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Il PD tradito e smarrito

Mar 14, 2021 Scritto da 

 

 

 

Era come un liquor suttile e molle,
atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
e si vedea raccolto in varie ampolle,
qual più, qual men capace, atte a quell'uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
signor d'Anglante era il gran senno infuso;
e fu da l'altre conosciuta, quando
avea scritto di fuor: Senno d'Orlando
”.

(Ludovico Ariosto – Orlando Furioso – Canto XXXIV ottava 83).

Chiedo venia al sommo poeta Ludovico Ariosto per l’impudenza di prender spunto dai versi del suo meraviglioso poema cavalleresco e amoroso, ricco di intrecci, storie e personaggi, per introdurre un tema assai prosaico, una riflessione su presente e futuro del Partito Democratico. La poesia è fonte inesauribile di bellezza, rinfranca l’anima e ci offre anche l’occasione di riflettere sul nostro quotidiano.

All’ombra del governo di Mario Draghi, approfittando di una conflittualità politica sospesa o comunque sopita, il P.D. avrebbe potuto far tesoro di questo prezioso tempo per scrollarsi di dosso l’appannamento ideale e culturale, l’appagamento da incarichi di governo e farsi novello Cavaliere Astolfo, intraprendendo il suo viaggio verso la Luna, dove andare a ricercare la propria identità smarrita e il dismesso senso di se stesso. Purtroppo gli avvenimenti di questi giorni raccontano che nel partito invece hanno prevalso il narcisismo autoreferenziale, il cannibalismo interno, la sindrome del Conte Ugolino che lo porta a divorare i propri leader uno ad uno.

Le dimissioni del segretario Nicola Zingaretti sono conseguenza sicuramente di quel demone perenne e invisibile che periodicamente divora la sinistra e i suoi leader, ma soprattutto in questo frangente del fatto che il PD è divenuto un coacervo di correnti ingestibili, prive di politica, senza ideali e legami sociali, impegnate a occupare il potere e a dilaniarsi, lobby e camarille che mirano a veder garantito ai propri affiliati un seggio alle prossime elezioni o uno sgabello da sottosegretario e che se ne  infischiano bellamente di rispettare le regole minime di convivenza alla base di una comunità-partito. Ai notabili che tirano le fila non interessa di rischiare così di provocare il cupio dissolvi di una prospettiva politica fondamentale per la qualità della nostra democrazia, che per essere sana e funzionante deve offrire ai cittadini risposte alternative e specificamente uno spazio di rappresentanza progressista e riformista. Le polemiche incomprensibili tra cacicchi, l’invocato cambio di passo del partito o la celebrazione del congresso, pandemia permettendo, come se le primarie costituissero una palingenesi rigenerante e i gazebo una ripartenza salvifica a prescindere da valori, idee e contenuti, la battaglia per le poltrone senza esclusione di colpi sono stati comportamenti irresponsabili, prova evidente dell’inadeguatezza di politici che non hanno a cuore le istituzioni, la democrazia e il PD. Non si tratta di difendere Nicola Zingaretti o avversarlo aprioristicamente, ma di prendere atto che la politica seria è altro. Cambiare leader ad ogni piè sospinto, puntare a conquistare la plancia di comando a costo di ridurre tutto in macerie e senza alcuna progettualità raccontano una irresponsabilità e una miopia inaudite, sono una illusione di cambiamento che per essere autentico deve invece cancellare metodi indecenti e prassi incancrenite, una selezione della classe dirigente improntata alla promozione dei sodali che garantiscono fedeltà assoluta al capo di turno, anziché di quanti, a partire dai territori, hanno intelligenza, credibilità e competenze per governare la complessità del nostro tempo. La responsabilità della crisi in cui il PD si dibatte è di tutti i suoi dirigenti, nessuno escluso, per aver smarrito appunto come Orlando il “senno”, cioè gli ideali, la matrice e lo spirito originario di quanti il partito lo hanno pensato e fondato affinché fosse il luogo di incontro e sintesi di culture diverse, il fecondo crogiuolo di un moderno riformismo.

Ha ragione Mario Tronti quando afferma: “C’è un indifferibile problema di identità di quella formazione politica. Spero che, passata l’emergenza in cui siamo immersi, ci si avvii ad un congresso vero, di stampo tradizionale, a ripensamento ed elaborazione di una visione strategica complessiva riguardo alla propria presenza in Italia e in Europa. Il Pd ha bisogno, a mio parere, di trasformarsi in una forza di sinistra autenticamente popolare, perno centrale di un più vasto campo di alleanze in grado di battere sul campo una destra che riesce immeritatamente a rappresentare istanze, paure, difficoltà esistenziali, bisogni di protezione e di sicurezza, che non sono come tali di destra. Bisogna lavorare, con impegno quotidiano sul territorio, per spostare consenso da una parte all’altra. Per questo ci vuole un ritorno di partito, di forza organizzata, a tutela dei più deboli, dei disagiati, dei dimenticati”. 

Enrico Letta non ha fatto in tempo ad accettare la proposta di fare il segretario del partito che già è ripresa la battaglia in maschera delle correnti per strappare garanzie su posti e fette di potere, minacciando altrimenti di riprendere il tiro al bersaglio anche con lui. L’assurdo è che i vestali di questa pseudo politica invocano a propria giustificazione il pluralismo e la democrazia come elementi essenziali all’interno del partito, quando invece quanto da loro praticato ne è solo una caricatura. D’altra parte non è democratica e pluralista la regola d’oro che guida le correnti: la cooptazione. I nuovi dirigenti vengono scelti dai vecchi con un reclutamento su base correntizia e l’effetto è il servilismo verso i capicorrente, la continuità dei gruppi di comando, l’obbedienza anziché la competenza nella distribuzione di ruoli politici e di governo. Per rompere questo circolo vizioso, occorre ripartire dalla Costituzione, dalla moralità e dall’etica politica, dai contenuti e da una nuova classe dirigente seria. Il PD deve riconnettersi con il suo popolo, con i cittadini, definirsi e reinventarsi in termini di cultura e progettualità politica, farsi rete di una comunità con sensibilità diverse. C’è un patrimonio di intelligenze, spesso giovani, del mondo della cultura, del lavoro, del terzo settore e dell’impresa da coinvolgere, con cui mettere a punto programmi orientati alla crescita, allo sviluppo, a un serio ambientalismo, al solidarismo che non lasci spazio ai populisti nella difesa e nella rappresentanza di quanti sono rimasti indietro. Servono studio, fatica, proposte e aprirsi a quanti vorrebbero dare il proprio contributo, ma sono frenati dall’idea di entrare in un partito dove la prima cosa richiesta è scegliersi la corrente di appartenenza e non di condividere sogni e speranze. 

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