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Il Sindaco di Sezze, Lidano Lucidi ha espresso grande soddisfazione per l’importante riconoscimento ottenuto dall’Istituto Alberghiero dell’Isiss “Pacifici e De Magistris”. L’istituto è stato infatti inserito tra gli enti scolastici ammessi alla sperimentazione del modello 4+2 dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. Una scelta che premia l’eccellenza educativa di una scuola che si è affermata come punto di riferimento nel territorio. “Questo risultato – dichiara il sindaco – rappresenta un traguardo straordinario per il nostro Istituto Alberghiero e per tutta la comunità di Sezze. Da anni la scuola si distingue per la qualità della sua offerta formativa e per il costante impegno di docenti e studenti. Ora, grazie al modello 4+2, i nostri giovani avranno l’opportunità di accedere a un percorso innovativo che li renderà ancora più competitivi nel mondo del lavoro”. Il modello 4+2 consente agli studenti di completare il percorso scolastico in quattro anni, seguiti da due anni di specializzazione e formazione avanzata. Un sistema che mira a formare professionisti altamente qualificati per i settori dell’enogastronomia, del turismo e della ristorazione, rispondendo alle esigenze del mercato del lavoro sia a livello nazionale che internazionale. “Questo importante progetto – ha aggiunto Lidano Lucidi – non è solo un riconoscimento al valore del nostro Istituto, ma anche un’opportunità per rafforzare il legame tra scuola, territorio e mondo del lavoro. La crescita dei nostri giovani è la crescita di Sezze”. L’amministrazione comunale esprime piena disponibilità a collaborare con l’istituto e con le realtà produttive locali per massimizzare le opportunità offerte da questo traguardo: “Siamo certi che questa sperimentazione porterà benefici concreti non solo ai nostri ragazzi, ma anche a tutta la comunità, contribuendo a promuovere lo sviluppo economico e culturale del territorio,” conclude Lucidi, che ha rivolto un plauso a tutto il personale scolastico, agli studenti e alle loro famiglie per l’impegno profuso nel raggiungere questo importante obiettivo. La città di Sezze continua a distinguersi come esempio di eccellenza educativa e di capacità di guardare al futuro con ambizione e determinazione.

Sabato, 25 Gennaio 2025 20:08

Quando non vedere è vedere l'abisso

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Rappresentare il male assoluto, un’atrocità di dimensioni devastanti, immaginare l’inimmaginabile mediante la narrazione della banalità quotidiana della normalissima famiglia “ariana” di Rudolf e Hedda Höss e dei loro cinque figli, che vive accanto all’orrore del campo di sterminio di Auschwitz, separato dalla loro incantevole e bucolica residenza soltanto da un alto muro grigio, oltre il quale si odono il crepitare delle armi, il ringhiare dei dobermann dei kapò, le urla delle vittime e si alzano i fumi dei corpi degli ebrei inceneriti, mentre di notte, dietro le tende chiuse, si scorge il baluginare sinistro dei forni crematori è la cifra visiva nuova e l’angolo prospettico, originale e mai utilizzato, che Jonathan Glazer ha scelto per raccontare l’Olocausto.
 
La zona d’interesse, il film del regista inglese, a differenza delle numerose opere cinematografiche realizzate sul tema della Shoah fa un passo indietro rispetto alle porte dell’infermo, non mostra mai l’interno del campo di sterminio e si concentra invece su chi vive intorno a quell’abisso, ci fa sprofondare dentro l’orrore senza mai mostrarcelo e ciò che non vediamo viene evocato attraverso una terrificante sinfonia di suoni spaventosi che vengono associati alle immagini della vita quotidiana di una famiglia della media borghesia tedesca.
 
Rudolf e Hedda Höss sono tedeschi. Hanno accettato l’invito a trasferirsi ad est, in Polonia, e a stabilirsi vicino ad Auschwitz, in una casa costruita nell’area circostante il campo di sterminio, chiamata appunto zona di interesse da cui il film prende il titolo, dove in apposite abitazioni risiedono gli ufficiali e i loro parenti.
 
Rudolf  Höss non solo è il comandante del campo di Auschwitz, ma soprattutto colui che ne ha voluto la costruzione per come lo conosciamo e lo ha reso un modello di efficienza, compresa l’introduzione del gas Zyklon B nelle camere a gas.
 
La vita della famiglia Höss si dipana in una tranquilla normalità. Nei fine settimana, insieme ai loro bambini, Rudolf e Hedda fanno picnic e vanno a nuotare in riva a un lago. Spesso organizzano feste nella loro bellissima casa, invitando amici, vicini e colleghi per rilassarsi al sole e trascorrere piacevoli giornate in compagnia. Rudolf si ritrova a casa con i colleghi anche per discutere dei progetti, raffigurati in disegni e schemi, per l’efficientamento di una realtà di morte trattata come una fabbrica.
 
Il loro giardino è pieno di piante e fiori e hanno anche una serra. Hedda, quando si prospetta la possibilità che debbano andare via e lasciare quell’ambiente idilliaco perché Rudolf  Höss deve trasferirsi a lavorare altrove, protesta e pretende di restare perché lì i figli stanno troppo bene e possono giocare all’aria aperta.
 
In tutto il film il comandante di Auschwitz viene mostrato all’interno del campo solo una volta, in un’unica inquadratura, che è poi uno stretto primo piano sul suo volto.
 
Rudolf  Höss la mattina esce di casa e va a lavoro, come se il suo fosse un impiego qualsiasi. Una volta assolte le proprie incombenze quotidiane di organizzazione, gestione e controllo dell’efficientissima macchina della morte torna a casa, dalla sua famiglia. Legge le favole della buonanotte ai figli, scambia qualche battuta con la moglie, si preoccupa del raggiungimento dei numeri trimestrali che possono portargli una promozione lavorativa. L’attenzione ai dettagli della quotidianità della famiglia Höss non serve per abbagliare o per stupire, ma per registrare la puntuale cronaca degli eventi, soprattutto per farci immergere in un preciso stato d’animo ed entrare dentro un contesto relazionale ed emotivo che fa da contraltare a quanto nel frattempo si consuma dall’altra parte del muro grigio, dove la macchina dell’orrore non si ferma un istante, accompagnata dalla colonna sonora dei lamenti delle persone mandate allo sterminio, del crepitare delle armi e dello sferragliare dei treni in arrivo.
 
Rudolf, Hedda e i loro figli non badano minimamente a questi suoni, divenuti una sorta di sottofondo abituale, non in grado di scalfire il vuoto delle loro esistenze, totalmente avvolte nella “banalità del male” che si consuma lì a pochi passi.
 
Jonathan Glazer vuole farci comprendere come è possibile che accadano cose del genere e soprattutto chi le fa accadere, chi ne porta la responsabilità. Rudolf e Hedda Höss non vengono presentati come dei mostri, ma come persone comuni, aspetto questo che rende ancor più agghiacciante la loro crudeltà. L’orrore dei campi di sterminio è stato organizzato da persone come loro, da padri e madri di famiglia, da mogli e mariti, da uomini e donne che hanno assorbito e poi inoculato negli altri e nella società mediante i loro discorsi, i loro atteggiamenti e le loro scelte il veleno antisemita. Insomma i campi di sterminio non sono il risultato dell’azione di alieni, di esseri soprannaturali o di qualche mostro primitivo, ma la decisione consapevole di esseri umani determinati a uccidere altri esseri umani. Alla fine della guerra, messi di fronte ad un così immenso orrore, in tanti si sono giustificati affermando di aver eseguito soltanto gli ordini. È così che funziona la normalizzazione del fascismo e dello sterminio di massa che mira all’ottundimento e l’abbrutimento delle coscienze.
 
La zona d’interesse ci costringe a guardare a quanto accaduto con la categoria del “noi” e non del “loro”, a riconsiderare il modo in cui abbiamo trattato questo capitolo della Storia, ci restituisce il giusto senso di un orrore inafferrabile e al contempo ci chiede non tanto e non solo di pensare al passato ma soprattutto di prestare attenzione al presente, alle tantissime tragedie che si consumano accanto a noi e di cui ci facciamo complici.
 
La più grande complicità è girarci dall’altra parte per non vedere.
 

 

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una mamma che parla delle condizioni in cui si trova l'asilo nido comunale Don Lorenzo Milani di Sezze, sito in via Piagge Marine.

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Cari amministratori, caro Lillo…ho preferito scrivere su una facciata giornalista online, perché da quel che si vede le comunicazioni arrivano dirette se lanciate sui social…utilizzati anche come vetrina espositiva personale, ah Lì siete tutti fotogenici, begli propeta!!!!
Mi preme rappresentarvi quanto opportuno in merito ad una struttura educativa destinata alla fascia di età 3mesi-3anni, inaugurata nell’anno 2014 da un’amministrazione (non ricordo quale e non interessa in questo momento), sicuramente lungimirante e attenta alle esigenze di un territorio da curare e da difendere!
Ecco, scrivo proprio perché, da cittadina che ama il suo paese, non posso esimermi dal chiedere perché accade che:


- da illo tempore lo spazio esterno è a dir poco sconcertante, la pavimentazione ormai non permette più di definire quello spazio “sicuro” perché dura, sgretolata e impossibile da sanificare; qualche mente eccelsa ha pensato bene di comprare il finto prato, che guarda mpò non abbiamo né operai che possono dedicarsi e né riusciamo a trovare una ditta QUALIFICATA PER LA STESURA DI UN PRATO FINTO. Ci semo ridotti male a Sezze Lì!


- i giochi Lì? Per fortuna la gente in questi casi non usa l’isola ecologica, e utilizza l’asilo nido come discarica dei giochi, che lasciati così alle intemperie climatiche hanno addirittura perso il colore, sao stufati pure i giochi Lì de sta alloco dafore;


- l’interno della struttura la si mai vista Lì? Ecco vatte a fa na passeggiata, e dopo pubblicamente informaci de quello che pensi!


Però Lì, su stato bravo, appena su misso pede ncima agli communo...de aumenta i dazio…da 150 euro a 200 euro. Grazie Lì, con estremo affetto!
Pensa se fossi ricordato tra anni come il sindaco che ha dato dignità ad un luogo che dovrebbe essere una bomboniera, come quel sindaco che pensava a quanto fosse importante alzare l’asticella degli educatori che contribuiscono alla crescita dei nostri figli che saranno il futuro…oggi Lì sei il Trump dei poveri!

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Per repliche scrivere al direttore de LNC. 

 

Art. 2

Diritti e doveri

È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.
Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori.
Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori.

 

Paolo Di Capua torna a parlare della struttura del Monastero delle Clarisse e rilancia la proposta del Carcere Breve, rispetto ai bla bla bla che si snocciolano nel tempo.

“Ci appelliamo alla “speranza” del Papa. Nel nostro paese, dispiace dirlo, sulle questioni rilevanti, vige il bla,bla,bla.  Le proposte vengono lette, interpretate con profonda semplicità, poichè le analisi vengono fatte con superficialità, risentono della intrinseca caratterista del bla, bla, bla, un ticchio quasi comunitario. Può essere chiamato vizietto, infatti chi propone spesso viene sottovalutato se non deriso, così per la vecchia proposta del CARCERE BREVE che è stata ripetuta nel tempo. Ora, all’inizio della questione le proposte di altri attori, sull’immobile ex Monastero Santa Chiara, veniva indicato quale prossima sede dell’Università Agraria o sede Universitaria, oppure come recezione turistica o Ostello. I proponenti immaginavano Sezze e farla diventare la Urbino dei Monti Lepini e, a forza di ripetere l’idea, senza concretizzare nulla, davano ad altri lo stimolo per avanzare sul proprio territorio o città l’idea, poichè col bla,bla,bla perdemmo il treno e si venne a concretizzare la sede Universitaria a Latina.

Veniamo ai nostri giorni, rilanciare la proposta CARCERE BREVE è stata ripresa dopo che l’amministrazione si è espressa col voler trasferire da Sezze Stazione all’Ex Monastero la sede dell’ufficio per l’impiego, una proposta che sconvolge una realtà consolidata, vicina alle sedi produttive, commerciali, artigianali, industriali e agricole della pianura e dei paesi limitrofi. Si ricorda che il nostro Paese ha avuto le carceri, ma non era così desolante com’è oggi. Sezze aveva tutto, servizi di primordine, mentre oggi, scarsi servizi e tanti immobili vuoti e, per far ripartire il paese, necessita di qualcosa che scuote e muove l’economia con altri servizi.

A Latina l’Università ha generato e genera movimento, cultura, economia, ampliamento dei servizi, in ultimo l’utilizzo di immobili storici, quale la sede ex Banca d’Italia e garage Ruspini. Così mentre gli altri corrono in avanti noi andiamo indietro come i gamberi. Aver pubblicato la proposta il CARCERE BREVE è servito nuovamente a porre l’attenzione su quale destinazione d’uso e funzione si vuole dare utilizzare l’immobile che al di là del CARCERE BREVE o Ostello degli studenti Universitari fuori Sede e o fuori Regione, non si intravedono soluzioni più idonee, concrete che hanno futuro.

Sicuramente farebbe bene alla città, alla comunità, sentire o leggere dai cittadini e amministratori, proposte concrete, utili e realizzabili per non arrivare al 2040 ancora avvolto l’immobile dal bla, bla, bla. P.S. : L’amministrazione, quanti locali, stanze, dispone da traferire da Sezze Stazione a Sezze l’ufficio per l’impiego? E’ un diversivo?”.

Riceviamo e pubblichiamo un intervento inviato in redazione da un cittadino in merito ai lavori che si stanno eseguendo nel piazzale dell'Anfiteatro di Sezze.

 

L'area mercato di Sezze, già riqualificata nel 2015 dalla giunta Campoli, oggi è nuovamente al centro di interventi che sembrano cancellare quanto fatto in passato. Nel 2015, l’amministrazione lavorò per adeguare l’area in base al Documento Programmatico per il Commercio su Aree Pubbliche (Deliberazione del Consiglio Regionale n. 139 del 19.02.2003), che stabiliva: Aree recintate, non interessate alla viabilità; Servizi igienici per il pubblico e gli operatori del mercato. Interventi necessari e lungimiranti, che rispettavano norme e garantivano funzionalità per cittadini e commercianti. Oggi, però, la giunta Lucidi, decide di intervenire nuovamente, demolendo i marciapiedi realizzati solo pochi anni fa. Non si comprende infine come lo stesso assessore Bernabei abbia votato entrambe le delibere, snaturando oggi quella votata con la Giunta Campoli. Un'opera che sa di “tela di Penelope”, dove ogni passo avanti sembra vanificato da un passo indietro.

 

Sotto la delibera della Giunta Campoli del 2015.

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Per repliche scrivere al direttore de LNC. 

 

Art. 2

Diritti e doveri

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Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori.
Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori.

Sabato, 18 Gennaio 2025 19:18

La scorciatoia della repressione

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Sono passate da poco le quattro del mattino del 24 novembre 2024. La telecamera di sorveglianza del Comune di Milano, posizionata all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, nel quartiere Corvetto, riprende gli ultimi istanti di vita di Ramy Elgaml, un ragazzo di origine egiziana di 19 anni.

 
Nelle immagini registrate si vede un motorino con due persone a bordo, inseguito da una gazzella dei Carabinieri. Pochi istanti ed entrambi i mezzi escono fuori strada. Sembrerebbe esserci un contatto tra la macchina e il motorino, che finisce la sua corsa contro un palo. Per Ramy Elgaml, che viaggia come passeggero sullo scooter, l’impatto è fatale. Tre autovetture dei carabinieri avevano rincorso per otto chilometri lungo le strade di Milano il motorino, il cui conducente non si era fermato ad un posto di blocco. I militari si erano accorti che il ragazzo seduto dietro, durante l’inseguimento, aveva perso il casco.    
 
Quanto accaduto quella notte, in particolare gli ultimi istanti di vita di Ramy, è impresso in quei fotogrammi. Tuttavia ascoltando la registrazione, inquietano molto le parole pronunciate dai carabinieri all’inseguimento dei due ragazzi: “Chiudilo, chiudilo, chiudilo che cade. No, merda, non è caduto”, “Vaffanculo, non è caduto” e infine “Bene”, quando giunge la notizia che i due sono caduti, anche se senza nulla specificare in merito alle conseguenze.
 
Sono frasi giustificabili per via dell’adrenalina e della concitazione di quei momenti? Può darsi. In ogni caso la dinamica di quanto accaduto lascia il forte dubbio che si sia trattato di un inseguimento assurdo, rischiosissimo e sproporzionato.
 
Sarà la magistratura a far piena luce, ad appurare se lo scooter è stato speronato dalla macchina dei carabinieri, come riferito dal conducente del motorino e da un testimone oculare, un ragazzo che si trovava sul marciapiede all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta al momento dell’impatto, il quale sostiene di aver ripreso la scena con il proprio cellulare, video che i carabinieri, una volta scesi dall’auto, gli hanno chiesto di cancellare, e ad accertare le eventuali responsabilità. 
 
La morte di Ramy Elgaml umanamente è una tragedia enorme ma anche qualcosa di più, può segnare l’inizio di un’onda lunga che va al di là del fatto in sé. In queste settimane, nel nome di questo ragazzo, è esplosa una rabbia che ha preso la forma di proteste di piazza, di cortei e striscioni che invocano giustizia e purtroppo arrivano a strizzare l’occhio anche alla vendetta. Roma, Bologna, Milano e Brescia sono stati teatro di un dissenso allargatosi a macchia d’olio e divenuto scontro violento con uso di bombe carta, bottiglie e petardi artigianali. Agenti feriti, auto delle forze di polizia distrutte, atti vandalici, una stazione dei carabinieri e la sinagoga di Bologna prese d’assalto come se si trattasse di presidi nemici, rischiano di riportarci agli anni bui in cui Stato e manifestanti si consideravano nemici ed erano divisi da uno scudo.
 
La condanna dei disordini e delle violenze da parte della politica è stata unanime, ma alzare la voce, invocare le zone rosse, la vigilanza rinforzata, i rimpatri immediati, le misure forti sono solo scorciatoie mediatiche, numeri da sciorinare nelle conferenze stampa e armi propagandistiche, non soluzioni concrete ed efficaci per il nostro Paese, che si ritrova a leccarsi ferite causate da una politica incapace di proposte che vadano al di là della semplice repressione.
 
Niente può giustificare la violenza, ma è illusorio pensare di poter fronteggiare la rabbia delle piazze soltanto con la repressione. Dietro i petardi, i saccheggi, le violenze ci sono persone e storie, c’è un’intera generazione che si sente preclusa ogni speranza di futuro e realizzazione, ci sono le voci dei figli dei migranti troppo spesso considerati italiani di serie b. Questa violenza cieca ed ingiustificabile è il sintomo di un malessere che cova nelle periferie delle nostre città, nei quartieri ghetto, nelle realtà piccole e grandi, dove l’assenza di riferimenti valoriali e le relazioni familiari spesso sgretolate hanno effetti devastanti.    
 
Rispondere a questo malessere semplicemente con il pugno duro allarga solo il fossato esistente tra cittadini e Stato, considerato sempre più come un nemico, e di dare spazio alle posizioni più dure e violente. Le zone rosse, i rimpatri, i fogli di via, le cariche della polizia creano l’illusione della soluzione, non vanno oltre l’immediato e nemmeno scalfiscono i problemi.
 
Esemplari per il rispetto e la fiducia espressa nei confronti delle istituzioni sono la ferma condanna di ogni violenza e l’invito a manifestare pacificamente per chiedere giustizia del padre di Ramy Elgaml, assai meno invece le scelte di una parte della politica, che non ha perso l’occasione per strumentalizzare l’accaduto e invocare il pugno duro, facendo ricorso a slogan utili solo per racimolare più voti possibili facendo leva sulle paure della gente e non per affrontare e risolvere i problemi.
 
Servirebbe invece una politica dallo sguardo lungo, desiderosa di lenire le ferite sociali anziché di acuirle ed enfatizzarle, e capace di mettere al centro della propria azione un tema fondativo della democrazia come la sicurezza, terreno su cui si gioca la sfida tra democrazie e autocrazie e fondamentale soprattutto per i ceti più esposti, per le classi popolari che vivono nelle periferie, subiscono violenze, negazione dei diritti, emarginazione e più degli altri vivono sulla propria pelle il senso di incertezza e di paura per il futuro. La democrazia deve sapere parlare a tutti, soprattutto ai cittadini che temono per il loro presente e sono angosciati per il loro futuro. L’integrazione tra nazionalità e religioni diverse, l’educazione al senso civico, i servizi alla persona e le pari opportunità offerte per migliorare le proprie condizioni personali e sociali sono indispensabili per garantire la civile convivenza tra diversi e la sicurezza di tutti e di ciascuno.
 
Saprà la politica dismettere i panni del populismo e raccogliere una simile sfida?

 

 

E’ notizia di pochi giorni fa dell’approvazione da parte della Regione Lazio di un finanziamento di 2 milioni di euro per il completamento del Teatro Sacro di Sezze, meglio conosciuto come Anfiteatro. Il progetto è stato inserito tra le opere finanziate dal Fondo Sviluppo e Coesione 2021-2027. La notizia ha fatto discutere e acceso riflessioni sul futuro di una struttura tanto cara alla città e rimasta sepolta tra le erbacce per troppi anni. Tra le riflessioni, quella del prof. Alberto Filigenzi punta a non escludere ancora una volta il confronto con la comunità, con i cittadini come già avvenuto in passato e recentemente. Il professore in pensione invita dunque gli amministratori locali a non trincerarsi dentro le segrete stanze ma ad aprirsi ad un confronto con le associazioni e con la comunità per capire quale ruolo dovrà avere questa struttura in futuro. E' già accaduto che la mancata partecipazione della città abbia generato polemiche e malcontenti, fino ad arrivare a spaccature profonde e divisioni che una maggiore sensibilità avrebbe sicuramente evitato.  “A tempi tecnici lunghi di ultimazione (si parla del 2031) non possono corrispondere altrettanti di partecipazione . Quel che è fondamentale  - afferma Filigenzi -non è ormai quando sarà finito (sono passati ben 22 anni dal 2003) ma cosa si intende fare: un doppione un po’  più grande del Mario Costa? Oppure un' area scoperta per spettacoli all'aperto con le necessarie strutture di servizio, ripristinando, per quanto possibile, le storiche scalinate di Piacentini? Il 2031 è lontano ma il momento delle decisioni (progetto esecutivo) è vicino. Non stiamo a guardare – sottolinea Filigenzi - occorre un' Agorà cui partecipino associazioni,  gruppi spontanei di interesse per riscattare 23 anni di abbandono. Anche il nobile passato dell'Associazione della Passione lo chiede”. 

 

Nella mattinata di ieri, i Carabinieri della Stazione di Sermoneta (LT) hanno tratto in arresto un uomo di 33 anni del luogo, già noto alle forze di polizia, in esecuzione di un ordine di carcerazione emesso dal Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila (AQ), poiché condannato alla reclusione di anni 1 di pena residua ancora da espiare, per il reato di maltrattamenti in famiglia, commesso nell’agosto 2023 quando si era reso responsabile di aggressioni verbali e minacce nei confronti della propria madre convivente. L’arrestato, espletate le formalità di rito, è stato tradotto presso la Casa Circondariale di Latina, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria mandante. 

Sabato, 11 Gennaio 2025 20:21

Morire di carcere

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Il 2024 ha registrato un numero record di suicidi nelle carceri del nostro Paese: 89 detenuti e 7 agenti di polizia penitenziaria si sono tolti la vita.
 
Il nuovo anno è iniziato esattamente come si è chiuso il precedente. Infatti nei primi giorni del 2025 si sono suicidati quattro detenuti e un operatore. Gli ultimi in ordine di tempo sono stati un detenuto quarantenne e appunto l’operatore quarantottenne, i quali entrambi hanno compiuto questo gesto estremo nella Casa Circondariale di Paola in Calabria, il primo impiccandosi nella propria cella e il secondo nella palestra della struttura carceraria.
 
Al di là delle ragioni personali che possono averli spinti a compiere un atto così drammatico e irreversibile, su cui non è facile indagare e di fronte al quale è giusto avere un atteggiamento di umana pietà e rispetto, è necessario riflettere seriamente sul sistema carcerario che con i suoi drammi umani, la sua violenza ricorrente e le sue innumerevoli disfunzionalità finisce per favorire un processo di assuefazione alla disumanità, al punto di allentare nelle persone la piena percezione e consapevolezza dell’esatta portata di talune azioni e da spingerle ad atti di autolesionismo fino al gesto ultimo di togliersi la vita.
 
I detenuti, 16 mila oltre i posti disponibili nelle strutture carcerarie, sono sottoposti quotidianamente a condizioni di vita assolutamente non dignitose e neppure lontanamente rispondenti alle finalità riabilitative della pena inframuraria, come solennemente stabilito dal legislatore all’art. 27 della Carta Costituzionale. Il personale operante nelle strutture, sia appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, peraltro mancante di 18mila unità e costituito per lo più da agenti molto giovani che vengono lasciati soli nelle sezioni detentive, sia rappresentato dalle altre figure professionali è costretto a carichi di lavoro e turnazioni insostenibili e il loro enorme sacrificio personale e familiare è spesso completamente vanificato purtroppo dalla assoluta inefficienza e inefficacia dell’organizzazione carceraria sotto ogni profilo.
 
I ripetersi di episodi di autolesionismo e i suicidi di persone private della libertà poi oltre ad essere moralmente devastanti, rivelano il fallimento del ruolo punitivo dello Stato. Se nell’esercizio del monopolio nell’uso della forza l’autorità statale non è in grado di garantire che il ricorso alla stessa proceda di pari passo con la tutela del corpo e della salute dei detenuti, finisce per subire una radicale delegittimazione, perdendo parte della funzione che ne giustifica la potestà punitiva.
 
La morte della persona detenuta, nella sua cruda materialità, inoltre fa emergere come la carcerazione per le modalità in cui si concretizza all’interno degli istituti penitenziari è lontanissima dall’ideale della pena immateriale che agisce sullo spirito e motiva al recupero personale e al reinserimento sociale del condannato. A tutto ciò è da aggiungere poi che spesso il suicidio in carcere è il portato ultimo di vicende personali drammatiche. L’esperienza traumatica della detenzione in questi casi determina un crollo psichico definitivo per l’inadeguatezza del carcere normalmente ad accorgersi e quindi ad affrontare il disagio delle persone. Lo shock conseguente alla carcerazione finisce per essere così un’esperienza letale per i soggetti più fragili e non in grado di adottare efficaci strategie di adattamento alla terribile situazione in cui vengono precipitati.
 
L’Italia è uno dei paesi al mondo con i più bassi tassi di suicido, ma tale indice aumenta in modo vertiginoso, fino a diventare fra i più alti a livello europeo, tra le persone private della libertà personale. Un simile dato fotografa l’estrema gravità in cui versa il nostro sistema detentivo e dovrebbe far interrogare la politica, la magistratura e quanti hanno responsabilità amministrative nella direzione degli istituti di pena sulla reale efficacia dei programmi di prevenzione pensati, scelti e messi in campo.
 
Se consideriamo il numero complessivo dei decessi in carcere, il suicidio rappresenta una delle principali cause di morte della popolazione detenuta. Infatti raffrontando il numero dei suicidi con quello delle morti naturali emerge che i primi, negli ultimi 30 anni, costituiscono stabilmente oltre un terzo del totale complessivo dei decessi. In altri termini più di una persona su tre che muore nei nostri penitenziari si suicida. È sconvolgente che tutto ciò venga ormai considerato un dato strutturale, sopportabile e normale.
 
Il ripetersi di tragedie simili impone un’assunzione di responsabilità da parte della politica e la conseguente adozione di provvedimenti urgenti e concreti per mettere fine ad una simile mattanza, partendo dalla riduzione del sovraffollamento mediante il ricorso a misure alternative alla detenzione in carcere, prevedendo l’assunzione di nuovi agenti e l’incremento del personale sanitario per prevenire e combattere le situazioni di disagio e fornire adeguato sostegno psicologico e psichiatrico a detenuti ed operatori carcerari.
 
La situazione è diventata ormai insostenibile e il rischio è un ulteriore precipitare delle condizioni delle carceri italiane verso il baratro umanitario.
 

 

Nota stampa Lidano Lucidi, sindaco di Sezze.

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Con delibera n. 1189 del 30 dicembre 2024 la giunta regionale del Lazio ha inserito il completamento del Teatro Sacro di Sezze tra i progetti finanziati con risorse del Fondo Sviluppo e Coesione per un importo di 2 milioni di euro. A darne notizia è il sindaco di Sezze, Lidano Lucidi, che spiega: “Non posso che dichiararmi enormemente soddisfatto di questa notizia perché adesso Sezze ha le risorse per completare l’opera e riconsegnarla alla città dopo le note vicende degli anni passati. Ho sempre pensato – ha spiegato il sindaco di Sezze – che la migliore risposta alle critiche e a certe esternazioni fosse quella del lavoro silenzioso, di avere un’idea complessiva della questione e di agire senza improvvisazioni, ma con determinazione e costanza. Dopo che ci è stata notificata la sentenza di condanna tre anni fa, appena qualche mese dal nostro insediamento, è iniziato un grande lavoro di studio per evitare danni ben più gravi all’ente, in primo luogo il dissesto finanziario, e un lavoro politico per cercare di recuperare la struttura, cosa per molti ritenuta impensabile e impossibile. Occorreva, però, il coraggio di mettere un punto, chiudere definitivamente una pagina e scriverne un’altra tutta nuova”. Un’azione realizzata di concerto tra diversi attori, con i quali l’ente ha interloquito e ai quali il primo cittadino vuole dedicare i suoi ringraziamenti: “L’assessore Righini si è messo subito a disposizione e ha seguito tutto l’iter con grande serietà e professionalità, l’eurodeputato Nicola Procaccini si è interessato dell’Anfiteatro spontaneamente partendo da una interlocuzione privata con il sottoscritto. Voglio ringraziare anche il consigliere regionale Salvatore La Penna che ha seguito dall’inizio l’interlocuzione tra l’amministrazione comunale e la Regione, interlocuzione avviata nella passata legislatura regionale e che oggi vede portare a casa un importantissimo risultato per la nostra città, e il consigliere regionale Vittorio Sambucci che ha anche lui seguito i vari passaggi amministrativi”. Con le modifiche del programma degli interventi finanziati con risorse FSC 2021-2027, di cui alla delibera CIPESS n.21 del 23/4/2024, approvate dal Comitato tecnico di indirizzo e vigilanza nella seduta del 20 novembre 2024, il completamento dell’Anfiteatro rientra quindi tra le opere finanziate: “Questa vicenda – ha spiegato ancora Lidano Lucidi – dimostra che la collaborazione tra enti, indipendentemente dai colori politici, porta risultati importanti se si mette al centro l’interesse della comunità, rovesciando un destino che sembrava inesorabile. Guardando al futuro, è quello a cui tutti dovremmo tendere, seguirò personalmente, così come fatto fino adesso, tutti i passaggi tecnici e amministrativi, che saranno lunghi e complessi. Come dichiarato mesi fa dopo la delibera della Corte dei Conti con cui è stato approvato il piano di riequilibrio – ha concluso il primo cittadino di Sezze – si è aperta una nuova fase politica e amministrativa per Sezze, una fase di progettazione e investimento e la “questione Anfiteatro” è solo un tassello di una chiara visione politica, amministrativa e di cambiamento incarnata dalla nostra amministrazione”.

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