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Altro importante risultato per Rachele Petrussa, giovanissima amazzone di 11 anni originaria di Sezze, che nell’ultimo concorso Nazionale A5 disputatosi a Narni è riuscita a conquistare tre vittorie ed un terzo posto nella categoria Open nelle “100” (categoria determinata dall’altezza degli ostacoli). A Narni la piccola Rachele ha sfidato, nei tre giorni di gare, molti i concorrenti di tutte le età. Ad ogni gara la giovane amazzone setina ha sfidato circa una cinquantina di concorrenti provenienti da tutta Italia. Le vittorie sono arrivate anche grazie ai due fidati cavalli Foglia e Morita con i quali si allena quotidianamente presso il Centro Ippico Dante di Tor Tre Ponti a Latina. Con i successi ottenuti nell’ultimo torneo a Narni continuano le vittorie di Rachele Petrussa che solo nei mesi scorsi aveva già ottenuto vittorie prestigiose ad Atina, Arezzo e Cervia Insomma la piccola Rachele Petrussa non solo compete con gli adulti ma grazie ai risultati ottenuti dimostra di essere grande tra i grandi ottenendo importanti vittorie in tornei nazionali.

 

 

Fino alla metà circa del secolo scorso, il parto avveniva in casa. Il ginecologo, le ecografie, il parto indolore erano sconosciuti. Il sesso del nascituro si conosceva solo al momento del parto anche se le donne più anziane si cimentavano in pronostici secondo la forma della pancia.

Ci si affidava all’assistenza di una mammana (levatrice o ostetrica) e solo in casi particolarmente difficili si ricorreva al medico condotto, che interveniva sempre in ritardo non conoscendo le fasi della gestazione. Così molto spesso era costretto ad improvvisare vere e proprie operazioni chirurgiche in casa.

La levatrice si avvaleva dell’aiuto di un paio di donne come la madre della partoriente, la suocera, una parente, oppure una vicina. Le donne che assistevano al parto dovevano essere sposate ed avere una certa età avanzata sia per l’esperienza sia per non creare imbarazzo alla partoriente. I bambini venivano mandati fuori da qualche parente o da una vicina perché non fossero di impaccio in casa e soprattutto perché non restassero intimoriti dalle urla della madre partoriente. Alle giovani della famiglia era vietato l’accesso nella stanza della partoriente.

Avvenuto il parto si ripuliva la stanza, si rifaceva il letto con le lenzuola e la sopraccoperta riccamente ricamata, dove su due cuscini veniva adagiata la puerpera, lavata, pettinata cu gli ciuccio beglio arringriccato e con la camicia da notte nuova e ricamata. Accanto a lei il neonato o la neonata avvolto nelle fasce (poveri bambini!) con la camiciola e la bavarola.

Quando tutto era sistemato si apriva la porta e si annunciava la nascita di un pupetto o di una pupetta. Iniziavano così le visite dei parenti o delle vicine a due o tre alla volta e si intrattenevano giusto il tempo per complimentarsi per il nuovo nato e per la bella cèra  (colorito) della madre, che distrutta dai dolori del parto avrebbe solo avuto bisogno di riposare. Ma tant’è, la tradizione era questa!

Lo stesso giorno, parenti ed amici portavano in dono una gallina bella grassa per preparare il brodo, che secondo la tradizione favoriva la calata del latte, unitamente ad un buon boccale di vino rosso.

Il numero delle galline era proporzionale alla stima e al rispetto di cui godeva la famiglia del neonato e siccome il congelatore non esisteva, venivano donate vive, così da poterle ammazzare alla bisogna, tranne le prime due o tre che venivano portate già ammazzate e belle che spennate.

I neonati venivano allattati dalla mamma sino all’età di diciotto – venti mesi e quando il bambino imparava a camminare aveva spesso un fratellino o una sorellina. A due anni doveva saper fare tranquillamente tutte le sue cose perché indossava i calzoncini con la spaccazza ‘nculo. Cresceva mangiando di tutto: niente dolci, niente latte, niente carne ma solo patate e fagioli e tanta pizza roscia e paniccia quando c’era.

Occorre ricordare che un tempo si mettevano al mondo molti figli, perché la mortalità infantile era molto elevata sia per le scarse condizioni igieniche, sia per l’insufficiente nutrizione o per mancanza di adeguate cure mediche. Se una coppia non metteva al mondo molti figli rischiava seriamente di rimanere senza prole.

Da ricordare ancora che i figli maschi venivano avviati al lavoro in tenera età (dagli otto ai dieci anni) per cui si augurava alle coppie figli maschi perché aiutavano la famiglia, mentre le femmine costituivano un grande onere in quanto si doveva provvedere a farle sposare con una dote commisurata al benessere della famiglia. Infatti, ogni ragazza doveva portare in dote un raffinato corredo di lenzuola, asciugamani, federe, biancheria intima, tovagliati, fazzoletti che andavano da un minimo di 12 pezzi per singolo articolo, sino a 24 o 36 per le benestanti, Le figlie dei campéri e dei bovari arrivavano addirittura a 48.

Riguardo ai nomi da dare ai nuovi nati era tradizione per il primo maschio rinnovare il nonno paterno e e per la prima femmina la nonna materna. Per i successivi figli si ricorreva a nomi di famiglia e molto spesso i padrini e le madrine avevano facoltà di assegnare un secondo e addirittura un terzo nome.

I figli erano tanti ed esaurita la rosa dei nomi di famiglia, si ricorreva ad altri nomi come Quintino, Sesto, Settimio, Ottavio, secondo il loro ordine di nascita.

I nomi più diffusi erano Lillo (Lidano), Peppo (Giuseppe), Toto (Salvatore), Ndina (Valentina), Ndona (Antonia o Antonietta), Ndruda (Geltrude). Oggi questi nomi nella loro forma dialettale non si usano più; quello del patrono Lidano è addirittura in via di estinzione e credo che al di sotto dei cinquant’anni siano pochissimi quelli che ancora portano questo nome.

Domenica, 08 Ottobre 2023 07:15

Pizzo di Stato

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La cauzione sui migranti, introdotta da una norma a dir poco surreale e da più parti definita pizzo di stato, certifica il fallimento delle politiche di accoglienza del governo. Il burocratese dell’era Matteo Piantedosi, Ministro dell’Interno, la definisce garanzia finanziaria, ma la sostanza non cambia.
 
Nella visione politica che ispira Giorgia Meloni e i suoi ministri la libertà ha un prezzo, può essere monetizzata. Se si è migranti, arrivati in Italia con i barconi o via terra lungo la rotta balcanica da paesi considerati sicuri, e non si vuol finire nei centri di trattenimento fino a 18 mesi, in attesa di conoscere l’esito della domanda di protezione, basta sborsare 5 mila euro e il gioco è fatto. Il pagamento è a carico del richiedente, deve avvenire in un’unica soluzione e non può essere fatto per lui né da parenti e amici che sono già in Italia né che vivono nel paese d’origine. La fidejussione bancaria o assicurativa deve essere fornita entro il termine di conclusione della procedura di fotosegnalazione, fissata dalle norme europee in 72 ore dall’arrivo. Pensare che i migranti possano precostituirsi la fidejussione prima di partire o ottenerla in così poche ore è inverosimile. A meno che non vengano aperti appositi sportelli sui moli dove sbarcano, le persone soccorse dispongano di documenti validi, forniscano le garanzie necessarie per concludere un contratto bancario o assicurativo e siano in grado di capire cosa stiano facendo, è evidente che si tratta di una eventualità irrealizzabile, frutto di un approccio ideologicamente ostile, della volontà di continuare a negare la realtà, che contrasta con i più elementari principi del diritto internazionale, odiosa per il fatto di chiedere soldi a chi fugge da discriminazioni, guerre e torture e che rivela lo spessore o meglio la pochezza logica, ancor prima che intellettuale e morale, di molti esponenti del governo. Concedere la libertà a chi paga, sapendo che la richiesta di asilo sarà probabilmente respinta, poi significa solo fare cassa sulla pelle dei poveracci, ancor più che già nel corso della procedura o una volta conosciuto l’esito negativo i migranti faranno perdere le loro tracce e andranno ad accrescere l’esercito degli irregolari. E così invece di garantire un esame delle richieste celere e imparziale e nel frattempo un’accoglienza dignitosa, lo Stato si prenderà i soldi versati e sarà un problema di banche e assicurazioni recuperarli, aggredendo le eventuali garanzie fornite. Innegabilmente si tratta di una opzione più semplice e comoda piuttosto che gestire il fenomeno, garantire i diritti, tagliare i tempi della burocrazia, battersi in Europa per rivedere il sistema di accoglienza.
 
Il riferimento alla direttiva europea, che riprenderebbe misure simili previste in molti paesi per il trasferimento ordinario dei cittadini provenienti da altre nazioni, chiamati a dimostrare di potersi sostenere da soli, è inverosimile. Quelle sono norme valide in periodi ordinari, non per gestire migrazioni di massa. L’idea di applicarle in contesti totalmente diversi si fonda su una figura immaginaria di migrante, esistente solo nella testa dei nostri governanti, abituati a considerare i loro ricchi stipendi e non le condizioni concrete in cui si svolgono certi fenomeni, su un approccio ideologico retrivo, incapace di affrontare l’immigrazione con una strategia di lungo respiro e non con provvedimenti estemporanei.
 
Il tema della cauzione va valutato poi sotto un profilo giuridico e costituzionale. La sua introduzione costituisce un ostacolo in danno a quanti intendono far valere i propri diritti, che devono essere riconosciuti in seguito ad un accertamento della loro fondatezza e non sulla possibilità o meno di offrire una garanzia economica. L’asilo è un diritto codificato dall’articolo 10 della Costituzione e, come tutti i diritti, non può essere subordinato al versamento di una somma di denaro. Sotto questo profilo il Decreto Cutro si appalesa incostituzionale, fermo restando che tale dichiarazione non spetta ai giudici di merito, in quanto nel nostro Paese il sindacato di costituzionalità è affidato unicamente alla Consulta. Le disposizioni in questione confliggono anche con la normativa europea e con la sentenza della Corte UE contro l’Ungheria del 2020, Paese che aveva adottato una misura simile. In caso di contrasto con le norme comunitarie il giudice può legittimamente disapplicare le leggi nazionali. Se si tratta di un Regolamento Comunitario è più semplice, essendo immediatamente applicabile negli ordinamenti dei paesi membri, se si tratta di una Direttiva, come nel caso di specie, è più macchinoso essendo necessaria una norma interna che la recepisca, anche se è possibile e pienamente legittimo disattenderla.
 
Pertanto la decisione della giudice di Catania, Iolanda Apostolico, di disapplicare la norma interna a favore di quella comunitaria rientra pienamente nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale. Se la decisione della giudice non è condivisa può essere impugnata innanzi agli organi giurisdizionali superiori e lì far valere le proprie ragioni. È legittimo che il governo, autore della legge censurata, e la maggioranza che lo sostiene ritengano la decisione sbagliata e la critichino, ma è inaccettabile ricorrere ad argomenti privi di qualsiasi attinenza tecnico-giuridica sostanziale e cercare di screditare la giudice sul piano personale, per le sue opinioni politiche. Le istituzioni vanno tenute indenni dalla polemica politica, soprattutto quando sono in gioco le regole fondamentali dello Stato di diritto, l’autonomia e la soggezione dei magistrati solo alla legge, il principio della separazione dei poteri e della leale collaborazione tra gli stessi. Sfugge alla Presidente del Consiglio, ai suoi ministri e alla maggioranza che nel nostro ordinamento i magistrati devono applicare la legge, sempre che non contrasti con la Costituzione o le norme europee, e non essere accondiscendenti con la volontà del governo e funzionali a perseguirne gli obiettivi politici. 
 
In attesa di una pronuncia formale della Corte Costituzionale, non può essere taciuto poi il vizio di fondo del Decreto Legge Cutro e dei due successivi, approvati dal governo per fronteggiare il boom di sbarchi a Lampedusa, e precisamente l’illegittimità  dell’automatismo per cui chiunque entra in Italia illegalmente deve essere trattenuto. Al di là del fatto che si tratta di una impostazione politicamente sbagliata, è innegabile che contrasti con la Costituzione, la giurisprudenza della Corte Costituzionale, le norme dell’ordinamento internazionale e le pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che riconoscono e tutelano il diritto delle persone a migrare. A ciò si deve aggiungere che la Consulta ha affermato in numerose pronunce che il trattenimento amministrativo va considerato non una modalità ordinaria di trattare i cittadini stranieri, ma una misura eccezionale in ossequio all’articolo 13 della Carta: “Non è ammessa forma alcuna di detenzione se non per atto motivato dell’Autorità Giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.

 

Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Luigi De Angelis, esponente del Pd di Sezze.

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La nostra città è investita da gravi criticità e l'unica risposta di chi amministra è una sostanziale inerzia, una incapacità conclamata nel trovare risposte e soluzioni adeguate ai problemi.
Occorre coraggio e lungimiranza, visione politica e progettualità serie in grado di ricostruire il tessuto sociale sfilacciato, di recuperare il senso di appartenenza ad una comunità intorno ad obiettivi possibili e condivisi.
L'elemento più preoccupante è il degrado generale e lo stato di abbandono sia delle periferie che del centro cittadino, i rifiuti abbandonati in ogni angolo, la sporcizia, l'incuria e l'assenza di manutenzione minima.
Lo scarso senso civico di tanti cittadini spiega solo in parte la situazione, che ha la sua causa più importante nelle scelte politiche e amministrative portate avanti in questi ultimi tempi.
Abbiamo assistito al potenziamento del management della SPL SpA, con l'assunzione di diverse figure dirigenziali e con diversi incarichi esterni, a cui ha fatto da contraltare una riduzione dei servizi offerti, dal taglio di qualche corsa degli scuolabus alla difficoltà di raccogliere i rifiuti per strada. La conseguenza di queste scelte lontane da ogni logica di buona amministrazione è stata l'aumento della tassa sui rifiuti, una sottrazione di denaro dalle tasche dei cittadini per sostenere decisioni inutili e dannose. La ciliegina sulla torta è stata per giunta la contrazione della percentuale di raccolta differenziata che passa dal 37,92% del 2021 al 35,36% del 2022. Invece di migliorare grazie a tutti i nuovi manager la situazione peggiore... È evidente che serve un cambio di passo politico e amministrativo. Il tempo delle chiacchiere e del dare la colpa a quelli di prima è finito ormai e chiari da parte di tutte le forze serie e responsabilità dentro e fuori le istituzioni cittadine.

 

 


I consiglieri comunali di opposizione Di Palma, Quattrini, Di Raimo e Uscimenti hanno protocollolato una mozione per proporre all'assise cittadina la sospensione dell'esecutività della delibera di consiglio del 31 luglio scorso avente ad oggetto il “Regolamento rilascio contrassegno per disabili”.
Per i consiglieri firmatari è necessario “rimuovere tutti i contenuti del regolamento che non rispecchiano le reali esigenze delle persone direttamente interessate e non, e che sono contrari alla realizzazione del pieno rispetto della dignità umana e della libertà delle persone disabili, e che sono altresì contrari alla loro piena integrazione nella società e di tutti i loro diritti”.

I consiglieri chiedono pertanto la convocazione entro 20 giorni di una seduta consiliare ad hoc per tutte le motivazioni riportate. A generare polemiche e un certo sconcerto l'art  8 del Regolamento approvato che prevede espressamente che “gli stalli di sosta destinati ai portatori di handicap possono essere assegnati e numerati ad personam solo agli aventi requisiti in possesso di brevetto di guida ed intestatari del mezzo” , passaggio questo che non tiene conto di frasi del Tar avverse ad un codice della strada alquanto datato. 

Va detto che i firmatari della mozione, ad eccezion fatta di Di Raimo, votarono questo regolamento, non rendendosi conto evidentemente di quanto discriminatorio fosse questo articolo.

 

 

La nota del sindaco di Sezze Lidano Lucidi in merito al progetto di valorizzazione dell’area a ridosso dell’ex cava Petrianni all’interno della quale sono contenute diverse impronte di dinosauro.

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“Si sta procedendo alla stesura del progetto esecutivo con l’ausilio e il fondamentale supporto del dipartimento di Scienze della Terra dell'Università La Sapienza con cui il Comune di Sezze ha, nel frattempo, stipulato un protocollo di intesa. Stiamo inoltre lavorando alla predisposizione del progetto per la fruizione del sito mediante progettazione di un percorso didattico divulgativo. È stato dato incarico ad una società di perforazione e laboratorio geotecnico per il prelievo di campioni di roccia da sottoporre a specifiche analisi geomeccaniche per la predisposizione di un progetto per la messa in sicurezza della parete rocciosa prospiciente le superfici ad impronte, mediante imposizione di rete paramassi. Si sta predisponendo il progetto definitivo – ha concluso il sindaco di Sezze  –  per rendere esecutivo il progetto ci si avvarrà di ricercatori. L’area è stata acquisita dall’ente ed è stato approvato il regolamento del monumento naturale di cui il Comune di Sezze è responsabile”.

 

 

Così come l’anno passato, nell’ambito della Secolare Fiera di San Michele di Sermoneta, che si è svolta dal 28 settembre al 1 ottobre nell’Area mercato di Monticchio, si è tenuto il Concorso comunale “L’Olio delle Colline a Sermoneta”, organizzato dall’Amministrazione comunale in collaborazione con il Capol (Centro assaggiatori produzioni olivicole di Latina). Questi i vincitori: al primo posto si è piazzato l’Agriturismo La Valle dell’Usignolo, al secondo la Società  agricola Palmerini 1931 e al terzo l’Abbazia di Valvisciolo. Mentre le “Menzioni di merito” sono state assegnate alla Tenuta Paola Boffi, a Sergio Gobbi, a Diversamente Agricola di Carmela Parisi, a Loretta Proia, a Franco Santucci e a Impresa agricola Diamante Verde di Antonio Tombolillo. Il concorso era rivolto ai produttori e agli olivicoltori del territorio di Sermoneta. Gli oli in gara sono stati giudicati  da un panel di assaggiatori  dello stesso  Capol,  guidato da Luigi Centauri, capo panel. Alla premiazione dei vincitori, avvenuta sabato scorso, erano presenti Nicola Minniti,  Bruno Bianconi e  Antonio Di Lenola rispettivamente vicesindaco, assessore all’Agricoltura e presidente del Consiglio comunale di Sermoneta, Alberto Bono, agronomo,  e lo stesso Luigi Centauri, presidente del Capol.  Alla fine della stessa premiazione sono state consegnati gli attesti ai trentadue olivicoltori di Sermoneta  partecipanti al corso di gestione dell’oliveto. “Il successo di questo concorso hanno affermato il sindaco di Sermoneta Giuseppina Giovannoli e l’assessore Bianconi -  dimostra la grande varietà di eccellenze presenti sul nostro territorio. Come Amministrazione comunale  continueremo a promuovere e sostenere queste iniziative che mettono  in risalto le produzioni locali, esaltandone il valore e la tipicità . Congratulazioni a tutti i partecipanti, siete una risorsa preziosa per Sermoneta”. Durante i quattro giorni della Fiera, lo stesso Capol ha organizzato l’evento “Assaggiatore per un giorno”, la degustazione degli oli in gara abbinati alla zuppa di fagioli e l’assaggio professione delle olive Gaeta Dop e Itrana bianca. Circa l’evento “Assaggiatore per un giorno”, sono stati protagonisti i consumatori, che guidati dagli esperti del Capol, hanno cercato di imparare a riconoscere un olio di qualità. Anche riguardo alle olive, gli esperti hanno fornito il modo per riconoscerne la qualità, oltre a illustrarne le caratteristiche.  Da ricordare che la Fiera, come sempre, è stato organizzata dall’Amministrazione comunale di Sermoneta con il contributo dell’Arsial (Azienda regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio). Sono stati quattro giorni intensi tra mostra mercato, enogastronomia, prodotti tipici, ristorazione, convegni, presentazioni di libri, spettacoli equestri e concerti.

 

 

Da diversi mesi assistiamo ad uno scontro a pallonate per modificare lo statuto dell’ATO4. I partiti sono capaci di agitarsi per questioni di lana caprina mentre per quelle sostanziose si auto anestetizzano per divenire semplici spettatori. Ma i sindaci si rendono conto in quale stato si trovano i cittadini per tutto quello che subiscono? La vendita delle quote dei soci privati senza averla discussa nei consigli comunali, i difetti della gestione riguardanti tariffe che strozzano famiglie, per non parlare del caro bolletta e delle perdite in rete. Il comitato Acqua Pubblica chiede al sindaco di Latina e al presidente della Provincia di convocare un’assemblea provinciale per l’adeguamento dalle norme di legge per riavere il servizio come bene comune di questa Provincia. Per queste e altre ragioni, a partire delle voci pregresse in bolletta e dell’estorsione a Sezze di 4 milioni di euro, il portavoce del comitato Paolo Di Capua annuncia la cosiddetta operazione “Apache” per ottenere le somme dovute da Acqualatina.

 

 

La provincia di Latina ha risposto con entusiasmo alla chiamata di Plastic Frre, dimostrando un forte impegno nella lotta contro l'inquinamento da plastica. Grazie alla partecipazione di oltre 200 volontari distribuiti in 6 città, nel fine settimana appena trascorso è stato possibile raccogliere oltre 3 tonnellate di rifiuti.

A Sabaudia, con 110 volontari, nel suggestivo bosco in via Vicario, sotto la guida dei referenti Adriano e Silvia Salvatori, sono state raccolte ben 2 tonnellate e mezzo di rifiuti, tra cui oggetti ingombranti come televisori, frigoriferi, congelatori, WC domestici e persino uno scaldabagno. Questo successo è stato reso possibile grazie alla preziosa collaborazione di numerose associazioni, tra cui “Natura Noi,” “Circeo Attivo,” “Qua la Zampa Latina,” “Noi Siamo i Giovani di Sabaudia,” “Ludofantasy Sabaudia,” “AMare,” “Latinautismo,” “Polvere di Fate,” “Guardia Agroforestale Provinciale,” “Croce Rossa Italiana Comitato di Latina,” e “I Liberi Netturbini Potini. Inoltre nell’ambito dell’iniziativa a Sabaudia è stato presentato il libro “a scuola di rifiuti zero “ scritto e presentato da Filomena Compagno dell’associazione I volontari rifiuti zero e Giulio Verdecchia, dell’associazione Liberi netturbini pontini, ha mostrato il cartellone della sughereta di Mezzomonte con tutti i tragitti trekking e bici  ideato da lui con tanto di cartine .

A Latina, l’attenzione è stata focalizzata sul problema delle MICROPLASTICHE. Grazie all’impegno di Virginia ed Elena Fiorini, è stato organizzato un evento in spiaggia presso la località Rio Martino, con l’obiettivo di rimuovere il maggior numero possibile di microplastiche. Durante l’evento, sono stati raccolti numerosi bastoncini di cotton fioc , tappi di plastica, cicche di sigarette e frammenti di plastica, per un totale impressionante di 30 kg di microplastiche, con la partecipazione di 15 volontari

A Fondi, nonostante il caldo, 22 volontari  sotto la guida di Tina di Fazio hanno preso parte all’azione in Via Roma, località Ponte Selce, riempiendo oltre 10 sacchi di rifiuti equivalenti a 100 kg. La partecipazione entusiasta di cittadini, compresi i bambini, ha suscitato l’apprezzamento dei passanti. Alla fine della raccolta, ogni volontario ha ricevuto una borraccia NATURASI in segno di gratitudine.

A Lenola, durante il suo primo evento organizzato da Francesco Guglietta nel boschetto di via San Martino, i volontari hanno affrontato una situazione preoccupante: una famiglia di ricci aveva costruito la loro tana sotto a un vecchio materasso, circondata da buste di plastica. Con il lavoro di 35 persone e l’aiuto dei bambini, sono stati rimossi 250 kg di rifiuti, tra cui 9 copertoni, un lavandino da cucina completo e numerosi oggetti ingombranti. Questo primo evento è stato un grande successo e ha visto la collaborazione dell’associazione “Carpe Diem” e delle “Guardie Ambientali d’Italia.

A Pontinia, Daniela Lombardi ha organizzato una meravigliosa passeggiata ecologica nei dintorni di Piazza Roma, che ha portato alla raccolta di 400 kg di rifiuti, grazie alla partecipazione di oltre 50 volontari. È stato un segno tangibile della sensibilizzazione della comunità verso questa causa importante.

Purtroppo Maenza è stata colpita da una notizia tragica, la morte di un ragazzo di 24 anni mentre era a lavoro; per questo i referenti Eleonora Rossi e Gianfranco Iagnocco hanno deciso di annullare l’evento in programma e di rinviarlo alla prima data disponibile, per rispetto della famiglia e del caro amico Ludovico!

“Questi risultati  - affermano gli organizzatori - dimostrano l’importanza della collaborazione tra comunità, associazioni e volontari nell’affrontare la sfida dell’inquinamento da plastica e nell’educare la società verso un futuro più sostenibile e privo di plastica. Continueremo a lottare per un ambiente più pulito e salutare per tutti”.

Domenica, 01 Ottobre 2023 06:49

Giorgia alla crociata

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La notizia è rassicurante: Dio veglia su di noi, ma su di Lui veglia Giorgia Meloni!
 
La nostra Presidente del Consiglio, in visita a quel grande galantuomo e sincero democratico di Viktor Orbàn, Primo Ministro dell’Ungheria, ha proclamato di essersi assunto il gravoso compito di difendere Dio e la famiglia, di combattere l’imperante disfacimento dei costumi, opponendosi alle insidie portate alla mascolinità e alla femminilità dal malefico fenomeno dell’omosessualità, che rischia di condannare al decadimento irreversibile il popolo italiano e l’intero continente europeo, di sostenere i valori imperituri di un cristianesimo stile crociata, dove Dio e Patria sono tutto e la Patria è fatta di uomini e donne. Nulla di più o di diverso.
 
Giorgia Meloni non è il primo personaggio politico a proclamarsi difensore di Dio, a ergersi a paladino di una religiosità militante, che di cristiano invero ha ben poco e si caratterizza per essere solo ateismo devoto, ad appellarsi costantemente ai valori della tradizione, troppo spesso trascurati ed anzi calpestati.
 
La storia conosce da sempre politici ed esponenti religiosi che in nome della religione hanno perseguito obiettivi ad essa totalmente estranei, mediante un’indigesta e pericolosa commistione tra trono ed altare, un’alleanza finalizzata unicamente alla perpetuazione di ruoli e posizioni di potere personali a scapito del bene materiale e spirituale delle persone, destinate a subire inaccettabili condizionamenti della propria sfera di libertà e di esplicazione dei diritti.    
 
Le parole di Giorgia Meloni, nette e perentorie, suscitano parecchie perplessità e fanno insorgere interrogativi nient’affatto trascurabili. Qual è il Dio che intende difendere dal suo alto scranno di potere? Chi o cosa, a suo inoppugnabile avviso, minaccia l’Onnipotente al punto di dover assumere l’onere di divenirne difensora? Quali argomenti o strumenti intende usare in questa battaglia e quali fini perseguire?
 
L’intento propagandistico, il solleticare reazioni istintive della parte più retrograda e reazionaria della popolazione per raccogliere consensi elettorali spiegano in parte il ricorso a simili argomenti e piuttosto raccontano una idea precisa della politica e della funzione del governo della comunità, il perseguimento di un identitarismo che mira a scardinare, in maniera subdola ma inequivocabile, i capisaldi valoriali che permeano la nostra stessa Carta Costituzionale, la laicità delle istituzioni, il pluralismo etico, la tutela e la promozione dei diritti fondamentali e delle libertà personali. Insomma l’obiettivo vero della Presidente del Consiglio, campionessa del sovranismo in salsa italica, non è tanto difendere Dio, quanto piuttosto tentare di occupare spazi sociali e conquistare un’egemonia culturale, ricorrendo ad un’equazione che più netta non potrebbe essere: Dio = identità; difesa di Dio = difesa della nostra identità. Difendere Dio è difendere noi stessi, la patria, l’intera civiltà occidentale: Dio e Patria stanno e cadono insieme e ciò che consente loro di sussistere è la famiglia e la sua natalità. 
 
Il Dio che Giorgia Meloni associa a Patria e Famiglia, è capo degli eserciti, signore della storia, re dell’universo, reggitore del destino dei popoli, proiezione del pater familias e del suo potere, giustiziere implacabile, incarnazione dello stereotipo maschile occidentale e bianco, pietra angolare della civiltà cristiano / cattolica, la sola degna di considerazione. Poco importa ovviamente che un Dio siffatto non abbia nulla di cristiano, anzi sia pericoloso e detestabile in quanto reitera uno spaventoso tribalismo religioso che ha prodotto nella storia solo distruzione, persecuzione, terrore, guerra, morte e nefandezze di ogni sorta, il tutto giustificato dalla affermazione: “Dio lo vuole”. Invocare Dio in nome della salvaguardia dell’identità etnica e religiosa, pretendere crocifissi appesi ovunque come manifesti pubblicitari della propria atea devozione, stravolgendone volgarmente il significato, organizzare preghiere di riparazione per placare l’ira divina provocata dalla depravazione dell’omosessualità, evocare le fiamme dell’inferno per i peccati, in primis quelli attinenti alla sfera sessuale, rigorosamente degli altri ovviamente, alzare lamenti per il contagio e l’invasione islamica, inorridire di fronte al multiculturalismo, considerato un inquinamento della razza, non può che condurre di nuovo l’umanità al fallimento, alla violenza e allo spargimento di sangue innocente.
 
Gesù Cristo ha assunto la nostra umanità, ci ha rivelato il volto di un Dio che è padre e in lui noi siamo tutti fratelli, ha fatto del superamento di tutte le barriere etnico-religiose, sociali e culturali la sua missione, ci ha donato la speranza che la nostra vita ha un senso e un fine, che parole come giustizia, verità, bellezza, armonia non sono un’illusione ma la nostra dimensione più autentica, ha operato sempre a difesa dell’uomo, di tutti gli uomini, ci ricorda continuamente che saremo giudicati sull’amore verso i più piccoli, i disprezzati, gli ultimi, i reietti e i crocefissi, non sull’arrogante rivendicazione della nostra superiorità. Difendere una simile prospettiva è fondamentale particolarmente in questo nostro tempo dominato dal nichilismo, in cui assistiamo alle nefande conseguenze del crescere della gran parte delle persone lontane da qualsiasi relazione educativa con la fede e in generale con una prospettiva etica, che sta provocando uno sfaldamento progressivo della società, non più insieme di uomini e donne incamminate verso un futuro comune, ma sempre più massa amorfa e rissosa di rivali.
 
La fede è cosa ben diversa dalla bigotta adesione a rigide regole moralistiche, non è devozionismo e ritualismo fuori dal tempo, ma apertura, riconoscimento dell’altro, è fecondazione del mondo attraverso la Parola da portare all’interno di ogni rapporto e opera umana, affinché li trasformi profondamente, impedisca le abominevoli derive dell’auto-distruzione e si faccia propugnatrice di una liberazione integrale. 
 
L’affermazione della Presidente del Consiglio rappresenta un’enorme stupidaggine poi sotto il profilo teologico. Dio si è consegnato agli uomini ed ha scelto di essere trattato da malfattore per redimerci, ha svuotato la distanza abissale tra noi e Lui, siamo stati salvati dal suo annientamento e ora Giorgia Meloni assume il compito di ristabilire la sua immagine presso gli uomini?
 
Dio non ha bisogno di essere difeso, né placato, ma di essere ascoltato e amato!
 
Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello” (1 Gv 4, 20 – 21).
 
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