coloro che si propongono per il governo del nostro Paese dovrebbero avvertire il peso morale di dire parole di verità, di tutelare i diritti di ogni persona, a prescindere dal colore della pelle, dalla provenienza geografica, dalle condizioni economiche e sociali, dal sesso e dalla fede religiosa e di avanzare proposte serie per regolamentare l’accoglienza e l’integrazione.

 

 

Questa campagna elettorale si avvia alla conclusione e la destra si avvia a vincerle e con molta probabilità avrà anche i numeri per cambiare, volendo, la Costituzione. Anche stavolta, checché ne dicano, lo scempio lo ha prodotto il populismo dei 5S che per calcolo di Partito si è messo sotto i piedi il bene comune degli italiani fregandosene altamente di tutto l’ulteriore sconquasso che avrebbe potuto generare alle famiglie e alle aziende. Dopo aver governato per cinque anni consecutivi con il primo che passava e che gli offriva più poltrone ora vogliono far credere che se confermavano la fiducia al governo Draghi per altri 5 mesi crollava il mondo? O crollava il loro mondo? Anzi, la domanda giusta è: Conte ha fatto cadere il governo per paura che crollasse il suo mondo? Adesso ha fiutato spazio a sinistra e definisce i 5S progressisti e, sempre per non farsi mancare niente, ha ricominciato con “mai con il PD”. Quindi, ciò significa che se dovessero diventare l’ago della bilancia, pur di non stare con il PD questi “progressisti” darebbero i loro voti ad un governo di destra!? Manca ancora qualche giorno al voto e si può ancora aggiungere qualche slogan, magari domani dirà “mai con la Lega” dopodomani “mai con le destre” e dopo dopodomani “andiamo con chi è è”. Con la Lega e, perché no, anche con Fratelli d’Italia, forze che hanno ostacolato in tutti i modi sia l’azione di governo che la campagna dei vaccini a cui ha aderito, fortunatamente, oltre il 90% degli italiani.

Se questa campagna non avesse avuto il successo sperato, avrebbe potuto causare caos e disastro economico. Cosa che a qualcuno non sarebbe dispiaciuta, anzi, forse addirittura lo sperava perché pensava che avrebbe facilitato la sua politica di avvicinamento alle autarchie. Ora (stando ai sondaggi) sembra che gli italiani abbiamo dimenticato tutto ciò e, guarda caso, pare lo abbiano dimenticato anche i media nonostante che qui non si tratta solo di mandare al governo chi  ha almeno un po’ di dimestichezza con la geopolitica (che non è robba che se magna) e che sappia, almeno, far di conto ma si tratta anche di mandare al governo persone che disegnino un futuro nuovo, dove l’integrazione, i diritti civili, la difesa dell’ambiente, la pacifica convivenza, il rispetto del diverso, la cooperazione, le pari opportunità, abbiano cittadinanza anche in questa nostra nazione. Ma il pensiero unico, che ha e gestisce una grandissima fetta di potere, forse gradisce un futuro vecchio, ovvero, il “dividi et impera”.

È troppo semplice rifugiarsi sotto la sicura protezione del pensiero unico e ripetere, a prescindere, il solito ritornello “è colpa del PD”! Mi chiedo: ma gli altri sono tutti esenti? Tutti santi santarellini? Pur con tutte le colpe (tante) che il PD ha e alle quali quotidianamente aggiunge gaffe, questo pensiero unico, questo mantra “è colpa del PD” non regge. Almeno per me. E non regge anche perché a questo mantra si associano, per sminuirle, tutte le battaglie e tutti i valori che sono incarnati si dal PD ma non solo. Anche se, ovviamente, con sensibilità e modalità diverse. Vedi la Sinistra Italiana di Fratoianni, vedi Calenda, vedi +Europa, ecc.. Insomma, quello che sta avvenendo non è un attacco al PD, cosa che fa godere tutti e tutti manda in estasi. No. Questo è un attacco allo stato sociale e ai diritti conquistati con decenni di lotte. Sui quali moltissimi hanno fatto e fanno ancora le loro fortune e pochissimi hanno sentito e sentono il dovere di difenderli.

Tutto questo bailamme sta avvenendo anche perché molti “giornalisti” e molti “politici” sono guidati da questo pensiero: “tanto noi possiamo dire e fare tutto e il contrario di tutto perché gli italiani, sono cogl…i.” E godono e se la ridono pure!

Non possiamo comunque abdicare alle nostre responsabilità di cittadini e, forse, anche a dispetto di questa ingarbugliata legge elettorale, possiamo individuare qualche forza politica con qualche candidato che riteniamo essere competente, creativo, onesto, di buon senso e sensibile alle tematiche a noi care. Almeno, questo è ciò che auguro e che mi auguro. Buon Voto.

 

 

Sul tavolo del presidente del consiglio comunale di Sezze, Pietro Del Duca, sono piovute molte interrogazioni. Tra queste quelle dell’ex sindaco di Sezze Sergio Di Raimo che ha protocollato domande che saranno discusse in sede di question time il prossimo 20 settembre. Una in particolare nasconde timori e ansie dopo le ultime dichiarazioni sul futuro della SPL da parte dell’assessore al bilancio Mauro Rezzini. Sulla sopravvivenza della società infatti Rezzini in prima battuta, esattamente il 16 agosto scorso, si domandava di quale “morte dovesse morire la Società Pubblici Servizi Locali”, per poi limare le sue parole nell’ultima seduta parlando della “necessità di azioni volte a rilanciare la società controllata dal Comune di Sezze”. Insomma - secondo Di Raimo - molta confusione sul futuro della società che gestisce i rifiuti urbani a Sezze e che dà lavoro a molti operatori ecologici. Il consigliere del Pd Di Raimo, proprio per tale ragione, chiede all’assessore competente se allora “si intende fare ricorso a qualche procedura concorsuale”, considerando che lo scorso 9 settembre Rezzini “ha usato frasi che hanno generato dubbi sul futuro che questa amministrazione vuole riservare alla SPL”. Sempre la SPL poi fa parlare anche su chi sarà il nuovo amministratore unico. L’attuale Giovan Battista Rosella è in prorogatio da tempo ormai e appena avrà approvato il bilancio del 2021 sarà rimpiazzato. Sappiamo che sul nuovo a.u. l’attuale amministrazione comunale ha pubblicato una manifestazione di interesse e diversi interessati hanno presentato la loro candidatura. Iniziano a spuntare i primi nomi. Rumors parlano di una probabile nomina di Remo Grenga, ex consigliere comunale e assessore ai tempi di Andrea Campoli sindaco. Si tratta ovviamente di una nomina fiduciaria del sindaco. Su questa figura però non sappiamo se ci sia convergenza e ampia condivisione dell'intera maggioranza. Vedremo cosa accadrà. 

 

 

 

L’ALLEANZA VERDI SINISTRA si presenta e si confronta con le cittadine ed i cittadini di Sezze. VENERDI 16 SETTEMBRE – ORE 18,00 – CENTRO SOCIALE “CALABRESI”.

All’incontro partecipano le candidate ed i candidati alle prossime elezioni politiche del 25 settembre: Federica Di Sarcina, Sergio Ulgiati e Sara Cinquegranelli. Particolarmente significativa la presenza del Prof. Ulgiati: nato a Latina e di famiglia originaria setina, Sergio, è stato professore di Analisi del ciclo di vita e Certificazione Ambientale presso l’Università Parthenope di Napoli. Tra i principali obbiettivi della sua ricerca quello di individuare strumenti adeguati allo studio dell’interazione tra la società umana e la natura, col fine di preservare l’integrità ambientale, anche attraverso lo sviluppo di nuovi sistemi economici; referente dei primi movimenti ambientalisti pontini ed italiani, si è particolarmente battuto per la chiusura della Centrale Nucleare di B.go Sabotino e per la promozione delle fonti rinnovabili. Tra gli interventi programmati i rappresentanti locali di Europa Verde, Sinistra Italiana, Possibile, associazioni ambientaliste e della società civile.

 

 

Crollato per un incidente lo storico muro della Capocroce a Sezze. Nella notte un’auto, probabilmente per l'alta velocità, ha centrato in pieno il muretto in sassi in pieno centro storico, fortunatamente senza conseguenze per chi guidava il mezzo e per gli altri che non erano in giro per il paese a quell'ora. Del muro ne restano però le macerie e pezzi di auto sparsi per via Corradini. I residenti parlano di notti folli e di disagi a non finire in questa strada come in altre. In piena notte, infatti, si corre ad alta velocità e si disturba la quiete pubblica con volumi dell’autoradio a “palla””, per non parlare delle risse e del consumo smodato di alcool tra le vie del centro storico. Insomma controlli nella notte questi sconosciuti, pericoli per i residenti in forte aumento e degrado a non finire. Di male in peggio. 

 

Il Comune di Sezze sarà presente al tavolo di discussione di Sapienza per parlare delle criticità legate alla gestione “umana” del PNRR nella PA Locale, nel quadro del seminario “Riforma, Semplificazione e Ottimizzazione della PA. Impiegare al meglio i fondi PNRR e Ue”, organizzato dal Master di I Livello in Europrogettazione e Professioni Europee che si svolgerà il 13 settembre dalle ore 10.00 alla Facoltà di Economia di Roma - Sala delle Lauree.

Sezze sarà rappresentata dal suo Assessore ai Finanziamenti Pubblici, Lola Fernandez : "Ho scelto questo tema perché credo sia importante e urgente trovare soluzioni efficaci che permettano ai comuni di accelerare la spesa del PNRR garantendo un adeguato raggiungimento di risultati. Le nostre amministrazioni locali  - afferma l'assessore - non dispongono del personale sufficiente per poter fare fronte a una corretta programmazione e implementazione del PNRR. Molti comuni sono sotto organico e con scarsa capacità assunzionale. Il PNRR deve poter finanziare personale e assistenza tecnica ai Comuni, che sono tra i principali soggetti attuatori del Piano. Un nodo normativo ancora da sciogliere ". Nel tavolo di discussione saranno presenti esperti e funzionari della Commissione Europea e IFEL, tra gli altri relatori.

 Sarà possibile partecipare al seminario in presenza, presso la Sala delle Lauree della Facoltà di Economia di Roma e da remoto al seguente link: https://meet.google.com/wnu-nbjc-zvn.

Domenica, 11 Settembre 2022 06:42

La sinistra alle elezioni

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Tu voti il 25 settembre? E per chi voti?
 
Sono le domande più ricorrenti che attraversano una larga fetta dell’elettorato, soprattutto di sinistra. Prevale disorientamento e disillusione persino tra i militanti di lungo corso.  
 
Si sente ripetere da più parti che questo passaggio elettorale è uno dei più importanti della storia repubblicana e i risultati ipotecheranno le scelte future del nostro Paese. Probabilmente è vero, ma in democrazia ogni chiamata alle urne è fondamentale, è in grado di imprimere svolte anche radicali al vivere comunitario.
 
La fine anticipata della legislatura, iniziata male e finita peggio, ha messo le destre in condizione di enorme vantaggio, perché si presentano unite, almeno apparentemente e nonostante un programma di governo obsoleto, inattuabile e scollegato dal contesto economico e sociale conseguente alla pandemia e alla crisi climatica ed energetica, acuita dalla guerra in Ucraina, ma soprattutto perché il centrosinistra si è dimostrato incapace di costruire una coalizione ampia fondata su una reale convergenza programmatica e di abbandonare inutili personalismi e ripicche personali.
 
La conseguenza è che una fetta di elettorato, profondamente insoddisfatto dell’offerta politica, soprattutto a sinistra, probabilmente non andrà alle urne, alimentando l’area dell’astensionismo che negli ultimi anni è venuto progressivamente assumendo dimensioni preoccupanti, un problema non solo italiano, ma che investe tutte le democrazie occidentali e quelle europee particolarmente.
 
La domanda, peggiore perché non retorica, è come è possibile che il campo della sinistra si sia ridotto ad un caravanserraglio tanto litigioso, in cui dominano logiche scriteriate e nessuno è disposto a far prevalere le ragioni del noi su quelle dell’io.
 
Occorre la lucidità e il coraggio di analizzare le situazioni e adottare le contromisure. Se la maggioranza dei cittadini non va a votare oppure vota la destra non è merito esclusivo della destra, quanto piuttosto dell’allentamento dei legami e in molti casi dell’abbandono del proprio popolo da parte dei partiti e movimenti democratici e progressisti. Operai, ceto medio, abitanti delle periferie avvertono come lontana dal proprio mondo, dai propri problemi e dalle proprie aspettative la proposta politica della sinistra.     
 
L’affermazione può sembrare al limite del banale ma per tornare ad essere credibile, per raccogliere consensi e vincere le elezioni, la sinistra deve tornare a fare la sinistra, riconquistando il proprio popolo di riferimento e tenendoselo stretto, prendendo atto che, a trent’anni dall’ultima ondata liberista e dalla rivoluzione digitale, quello stesso popolo, e più in generale il mondo, è profondamente cambiato. Soprattutto poi quanto avvenuto negli ultimi due anni apre scenari fino a poco tempo fa inimmaginabili.
 
È ormai convinzione diffusa e condivisa che non possiamo combattere le pandemie, l’inflazione, il cambiamento climatico, la crisi sanitaria, rinchiudendoci all’interno dei confini nazionali, come propongono più o meno esplicitamente le destre, non possiamo fare a meno dell’Europa, giustamente sospettosa dei sovranisti nostrani sino a ieri alleati di Putin. Tutto vero, tutto sacrosanto ma non basta. Se la sinistra non riparte dai cittadini, se non rimette al centro l’idea di comunità, i diritti civili e sociali, il lavoro soprattutto, che negli ultimi decenni ha subito un processo inaccettabile di precarizzazione, una riduzione spaventosa delle tutele salariali e un sostanziale ritorno a forme di sfruttamento ottocentesco, non potrà sperare di strappare consensi alle destre e vincere le elezioni.
 
Se i ceti popolari si lasciano convincere dalle parole d’ordine della destra e si schierano da quella parte è perché sono orfani di riferimenti politici e culturali forti e credibili a sinistra, se si fanno irretire dalla retorica discriminatoria e razzista alimentata dalla contrapposizione egoistica “noi / loro” con il rischio di innescare una pericolosa guerra tra poveri e più poveri, italiani / immigrati, è perché non si sentono rappresentati e tutelati dalla sinistra e non vedono alcuna possibilità di riscatto al proprio orizzonte.
 
Serve insomma una sinistra che non sia solo ceto politico che si alimenta di se stesso e si compiace per la propria bravura, ma sia capace di una progettualità radicale nei valori e innovativa nei metodi, che rimetta al centro la partecipazione dei cittadini, che si faccia prossima, casa per casa, strada per strada, quartiere per quartiere, a quanti vivono situazioni di sofferenza sociale ed economica e combatta ogni tipo di discriminazione a partire da quelle di genere.
 
Servono idee chiare sulle priorità, senza scimmiottare modelli sperimentati in altri paesi e dimostratisi ampiamente fallimentari, senza fare della cosiddetta agenda Draghi una sorte di totem intangibile e il proprio esclusivo orizzonte politico e programmatico, in quanto costituisce un compromesso tra partiti tra loro assai distanti politicamente e sicuramente non è adeguata a costruire una società autenticamente solidale ed egualitaria.  
 
Occorre proporre contenuti che sfidino lo status quo e costruiscano i necessari addentellati sociali e una idea credibile di avanzamento e di progresso.
 
In questa tornata elettorale la sinistra parte svantaggiata. Tutti i sondaggi danno ampiamente avanti le destre, ma in politica non esistono vincitori e vinti designati e preconfezionati. Il vero perdente è chi rinuncia a combattere. I voti vanno contesi e conquistati uno ad uno attraverso il confronto personale e diretto, non affidandosi unicamente ai social e ai mezzi di comunicazione.
 
In ogni caso, qualunque sarà il risultato elettorale, la sinistra ha davanti a sé il compito difficile di ricostruirsi su basi nuove e deve farlo in modo audace, osando per essere all’altezza delle sfide.  
Martedì, 06 Settembre 2022 07:07

Le truppe cammellate son finite!

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Cosa succede dentro il Pd di Sezze? Succede che il partito è in grave difficoltà e tradisce una divisione interna già evidente nell’ultimo congresso che ha eletto la nuova segretaria e il direttivo. La delusione per una linea politica scialba e incerta non arriva però dalla cosiddetta minoranza del partito ma proprio da chi ha sostenuto la mozione della segreteria. L’ultima riunione tenutasi pochi giorni fa, infatti, è stata disertata da un gruppo importante di autorevoli esponenti del direttivo che fa pensare (solo pensare) ad una presa di distanza evidente. Una sorta di sfiducia politica verso la segretaria ed il suo primo sostenitore e mentore Salvatore La Penna? Difficile dirlo ma la delusione è sicuramente tanta, i ripensamenti pure, anche perché in politica tra atteggiamenti diplomatici e posizioni ambigue la differenza c’è ed è palese. Il tirare a campare fino alle prossime scadenze elettorali è strategico solo per chi pensa di autogestire liberamente una storia politica in nome di un simbolo di appartenenza popolare. Non è così. Gli anni delle truppe cammellate son finiti e di danni ne ha fatti già abbastanza. Vedremo se passata anche questa buriana tornerà la bonaccia o se invece ci saranno conseguenze.

 

 

Alla scoperta degli extravergini e dei prodotti della Ciociaria. Organizzato dal Capol (Centro assaggiatori produzioni olivicole di Latina) in collaborazione con l'Azienda agricola Antonio Genovesi di Boville Ernica  e il patrocinio dell'Acap (Associazione Capi panel  riconosciuti) si svolgerà, sabato 10 settembre,  a Boville Ernica, in provincia di Frosinone,  “Oleario”, la rassegna degli oli del territorio. A chiudere la mattinata dell'evento, sarà l'incontro “Un filo d'olio per la nostra salute” in cui il dottor Alessandro Rossi parlerà delle proprietà degli extravergini.  Evento che invece inizierà con la visita  al Museo dell'olio e dell'olivo. Seguirà  “Assaggiatore per un giorno”, un'iniziativa in cui verranno fatti degustare e conoscere gli oli delle varietà Moraiolo, Istrana, Ascolana tenera, Nocellara, Coratina,  Marina e Ciera. In pratica, si tratterà di un confronto fra tutti questi extravergini guidato da Luigi Centauri e Giulio Scatolini, due Capi panel. Alcuni di questi oli poi verranno abbinati  ai piatti del tipico pranzo che si terrà nel ristorante “Il frantoio”. Tornando al Museo dell'olio e delle olivo si trova nel frantoio  dell'Azienda agricola di Antonio Genovesi. Si tratta di una piccola struttura in cui vine custodito  un  vecchio frantoio del 1952 e alcuni manufatti della cultura olivicola ed agricola ciociara.  Ospita anche una a biblioteca agricola, liberamente consultabile, composti di testi che vanno dai primi anni del 1900 ai nostri giorni. Il frantoio di Genovesi si trova nel centro di Boville Ernica ed è l’unico visitabile dei sei frantoi un tempo attivi all'interno del perimetro delle mura del paese. L’attuale sito è stato costruito nei primi anni cinquanta del secolo scorso da Antonio, nonno del titolare dell’Azienda, con le sue sorelle ed il fratello. Dalle ricerche nell’archivio storico della famiglia ed anche in seguito al restauro dei locali, è emerso che esso è il frutto di un ampliamento di un precedente frantoio a trazione animale, già attivo nei primi decenni del millenovecento, con macina a terra e successivamente elettrificato negli anni trenta. L’attività di molitura è stata portata avanti fino ai primi anni Novanta del secolo scorso da Arcangelo, papà del titolare e quindi sospesa. Oggi la struttura è stata totalmente recuperata attraverso un impegnativo restauro conservativo. La rassegna si concluderà con la visita guidata dall'architetto Paola D'Arpino  nel centro storico di Boville Ernica. 

Lunedì, 05 Settembre 2022 06:13

Non sparate sul Reddito di Cittadinanza

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Il Reddito di cittadinanza (RdC) è uno degli argomenti più dibattuti della campagna elettorale, talmente ideologizzato e divisivo da essere usato dalle forze politiche per dichiarare come si schierano, per lo più prescindendo da un’adeguata conoscenza dei dati empirici e dei meccanismi di funzionamento.
 
Il centrodestra nel suo programma ricorre ad una frase liquidatoria: “Sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”. La parte destruens è chiara, quella construens è lasciata all’immaginazione.
 
Il M5s, sotto il titolo Rafforzamento del Reddito di cittadinanza, si limita a scrivere: “Misure per rendere più efficiente il sistema delle politiche attive. Monitoraggio delle misure antifrode”. Vengono ribadite la prevalente definizione del RdC come politica attiva del lavoro più che di contrasto alla povertà, ignorando che non sempre avere un lavoro significa uscire dall’indigenza, e l’idea che il problema nella sua attuazione, oltre alla mancanza di politiche attive, sia la tendenza all’imbroglio dei beneficiari.
 
La coalizione Italia Viva - Azione, abbandonato il vecchio progetto di Renzi di referendum abrogativo, intende proseguire nell’azione restrittiva già messa in atto dal governo Draghi e prevedere la sospensione del RdC in seguito al primo (non più al secondo) rifiuto di una proposta di lavoro, l’introduzione di una soglia massima di due anni per trovare un’occupazione, dopo di che applicare delle decurtazioni, a prescindere se sia stata o meno ricevuta una proposta di lavoro e se i beneficiari siano stati affidati ai servizi sociali comunali.
 
Il Pd e il centrosinistra propongono di eliminare la penalizzazione dei minori e delle famiglie con minori, di ridurre la durata del requisito di residenza per gli stranieri e, seguendo l’indicazione della Commissione sul lavoro povero, di introdurre, accanto al salario minimo, un’integrazione per lavoratori e lavoratrici a basso reddito, trasformando in questo senso anche il RdC, per non scoraggiare l’accettazione di una occupazione anche a tempo parziale.
 
Idee precostituite, generalizzazioni, informazioni parziali e infondate dominano il dibattito politico. L’obiettivo è orientare il voto dei cittadini con messaggi semplificati e accattivanti al di là del merito, dei contenuti e della fattibilità delle proposte.
 
Pur essendo politicamente distante dal M5s ritengo l’introduzione del Reddito di Cittadinanza, una misura invero analoga ad altre già esistenti da tempo in Europa, un passo importante per la tutela dei diritti dei cittadini. Negli anni della pandemia si è rivelato fondamentale per evitare la caduta in povertà assoluta di oltre un milione di persone e sicuramente continuerà ad esserlo nella situazione attuale di incertezza economica per la crisi energetica, la rapida crescita dell’inflazione e il perdurare della guerra tra Russia ed Ucraina. Questo non significa che non sono necessari interventi migliorativi per renderlo più equo ed efficace e chiarirne compito e funzione.
 
Nelle intenzioni del legislatore il RdC doveva essere sia una misura di contrasto alla povertà che una politica attiva del lavoro. Tuttavia, dato che come politica attiva del lavoro si rivolge solo agli indigenti, è nei fatti una misura di contrasto alla povertà. Le politiche attive del lavoro, rivolte a quanti sono considerati occupabili e vincolati a firmare un patto per il lavoro, svolgono principalmente l’attività di lotta alla povertà, tenendo conto delle specificità e creando le condizioni affinché i Centri per l’Impiego assolvano concretamente e non sporadicamente una funzione attiva per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
 
Questione assai dibattuta è se il RdC scoraggi dall’accettare un lavoro regolare e/o incentivi il lavoro nero. Secondo gli ultimi dati messi a disposizione da ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro), meno della metà dei fruitori, tenuti al patto per il lavoro, è definibile vicino al mercato del lavoro e spesso si tratta di persone con qualifiche molto basse. La stragrande maggioranza ha avuto esperienze lavorative in costanza di recezione del RdC, anche se non sempre come esito del patto per il lavoro sottoscritto e della presa in carico da parte di un Centro per l’Impiego. Parte rilevante dei beneficiari erano occupati al momento del riconoscimento del beneficio, ma non percepivano salari sufficienti per uscire dalla povertà, ancor più poi perché in possesso di basse qualifiche e prevalendo i contratti a termine, spesso brevissimi: quasi il 69% non superava i 3 mesi e più di 1/3 1 mese. Gli elementi acquisiti dimostrano che il RdC non disincentiva dal cercare e accettare un’occupazione, anche molto temporanea, ancor più poi che l’importo medio di cui beneficia una famiglia (non una persona sola) è di € 570,00 al mese, abbastanza poco da rendere allettante un lavoro a tempo pieno remunerato con salario legale, che garantisca un’autosufficienza accettabile sia sul piano remunerativo che su quello dell’orizzonte temporale.
 
Sui giornali, sui social e in televisione assistiamo quotidianamente al coro unanime di tanti imprenditori che lamentano la difficoltà di reperire personale per colpa del RdC, in particolare per i lavori stagionali. Hanno facile gioco ad aizzare populisticamente le folle contro gli sfaccendati che rifiutano un lavoro sicuro, ancorché stagionale, a fronte del divano di casa propria. Tuttavia sarebbe opportuno e meno demagogico sostituire all’indignazione la riflessione su cosa sia diventato o stia diventando il lavoro, con i diritti acquisiti in decenni di battaglie e oggi riportati al livello di due secoli fa, non solo per i lavoratori temporanei ingaggiati per 2 o 3 euro all’ora, ma anche per quanti sono regolarmente contrattualizzati.
 
A difendere il RdC sono oggi soprattutto la società civile organizzata, dalla Caritas ad Alleanza contro la povertà, insomma quanti si occupano concretamente di temi come indigenza e disuguaglianze. Un segnale inequivocabile ed ulteriormente preoccupante del distacco della politica, soprattutto quella che dovrebbe stare dalla parte dei più deboli.
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