Rispetto a molti linguaggi artistici, la danza è probabilmente uno dei più difficili da comprendere, perché richiede una conoscenza del suo “vocabolario gestuale”.
Vedere uno spettacolo di danza non è come ascoltare un concerto di musica o ammirare un dipinto nei suoi dettagli e colori.
Le emozioni che trasmette la danza arrivano attraverso il movimento, l’espressività e la coordinazione del ballerino, spesso poco comprensibili per i non addetti ai lavori.
Questo mondo quasi impenetrabile, però, diventa accessibile a tutti quando si ha la fortuna di incontrare artisti speciali, straordinari, che con grazia e semplicità donano le chiavi di accesso per capire e vivere questa magnifica esperienza che si chiama danza.
A me personalmente è capitato questo. Mi sembrava quasi arduo il compito di seguire uno spettacolo di danza e, di conseguenza, di emozionarmi. Era faticoso e pesante, fino a quando ho incontrato il Maestro Vincenzo Persi, o meglio: fino a quando ho assistito, imbambolato, alle sue coreografie e ai suoi spettacoli.
L’emozione è stata forte, semplicemente perché il Maestro Persi mi aveva – e ci aveva – donato con semplicità quei codici indecifrabili fino a quel momento.
Conosco Vincenzo da una vita. Siamo cresciuti tra la polvere delle stradine di località Crocevecchia e la puzzolana dei primi campi da gioco. Abbiamo condiviso l’adolescenza e siamo cresciuti con le ginocchia scorticate. Poi la vita è andata avanti, siamo diventati adulti e abbiamo preso strade diverse.
Oggi Vincenzo Persi è danzatore, coreografo e direttore artistico. Ballerino professionista, ha costruito un percorso artistico solido e trasversale che fonde danza, teatro e pedagogia, con una visione profondamente umana e sociale dell’arte. Lavora e ha lavorato con alcune delle più importanti compagnie italiane. Al Teatro dell’Opera di Roma danza in Carmen e Tristano e Isotta, con la regia di Pier’Alli e le coreografie di Simona Chiesa.
Ha preso parte a produzioni come Canto (Compagnia “Nudi” – Padova), Antichi (Compagnia Nazionale del Balletto), Via col vento (Compagnia Euroballetto), Padam Padam… Piaf (Theatre Dance Company), interpretando il ruolo solista di Marcel Cerdan; La bisbetica domata (Korper Dance Company); Eros e Thanatos, Cleopatra – Il potere dell’amore, Il potere contro l’amore (Danzatori Scalzi di Patrizia Cerroni), Malgré Tout, Saligia e altri.
È stato diretto da coreografi e registi di fama come Laura Pulin, Giacomo Molinari, Renato Greco, Arturo Cannistrà, Maria Teresa Dal Medico, Giuseppe Parente, Silvio Oddi, Sonia Nifosi e Patrizia Cerroni, danzando spesso in ruoli solistici in contesti professionali di rilievo nazionale.
Parallelamente, studia teatro con approfondimenti specifici sul linguaggio attoriale. Si forma con l’attrice e pedagoga teatrale Jorgelina De Petris, perfezionando le sue competenze nel teatro fisico e nella narrazione scenica.
Nel 2013 fonda la GKO Company, compagnia da lui diretta, dedicata alla produzione di spettacoli che uniscono danza, teatro e contenuti pedagogici e sociali. La compagnia realizza progetti di grande impatto come Renata, performance dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne, rappresentata in scuole e teatri del Lazio. Tra le sue altre creazioni: Saligia – I sette peccati capitali, Grow Up Renata, La Gabbianella e il Gatto, Che musica, Maestro!, The Doors, Emozioni spericolate e molte altre. È inoltre fondatore e direttore della scuola d’arte Magazzino – Centro Studi d’Arte di Sezze, e co-fondatore del Centro Yoga Sezze.
Quando hai capito che volevi diventare un ballerino professionista?
“Non l’ho capito subito, perché avevo iniziato a danzare tardi. Il primo barlume è arrivato quando sono stato ammesso al corso di avviamento professionale dell’Associazione Italiana Danzatori, finanziato dal Ministero dei Beni Culturali.
Ma finché non ottieni un contratto, hai fatto ‘solo’ il tuo compito da studente: sale la paura e continui a pensare che sia difficile accedere a quel mondo.
Dopo quindici giorni dal diploma, invece, mi presentai a un’audizione quasi incoscientemente, e la fortuna volle che venissi subito scritturato dal Teatro dell’Opera di Roma, con un contratto di otto mesi per l’opera lirica Carmen di Bizet.
Con un contratto in mano, ho iniziato ad avere accesso alle lezioni riservate ai professionisti e incontravo persone che prima vedevo solo in teatro, in TV o al cambio di sala, come Rossella Brescia, Mario Marozzi, Alessandro Molin, Mario Piazza e tanti altri primi ballerini e maestri importanti.
Per fare un paragone calcistico, c’era la Serie A e la Champions League.
È lì che è iniziata la vera formazione, anche solo osservando quella perfezione tecnica, rubando con gli occhi. Avevo messo piede in un mondo: quello della danza, e avrei voluto farne il mio mestiere per tutta la vita.”
Come è stato il tuo primo approccio alla danza?
“Il mio percorso nella danza è stato piuttosto accelerato. La mia prima lezione, funk e hip hop, l’ho fatta per gioco con la maestra Iole Costantini, a 19 anni.
Successivamente ho iniziato a lavorare come cubista nelle discoteche e ho scoperto che, effettivamente, mi piaceva esibirmi e ballare.
Così mi sono iscritto alla scuola storica di danza del mio paese, diretta dalla maestra Romina Di Nottia.
Sono rimasto poco tempo lì, ma ho acquisito i primi rudimenti della tecnica Matox, che qualche tempo dopo, nel 2008, ho ritrovato al Teatro Greco di Roma, diretto dal Maestro Renato Greco e dalla Maestra Maria Teresa Dal Medico. Per la loro compagnia ho lavorato per tre stagioni, ballando il repertorio Malgré Tout di danza jazz e poi Eros e Thanatos, con le coreografie del Maestro Vincenzo Gentile, in cui ricoprivo il ruolo di Thanatos.
Dopo Sezze, ho studiato a Latina con Barbara Tudini, che mi ha introdotto al classico, e con Annamaria Mecozzi, che mi ha guidato nella danza jazz e contemporanea.
Devo molto a loro: mi hanno fatto conoscere il Maestro Tuccio Rigano – che poi mi portò a Roma per le audizioni dell’avviamento professionale – e il Maestro Silvio Oddi, esempio straordinario di tecnica e professionalità.
Con Silvio Oddi ho poi lavorato come ballerino in un film di cui era il coreografo e, successivamente, sono stato introdotto da lui alla compagnia NUDI (Nuova Danza Indipendente) al Teatro Verdi di Padova, diretta da Laura Pulin. Ed è così che è partita la mia carriera professionale.”
Qual è stato il ruolo o lo spettacolo più significativo per te?
“Ho ricoperto molti ruoli nella danza, ognuno dei quali mi ha permesso di crescere sia a livello tecnico che espressivo.
Con la compagnia Danzatori Scalzi di danza contemporanea, diretta da Patrizia Cerroni, ho interpretato Antonio in Antonio e Cleopatra e Mario Cavaradossi in Tosca.
Ho vestito i panni di Thanatos nello spettacolo Eros e Thanatos con il Teatro Greco di Roma, e ho interpretato Marcel Cerdan, l’amante di Édith Piaf, nello spettacolo dedicato alla cantante con la compagnia di Sonia Nifosi.Potrebbe sembrare bizzarro, ma il personaggio che ha fatto scattare in me una profonda ricerca espressiva e interiore nella mia danza e nel mio stile è stato Mark, di After the End, opera di Dennis Kelly.
Ho interpretato questo personaggio durante una parentesi particolare della mia vita.
Forse cercavo di più…
Mentre lavoravo come ballerino professionista studiavo anche teatro a Roma con Jorgelina De Petris, casting director.
Lo studio di questo personaggio e la guida di Jorgelina hanno rivoluzionato totalmente il mio lavoro da coreografo e interprete.
Questo percorso di un anno mi ha permesso di “scendere” dentro di me, in un mondo fino ad allora inesplorato: la danza non era mai arrivata a tale profondità… e lì desideravo portarla.
Grazie a questa nuova visione e alla ricerca della naturalezza, ho trasformato il mio modo di percepire il movimento nella danza.
Ho modificato il modo con cui voglio comunicare attraverso di essa.
Questo miscuglio di sensazioni ed esperienze, di tecnica e movimento, di teatro e danza, ha generato un linguaggio personale che, anche a distanza di dieci anni, continuo a esplorare.
Grazie, Mark. Grazie, Jorgelina.”
La parte più bella e quella più difficile del tuo lavoro ?
“La danza è stata ed è il mio linguaggio, il modo più autentico per raccontarmi senza usare parole.
Ogni volta che salivo sul palco sentivo la vita scorrere in ogni gesto, in ogni respiro.
Le audizioni, le prove infinite, i ruoli conquistati con fatica — tutto aveva un senso quando le luci si accendevano e il sipario si apriva.Ma la gioia più grande è arrivata quando ho creato la mia scuola e la mia compagnia.
Lì ho capito davvero cosa significa lasciare un segno.
Insegnare non è ripetere dei passi: è trasmettere un’anima, una sensazione, un’emozione che viaggia da un corpo all’altro.
La danza non nasce dai libri, nasce dal cuore, dal coraggio, dalla disciplina e dalle ferite che diventano arte.
Vedere nei miei allievi la scintilla che un tempo avevo negli occhi io è stata la mia più grande vittoria.La parte più difficile?
La strada non è stata facile. Ci sono stati momenti in cui il dolore degli infortuni sembrava insopportabile, momenti in cui non venivo scelto alle audizioni e dubitavo di me stesso.
Ho conosciuto la solitudine, la paura di non farcela e la fatica di ricominciare ogni volta da zero.
Ma la danza mi ha insegnato a rialzarmi sempre, a trasformare ogni caduta in forza.
Oggi, guardandomi indietro, so che rifarei tutto.
Perché la danza non è stata solo un lavoro: è stata la mia vita.”
Quale consiglio daresti a un giovane che sogna di diventare ballerino?
“Prima di tutto: credici sempre.
La danza è una strada meravigliosa ma impegnativa, fatta di disciplina, costanza e sacrificio.
Se senti davvero questa chiamata, non permettere a nessuno di spegnere il tuo sogno.Allo stesso tempo, però, è fondamentale essere realisti: il talento non basta, serve un metodo, una solida formazione tecnica e mentale.
Scegli con attenzione le scuole in cui studiare.
Non basta uno specchio e una sala: serve qualità, rigore e serietà.
Un maestro può essere bravissimo, ma nelle scuole “normali” deve adeguarsi al livello medio della classe.
Questo significa che chi ha ambizioni professionali rischia di non essere spinto abbastanza.
Non è colpa del maestro: semplicemente, il 99% degli allievi studia danza per passione e nella vita farà altro, quindi l’approccio è meno intensivo — ed è giusto così, a mio parere.Per chi però sogna davvero di diventare ballerino, arriva un momento decisivo: il passaggio alle scuole professionali.
Lì cambia tutto — metodi, obiettivi, ritmo di studio, competizione.
È l’unico modo per trasformare un sogno in un progetto concreto di carriera.Ma attenzione: non bisogna mai trascurare lo studio scolastico e la formazione culturale.
Portare avanti la scuola superiore e, se possibile, anche l’università è fondamentale.
La carriera di un ballerino è bellissima ma breve, e serve prepararsi anche per il futuro: per insegnare, dirigere, fare coreografia, comunicare, lavorare nella produzione o in altri settori.
Senza testa non si va lontano — nella danza come nella vita.
Il corpo è lo strumento, ma è la mente che lo guida.”
Se non fossi diventato ballerino, cosa avresti fatto?
“In realtà ho sempre avuto più passioni nella vita, e prima della danza ce n’era una che occupava tutte le mie giornate: il basket.
A 16 anni giocavo a livello nazionale e mi allenavo ogni giorno con grande disciplina.
Amavo la competizione, l’energia del campo, il lavoro di squadra.
Se non avessi scelto la danza, probabilmente avrei continuato in quella direzione, magari come atleta o come allenatore, restando comunque nel mondo dello sport.Un’altra grande passione che ho da sempre sono i cani.
Ho un forte legame con loro, amo il loro linguaggio silenzioso e autentico, e l’idea di diventare educatore cinofilo è stata per un periodo una possibilità reale.
È un lavoro che richiede pazienza, osservazione e sensibilità, qualità che ritrovo molto anche nella danza.Nonostante la carriera artistica, non ho mai trascurato la mia formazione culturale.
Ho portato avanti l’università in Lingue e Culture Straniere, perché credo che la conoscenza sia una forma di libertà.
Studiare apre la mente, ti dà strumenti, ti permette di muoverti nel mondo con sicurezza.Alla fine, guardando queste strade diverse — sport, cinofilia, università, danza — mi accorgo che tutte hanno qualcosa in comune: richiedono passione, disciplina e dedizione.
Ma soprattutto hanno un elemento che le unisce davvero: la voglia di comunicare.
Che sia con il corpo, con la voce, con lo sguardo o con il gesto, quello che cerco in ciò che faccio è sempre lo stesso: entrare in relazione con gli altri, lasciare qualcosa, costruire un ponte.
La danza è stato il mio linguaggio, ma poteva essercene un altro.
L’importante, per me, è sempre stato comunicare chi sono e cosa penso.”
Ringrazio l’amico Vincenzo per l’immensa disponibilità e per tutto quello che fa per i nostri ragazzi.
